Costruire una scuola d’arte in Etiopia, il sogno di Alem tra illusione sociale e realtà
Da un incontro tra gli artisti Alem Teklu Kidanu e Davide Carnevale un sogno ha messo le sue prime radici: portare l'arte nel paese dell'Africa Orientale. Il progetto, in fase embrionale, sta fiorendo attraverso uno spettacolo teatrale che mette in luce il passato dell'autrice etiope. "Vogliamo dare vita a un cambiamento dove ce n'è più bisogno, raccontando verità sui migranti attraverso l'arte".

Martedì 28 gennaio, Biella, la giornata si avvia verso il tramonto. Dalla finestra dell’ufficio scorgo la vittoria della notte sul giorno, nonostante il dominio del clima mite delle ore precedenti. Occhi incollati al PC, mani sulla tastiera, le dita corrono veloci. Immerso nella scrittura, incrocio Paolo Naldini, il direttore della Fondazione Pistoletto, passato per una comunicazione a un collega. Di sfuggita, vista la sua mole di impegni, mi informa dell’arrivo a Cittadellarte dell’ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso Davide Carnevale e di un’artista etiope. Non mi rivela molto di più, ma mi invita a incontrarli. Scrivo a Davide, programmiamo di vederci il mattino seguente.
Il giorno dopo li incontro. Lui mi saluta, con il calore che lo caratterizza, e lei si presenta, con delicatezza. Ci dirigiamo verso una sala riunioni, curioso di sentire cosa li ha portati in Fondazione.
Davide, che già conosco da anni per aver messo in luce più volte il suo impegno nel progetto sociale del Terzo Paradiso, è entusiasta, quasi fiero di quello che sta per raccontare. Alem Teklu Kidanu, questo il nome dell’artista 43enne che lo accompagna, attende, senza fretta, il suo turno. Non è comune: mi è già successo, più volte, che chi sta per presentare la propria storia abbia un’urgenza involontaria di svelare ogni dettaglio nel più breve tempo possibile, una sorta di frenesia del racconto. Come quando ci si trova di fronte a un piatto che ci piace tanto e la golosità prende il sopravvento sulle buone maniere arrendendosi alla fretta.


Alem Teklu Kidanu.

Ma lei no. Aspetta pazientemente il suo ‘turno’ e accetta che sia Davide a parlare al posto suo. Non è una prevaricazione, anzi, è sintomo di totale fiducia in lui. L’ambasciatore mi introduce Alem, accennandomi la sua provenienza (nord Etiopia, nella regione di Tigray, anche se ora vive a Carrara), la sua pratica artistica e la sua storia. Ma nella sua vita non posso immergermi bruscamente: devo capire, innanzitutto, come si sono conosciuti e perché un’artista etiope e uno campano sono qua a Cittadellarte, a Biella. È in questo momento che prende parola Alem, svelandomi in che occasione è avvenuto il loro incontro. Come in un romanzo, l’incrocio di destini è frutto del caso, o quasi: “Una mattina di un anno fa, due amici, sapendo dei miei interessi e delle mie competenze in campo artistico, mi hanno suggerito di conoscere Davide. Lo stesso pomeriggio, uscita insieme a loro sulla riva del Lago d’Averno, lo abbiamo visto senza aver programmato nulla. Forse il fato ha intrecciato le trame del nostro incontro”. È stata subito sintonia, non solo per la condivisione di una passione, ma anche per lo stesso modo di intenderla. La scintilla del loro incontro si è alimentata nelle settimane successive, al punto che Alem ha partecipato a un progetto di land art di Davide che ha preso vita nei Campi Flegrei a Pozzuoli, a ovest della città di Napoli.


Alem e Davide impegnati nel progetto di land art nei Campi Flegrei.

