“Ibrahim”, al Macro Asilo il racconto di un’Odissea senza tempo
Al Museo d’Arte Contemporanea di Roma, da oggi a domenica 8 settembre, viene proposto il progetto di ricerca a cura di Manuel Canelles (ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso) e Ivan Crico. Il progetto si ispira all'opera di Géricault "L’uomo che guarda e contempla il mare": scopriamo tutti i dettagli.

Una fuga dalla guerra, una drammatica traversata nel deserto, la reclusione in un campo di detenzione libico e un viaggio in gommone verso le coste italiane: è questa, in sintesi, la recente storia di Ibrahim, il giovane attore africano protagonista dell’omonimo progetto artistico che si potrà scoprire nella a Roma a partire da oggi. Presso l’Ambiente #1 del Macro Asilo di via Nizza 138, infatti, verrà proposto per tutta la settimana – a partire da oggi, 3 settembre – il progetto che, attraverso una stratificazione di codici espressivi differenti (come pittura, teatro/cinema e fotografia), restituisce forma e colore ad una perduta opera di Géricault, ovvero L’uomo che guarda e contempla il mare. Il lavoro in questione è simbolo di odissee e naufragi anche esistenziali, di cui non sono pervenute testimonianze iconografiche, ma della quale rimane traccia solo in documentazioni scritte. Il progetto di ricerca Ibrahim è curato* da Manuel Canelles e Ivan Crico: il primo, regista, coach teatrale, artista visivo e ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso, concentra ogni sua azione artistica sulla pratica relazionale con l’obiettivo di ridefinire il linguaggio scenico per applicarlo alla dimensione dell’arte contemporanea; il secondo, artista e poeta, ha creato numerosi progetti multidisciplinari tra arte, musica e letteratura e insegna Cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Udine.

I margini di interpretazione che i racconti offrono – si legge nella nota stampa dell’iniziativa – permettono di tradurre il perduto invisibile e dare la possibilità alla pittura di essere reinventata, ristabilendo un colloquio con la realtà contemporanea, con l’intento di problematizzare il concetto di scomparso, secondo l’assunto per cui ciò che è esistito è sempre, attraverso il filtro della memoria, anche inevitabilmente interpretato/reinterpretato. Lavorare su di un’opera di cui non sopravvivono documentazioni visive lascia margini di interpretazione estremamente ampi, quasi infiniti: l’opera scomparsa diventa un pretesto per lavorare su soggetti con cui mai ci si sarebbe confrontati, e, soprattutto, diventa il punto d’avvio per avviare un’indagine di cui è impossibile preventivamente ipotizzare gli sviluppi”.


*Nel dietro le quinte dell’iniziativa – realizzata in collaborazione con Interno 14 next – figurano anche Martina Ferraretto (direzione della fotografia) ed Erica Benfatto (vocalist).