Le api sono “stressate”, ecco perché il raccolto è in declino
Gli impollinatori sono un tassello fondamentale nel sistema naturale. La produzione del miele rivela come queste specie siano minacciate, con un contributo negativo che viene anche dall'uomo.

La siccità, i cambiamenti climatici e fattori ambientali influenzati dall’uomo stanno mutando vari aspetti della natura come, per esempio, la produzione del miele. Il presidente del Conapi Diego Pagani ha dichiarato che quest’anno la produzione e il raccolto hanno subito un forte calo. Si è passati da 275mila chili di miele d’acacia prodotti nel 2016 a 198mila di questo anno. Il fattore principale che ha influenzato la produzione è stato l’eccessiva siccità di questi mesi. L’osservatorio nazionale per il miele ha registrato una leggera ripresa nel mese di ottobre grazie alle prime piogge autunnali accompagnate da temperature miti, ma i mesi di siccità hanno decimato le produzioni: quella di settembre – del miele d’acacia – è stata minore dell’80%, visto che il clima arido ha determinato un anticipo del termine della produzione da parte delle famiglie e ne ha compromesso il raccolti estivi.

L’ape non è solo un’operaia produttrice, ma è importantissima per l’equilibrio dell’ecosistema come tutti gli altri impollinatori. “Senza l’impollinazione effettuata dagli insetti – come spiega la ricercatrice Claire Kremen – circa un terzo delle colture a scopo alimentare dovrebbe essere impollinato con altri mezzi. I cambiamenti climatici sono uno dei fattori che influisce sulla vita degli impollinatori. Le cause che incidono sulla loro salute, tuttavia, sono anche altre, correlate a malattie e parassiti, oltre che alle pratiche agricole di stampo industriale”.

Il rapporto elaborato da Greenpeace “Api in declino”, ci offre una panoramica sintetica ma dettagliata delle varie problematiche. La correlazione tra parassiti e pesticidi è fatale: esistono parassiti altamente invasivi per le api, come la Nosema. Quando l’ape, già esposta a pesticidi, entra in contatto con essa, si indebolisce a tal punto da riscontrare uno stress che può portare alla morte. L’agricoltura industriale è ugualmente responsabile del collasso delle famiglie, che non possono sfuggire ai pesanti impatti che provoca, come la distruzione di numerosi habitat naturali e l’uniformazione della biodiversità.

Quella del declino degli alveari è considerata una vera e propria sindrome, chiamata “Colony Collaps Disorder“, riscontrata per la prima volta nel 2006 nel Nord America e successivamente apparsa anche in alcuni stati europei come l’Italia. Oggi le morie documentate sono centinaia, ma esistono certamente delle soluzioni attuabili, in modo da arginare il problema. Ogni passo utile alla trasformazione dell’attuale modello agricolo è fondamentale, di modo che si volga ad una tradizione ecologica e biologica, vantaggiosa non solo per gli insetti impollinatori, ma anche per l’ambiente e la sicurezza alimentare. Si dovrebbe iniziare a vietare l’uso di pesticidi dannosi per le api, sostenere e promuovere pratiche agricole sostenibili – possibili se i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo di quest’ultime fossero maggiori – e migliorare la conservazione degli habitat naturali.

È una visione utopistica? Esistono tutt’oggi molti esempi concreti rivolti alla trasformazione dei modelli agricoli, come l’azienda pilota dimostrativa di Vallevecchia, dove il ricercatore Lorenzo Furlan testa per la Regione Veneto innovazioni agricole. Risolta quindi fondamentale concentrarsi sull’agricoltura sostenibile e sulla ricerca di soluzioni che – come spiega Furlan – riescano a ridurre l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente aumentando la fertilità del terreno, senza pesare sul reddito delle aziende. La sensibilità verso il tema agricoltura è in continuo aumento ed è da auspicarsi, quindi, che le politiche statali a livello nazionale ed europeo portino maggiore attenzione verso la tematica.