Giorgio de Finis si racconta: intervista al nuovo direttore artistico del MACRO di Roma
Giorgio de Finis a tutto tondo, dall'arte contemporanea al progetto MACRO Asilo fino a Michelangelo Pistoletto: "Sono direttore di un progetto sperimentale che vuole essere anche un'opera corale. Al MACRO proverò a realizzare un grande dispositivo d'incontro tra l'arte e la società, artisti e cittadini. Un museo 'ospitale', una casa e una piazza, uno spazio del comune, da costruire insieme, in maniera collaborativa, come fosse una cattedrale medioevale. Tutto a MACRO Asilo dovrà essere vivo. Ci saranno le opere, ma sempre accompagnate dalla presenza dell'artista".

Giorgio de Finis è il nuovo direttore artistico del MACRO di Roma: a dicembre scorso la notizia è stata sulla bocca di tutti gli appassionati d’arte contemporanea. Dopo l’esperienza al MAAM, è arrivato un prestigioso incarico nella Capitale per l’antropologo. Una nomina dal sapore di rilancio che si riflette nel nuovo MACRO Asilo. Come dar vita a questo progetto? Abbiamo incontrato il direttore dialogando attraverso più linee temporali, cercando di delineare l’impronta che vorrà dare al museo identificando, inoltre, le contaminazioni artistiche, come quella con Michelangelo Pistoletto. Dal passato al MAAM al futuro del MACRO passando per i progetti in cantiere del presente. Un sipario che si è alzato con tanti attori diversi ma un denominatore comune: l’arte. Palla a De Finis.

Prima di proiettarci al futuro, un passo indietro al recente passato: ci illustri il tuo background artistico-professionale – con un’attenzione particolare all’esperienza del MAAM – mettendo in luce il percorso che ti ha portato al MACRO di Roma?
Ho studiato e praticato a lungo l’antropologia. Ad un certo punto ho lasciato la foresta di Palawan, dove ogni anno andavo come ricercatore in visita dell’Ateneo de Manila University, per occuparmi della “giungla di pietra”, vale a dire del nuovo habitat dell’homo sapiens, la metropoli. Lavorando in città ho incontrato gli artisti, che da molto tempo sono fuggiti alle costrizioni del quadro e del museo, agendo direttamente sul territorio urbano. Per anni ho collaborato con Stalker e, proprio durante una deriva, il giro a piedi del Grande Raccordo Anulare, ho scoperto Metropoliz, una occupazione abitativa nata in un ex salumificio nella periferia est della Capitale. Due anni dopo ho proposto a Metropoliz, con l’amico e collega Fabrizio Boni, di costruire un razzo per andare sulla Luna. Visto che il nostro pianeta è sempre meno ospitale, invitavo, in maniera provocatoria, tutte le “vite di scarto” di cui parlava Zygmunt Bauman a dare il via all’era delle migrazioni esoplanetarie. Questo cantiere cinematografico e d’arte, esperimento di cinema “situazionista”, ha aperto la strada al MAAM, che nasce proprio quando Metropoliz conquista la Luna e decide di iniziare a costruirla! Cosa che abbiamo fatto con l’aiuto di oltre trecento artisti.

Nelle vesti di nuovo direttore artistico, quali contaminazioni artistiche porterai e quale specifico contributo riserverà il tuo ruolo?
Io sono direttore di un progetto sperimentale che vuole essere anche un’opera corale, esattamente con lo stesso spirito del MAAM. Al MACRO proverò a realizzare un grande dispositivo d’incontro tra l’arte e la società, artisti e cittadini. Sarà un museo “reale”, così come lo ha definito Cesare Pietroiusti proprio in una lectio marginalis tenutasi al MAAM.

Quale programma hai pensato? In cosa consiste il Progetto MACRO asilo?
MACRO asilo è un museo “ospitale”, una casa e una piazza, uno spazio del comune, da costruire insieme, in maniera collaborativa, come fosse una cattedrale medioevale. Tutto a MACRO asilo dovrà essere vivo. Ci saranno le opere, ma sempre accompagnate dalla presenza dell’artista. Ho scelto la parola “asilo” anche per dire che questo museo sarà separato dal mondo “adulto”, sarà un esperimento realizzato in una teca di vetro ad attrito zero, fuori delle logiche del mercato e del sistema dell’arte. Il MACRO asilo prende in considerazione quello che viene prima, l’arte, appunto. In ultima istanza asilo anche perché proveremo a ripartire dall’abc, a ripensare l’istituzione museo e a riscrivere insieme le tante parole del contemporaneo.