L’ambasciatore, così, ci anticipa il sogno della collega artista che l’ha colpito nel profondo. Sì, perché ogni pratica di Alem ruota intorno a un obiettivo: dare vita a una scuola d’arte in Etiopia. “Le donne nel mio paese – afferma Alem – non hanno accesso allo studio, sono obbligate a seguire una vita domestica. Io, invece, ho constatato che è possibile costruirsi un futuro attraverso la scuola e io stessa ho scoperto che in Italia è possibile”. Davide riprende parola: “Ecco Luca, vedi? Con l’arte si può innestare un cambiamento, vogliamo dimostrarlo ancora una volta”. L’ambasciatore mi svela quindi il dietro le quinte del progetto artistico che sta sviluppando. Per quale ragione ha deciso di aiutarla a realizzare questo sogno? “Perché ho intuito che, finalmente, mi si offriva un’occasione non solo per esercitare la teoria della demopraxia, ma per metterla in pratica. Quest’ultima è una delle parole chiave di tutti i progetti di cui mi occupo sul territorio, ma restano prevalentemente in una dimensione locale. Qui, invece, ho la possibilità di impegnarmi in un obiettivo che è comune ai miei e a quelli del Terzo Paradiso in un contesto dove il cambiamento è ancora più urgente”. Davide così ha cominciato a raccogliere dati per dar forma all’obiettivo, studiando dapprima le dinamiche del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nei paesi africani, poi raccogliendo informazioni per poter realizzare una proposta di progetto concreta. In questo percorso, puntualizza Davide, è fondamentale pensare a come coinvolgere numerosi attori e realtà dando loro un guadagno: “Un sogno – aggiunge l’ambasciatore – per concretizzarsi, deve diventare esigenza”.

Individuato il traguardo, andava costruito il percorso per arrivarci. E anche in questo caso è l’arte in grado di innestare una trasformazione sociale responsabile il leitmotiv del processo di costruzione. Perché? Uno dei pezzi fondamentali per completare questo puzzle si chiama denaro, ma i due artisti hanno deciso di chiedere aiuto in modo creativo. Come avere sostegno economico? Niente campagne di fundraising, niente donazioni passive. Ma l’arte, ancora, questa volta colorata di teatro. “Alem – spiega Davide – è anche un’attrice. E porta in varie città italiane uno spettacolo intitolato ‘Miraggi Migranti’, incentrato, come si evince dal nome, sui viaggi dei migranti. Tramite una nuova performance teatrale dedicata alla sua storia vorremmo raccogliere parte dei fondi per il progetto della scuola. L’altro passaggio sarà chiedere un parere e un contributo agli ambasciatori del Terzo Paradiso, per capire se la nostra idea di promozione può essere percorribile anche in altri territori. Vogliamo avvalerci del metodo demopratico per raggiungere l’obiettivo e abbiamo incontrato il direttore Paolo Naldini per capire come è possibile avviare una partnership con Cittadellarte”.

L’idea è chiara. E pare funzionale: così non si fornirebbe solo un contributo artistico, ma si offrirebbe uno spaccato di vita di una realtà geograficamente lontana. Lo spettacolo, infatti, mette in luce il passato di Alem e veicolerebbe un messaggio attraverso l’arte; lo spettatore può così diventare il primo attore di un cambiamento, decidendo di sostenere economicamente il progetto. La storia di Alem, infatti, non è una vicenda individuale, ma riflette storie di vita irte di ostacoli che hanno interessato moltissimi suoi conterranei. E quando tocchiamo questo argomento l’espressione dell’artista etiope cambia: il suo volto si incupisce, nella sua mente sembrano farsi strada frangenti terribili. Ma lei non cede alla paura passata, anzi, sembra farsi forza in questa oscurità. “Uno dei problemi più grandi che affligge il mio paese è l’illusione. La gente – argomenta – è convinta che partendo verso l’Europa, l’America o altre parti del mondo ci si possa arricchire, cambiando vita e sconfiggendo la povertà. Io stessa, ad esempio, ho fatto il mio primo viaggio lontano da casa in Arabia. Credevo che avrei trovato un nuovo inizio, la felicità, ma invece ho rischiato di farmi sfruttare o prostituire. Per fortuna, sono poi riuscita a scappare”. Dopo la fuga è iniziata una nuova fase della sua vita, tra Etiopia e Italia, che ha poi visto fiorire la sua passione per l’arte con la laurea all’Accademia Carrara, dove ha appreso le tecniche e si è specializzata nella lavorazione del marmo per produrre sculture e bassorilievi.

La fine del buio? Ni. Perché nonostante l’importante traguardo di studio, la sua famiglia non la vedeva di buon occhio. L’arte, questa sconosciuta. E l’agognata ricchezza italiana, ancora nulla. “Come accennato – Alem ritorna sul discorso illusione sociale – in Etiopia c’è un’immagine sbagliata dei viaggi verso l’Europa. C’è la percezione, o meglio, la convinzione, che partendo verso altre mete si possa cambiare vita facilmente. Ma è un miraggio. E così diventiamo vittime di sistemi che non funzionano. Con questo non sto asserendo che venire in Italia sia sbagliato, anzi, ma semplicemente è importante sapere la reale situazione a cui si va incontro”. C’è qualcuno che alimenta questa finzione. E scoprire il colpevole è un (triste) colpo di scena: “Sono gli stessi migranti a comunicare il falso. Ostentano ricchezze che non hanno, ma la colpa non è loro. Quando partono per l’Europa o l’America ricevono l’affetto dei famigliari, il viaggio è visto come un orgoglio, un prestigio. È difficilissimo ricevere aiuto per avviare un progetto in Etiopia, ma per avere sostegno per partire verso altri ‘mondi’ tutti sono disponibili, perché pensano che nel futuro la loro vita potrà cambiare grazie alla persona che lascia il paese natale”.


Alcune opere di Alem.

Alem, addirittura, racconta che nei villaggi è tradizione organizzare delle feste, dei veri riti, al momento della partenza. “Dopo tutto questo – continua – arrivi a destinazione e… non c’è niente. Non solo per gli amici, la famiglia e il tuo villaggio, ma nemmeno per te! Il più delle volte si comincia la nuova vita senza nemmeno dei documenti. E spesso non sono i senzatetto a intraprendere questi viaggi, ma persone laureate, con un percorso di studi alle spalle. Ma arrivati alla meta del viaggio, quando capiscono la situazione reale, si vergognano. E non riescono ad accettare la situazione e a dire la verità. Così, crolla ogni certezza che ti aveva accompagnato fino a quel momento”.
Fabrizio De André, nel suo celebre brano Il cantico dei drogati, in un verso cantava “Come potrò dire a mia madre che ho paura?”. Ecco, come raccontare un fallimento simile? Come superare la vergogna che ne consegue? È questo che scatena l’ondata di finzione.

A raccontare la verità ci pensa Alem, attraverso il suo spettacolo Miraggi migranti. “Non voglio ottenere oggetti d’oro per ostentare ricchezza. Nel mio paese voglio portare la cultura”. All’inizio, come immaginabile, non è stato facile: “Le persone non credevano alle mie parole, ma l’arte – con la mia performance teatrale – è riuscita a comunicare la realtà”. La svolta, a livello personale, è arrivata quando la sua famiglia ha assistito al suo show teatrale e, per l’occasione, sua madre è stata intervistata dalla CNN. Durante il servizio la sua familiare ha chiesto pubblicamente scusa alla figlia per non aver mai compreso che attraverso l’arte Alem stava mostrando un alto valore di dignità femminile alla propria comunità. “In quel momento ho capito che ero sulla strada giusta. Ora, anche amici e fratelli mi sostengono e molte altre persone finalmente credono nella verità che racconto”.


Miraggi Migranti, spettacolo di teatro di figura sul viaggio dei migranti (ha debuttato nel 2013 all’università di Macallè). L’opera è rivolta in particolare agli studenti delle scuole medie.

Buda – storie di un’artista migrante, un lavoro sulla vita di Alem, indicata per un pubblico adulto o delle scuole superiori.

Miraggi Migranti vede Alem impegnata come attrice insieme a Soledad Nicolazzi, che ricopre anche il ruolo di regista, e si avvale delle musiche di Alessandra D’Aietti, create appositamente per la performance teatrale della Compagnia Stradevarie (Campsirago Residenza). Stesso cast anche per il nuovo spettacolo intitolato Buda – storie di un’artista migrante, che si focalizza sulla storia personale di Alem. L’artista etiope, inoltre, crea gli abiti di scena da sola e realizza le maschere di cartapesta usate per lo show. Anche le sue competenze artistiche sono messe a disposizione del primo spettacolo, che si articola attraverso un racconto con la tecnica dei mimi: “Il linguaggio dei mimi – afferma – è universale e permette di farci comprendere da qualunque spettatore”. Dopo aver ascoltato attentamente il nostro scambio interviene Davide: “Alem – conclude – ha già innescato un processo di cambiamento, però lei vuole dare vita a un percorso molto più potente. Come? Attraverso il sogno della scuola”.
Ci salutiamo, con la promessa di raccontare gli sviluppi sul progetto più avanti. La ringrazio per avermi donato la sua storia. Ne sono convinto: anche questa volta ce la farà, la sua arte prevarrà su tutto. Quella scuola nascerà.