Ci sono state polemiche intorno alla tua nomina. Come replichi alle critiche di un mancato concorso pubblico in relazione al tuo incarico?
Mi hanno chiamato a fare me stesso, cioè a replicare, con le dovute differenze, quanto sperimentato al MAAM o al Dif (il museo diffuso di Formello). Non avrei mai accettato un incarico generico da direttore di museo. Non è il mio lavoro e non mi sarebbe interessato. Quello che faccio al MACRO è un lavoro da artista, non un lavoro da specialista o di tipo manageriale. Da contratto io sono direttore artistico di Macro asilo progetto sperimentale per il MACRO, non del MACRO, cioè dirigo il mio progetto, che ha bisogno di essere diretto e curato in quanto progetto “corale”. Anche se poi di fatto il MACRO ospiterà solo MACRO asilo per i prossimi due anni.
Tra parentesi, va anche ricordato che per i precedenti direttori non si è fatto nessun concorso. E la loro nomina è stata fortemente caldeggiata (per usare un eufemismo) proprio da chi invocava, in conferenza stampa, il bando pubblico.

È nota la tua collaborazione con Michelangelo Pistoletto, come ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso. Il legame con l’arte sociale del maestro biellese sarà ingrediente rilevante nello sviluppo della tua gestione del MACRO?
Collaboro da alcuni anni con Michelangelo Pistoletto e Cittadellarte. Michelangelo ha molto apprezzato il lavoro che è stato fatto a Metropoliz, sin dal progetto filmico che guardava alla Luna e che ha voluto ospitare a Biella. Poi le collaborazioni si sono intensificate sempre di più. Sono davvero grato a Michelangelo e Maria per il grande sostegno che ci hanno dato. Portando la Venere degli stracci al MAAM (e successivamente anche al Dif), ci hanno regalato una vera e propria medaglia al valore. Michelangelo è un artista e una persona straordinaria, una star del mondo dell’arte che ha saputo farsi costellazione (come dice lui), e sono convinto che anche Macro asilo potrà contare sulla sua presenza e sui suoi insegnamenti. Ci tenevo moltissimo ad averlo con noi il giorno della conferenza stampa, per festeggiare insieme il giorno della rinascita e quella che speriamo sia la rinascita del museo di arte contemporanea della città di Roma.

Pistoletto rimarca spesso come l’arte debba ergersi a strumento per una trasformazione sociale responsabile. Sei d’accordo con questa sua visione? Come può avvenire un processo simile?
Credo che tutti dobbiamo, quale sia la professione che esercitiamo, dare il nostro contributo alla costruzione di un mondo migliore. Ma credo che l’arte abbia una marcia in più. L’artista rappresenta una “anomalia”, la sua visione del mondo ci regala sempre occhi nuovi e, ogni opera, anche quella più singolare e solitaria, ha nel dna la necessità di considerare un altro essere umano. L’arte è una caratteristica specifica della nostra forma di vita, come la stazione eretta, il pollice opponibile e la doppia articolazione. Cosa che ci impedisce di considerare uomo quella caricatura dell’umano che è l’homo oeconomicus, sempre proteso all’utile, a massimizzare i profitti col minimo sforzo.

Tra gli incarichi che ti sono stati affidati, in quanto direttore artistico, figura anche quello di gestore degli spazi del museo. Qual è il tuo giudizio in merito alle sale del MACRO?
Il MACRO asilo è un museo ospitale, un museo dove “stare” e non solo da attraversare. Quindi faremo in modo di renderlo accogliente e “abitabile”. Con l’architetto Carmelo Baglivo stiamo progettando una serie di stanze dove lavorare. Ci sarà una stanza che accoglierà la grande quadreria che intendo realizzare utilizzando parte della collezione del museo (e che servirà a ricordarci che questo è un posto dove gli artisti collaborano in ragione delle loro differenze). Poi la stanza delle parole, dove lavoreremo al nuovo dizionario del contemporaneo, con appuntamento calendarizzati giorno per giorno, i quattro atelier per gli artisti che lavoreranno live… le due piazze, quella al coperto e la terrazza, per le performance. E una grande stanza dedicata a Rome, nome plurale di città. Mi piacerebbe avere in prestito, per la durata del progetto, il tavolo del Mediterraneo di Michelangelo, un’opera abitabile e fortemente simbolica.

Che cos’è l’arte contemporanea per Giorgio de Finis?
L’arte è sempre una istanza di libertà. Questa libertà oggi, come mai prima d’ora nella storia, coincide con la singolarità. Ogni artista, in quest’epoca, un’epoca che Perniola ha definito dell’arte “espansa”, genera il proprio idioletto. Questa eterogeneità è ricchezza e, in qualche modo, combatte il pensiero unico e l’omologazione; il problema è: come uscire dalla solitudine del proprio idioletto?


Nella foto di copertina Giorgio de Finis con alle spalle il muro dipinto per la ludoteca da Alice Pasquini.