Stop allo spreco: quando il pane non venduto diventa birra
Attraverso la ripresa di un’antica ricetta babilonese, un nuovo progetto cerca di contrastare lo spreco del pane invenduto in ipermercati e panetterie. Si attua quello che potremmo definire un ‘riciclo creativo’: l’alimento viene recuperato e reinventato sotto forma di birra. Si tratta di un'iniziativa avviata in Inghilterra da Tristram Stuart, direttore dell’associazione ‘Feedback’.

Lascia senza parole pensare che oltre il 40% del pane prodotto quotidianamente viene, a fine giornata, buttato nella spazzatura perché non venduto. Sicuramente un enorme spreco. Per ovviare a questo problema, un cittadino britannico ha inventato una birra ottenuta dal pane raffermo. Il suo nome è Tristram Stuart e da anni, con la sua associazione ‘Feedback’, conduce una lotta contro lo spreco del cibo. Nel 2016, di ritorno da un viaggio in Belgio intrapreso appositamente per scoprire ed imparare le tecniche di fermentazione della birra, ha deciso di dare vita a una produzione propria, il cui ingrediente principale è il pane. È così che nasce la ‘Toast Ale’.

È importante chiarire che la ricetta in questione è di origine babilonese, perciò non si tratta di un’invenzione da attribuire completamente all’ideatore dell’iniziativa, ma di sicuro gli va riconosciuto il merito di averla riportata ai giorni nostri. Il processo di produzione della birra anti-spreco prevede che il pane venga affettato e sbriciolato, poi abbrustolito e, in seguito, lasciato a fermentare insieme ad orzo, luppolo e lievito. Il risultato è una birra che si presenta alla vista con un colore ambrato e al palato regala un retrogusto di caramello conferitole dal pane ‘stantio’.

L’originale ‘Toast Ale’ è di certo inglese, ma dall’incontro tra Tristram Stuart e Madi Hotzman, studiosa dei meccanismi dell’alimentazione presso l’università di New York, nasce l’idea di una versione americana. Il risultato è leggermente diverso dal prodotto inglese: presenta una minore fragranza di orzo e malto e una gradazione alcolica di poco più alta. A differenza dell’Inghilterra, dove la ‘Toast Ale’ è stata subito venduta in birrerie, pub e supermercati al prezzo di 3 sterline, in America la distribuzione ha presentato una maggiore difficoltà. Bisognava trovare birrifici artigianali attivi sul territorio in grado di sostenere una produzione aggiuntiva. Al termine di svariate ricerche, a marzo di quest’anno, il birrificio newyorkese Chelsea Craft Brewing Company ha intrapreso il progetto, producendo il primo lotto di birra.

Sono presenti, inoltre, due protagoniste italiane: la ‘AncestrAle’ nel Lazio e la ‘Biova Beer’ in Piemonte. Per la nascita della ‘AncestrAle’, è stato importante l’ incontro tra Slow food e Eataly. Come riportato in una news su italiaatavola.net, il consigliere nazionale di Slow Food Italia, Roberto Muzi, ha proposto a Claudio Lorenzini, direttore del birrificio Alta Quota, di produrre birra a base di pane raffermo, con la collaborazione di Eataly Roma Ostiense, il cui ruolo è quello di fornitore della materia principale, il pane. A questa idea è stata data fiducia e gli obiettivi sono stati raggiunti: si è così arrivati alla produzione di una birra a base di pane. Ai microfoni di italiaatavola.netRoberto Muzi ha spiegato le peculiarità della sua birra: “Sapore ambrato, sentori di caramello, crosta di pane, prodotti da forno, miele, fiori in decomposizione e frutta matura. In sottofondo note di zucchero, pera cotta e caramello”.

In Piemonte, invece, la birra anti-spreco porta il nome di ‘Biova beer’ (‘biova’ come il nome del pane tipico piemontese, cotto nei forni a legna delle valli occitane). L’idea è di tre giovani che lavorano sul territorio: un regista Franco Dipietro e due mastri birrai Enrico Ponza e Fabio Ferrua. I tre autori di ‘Biovia beer’ la descrivono, in una news pubblicata su HuffPost, come un progetto di economia circolare contro lo spreco alimentare. Per ora sono state prodotte circa cinquemila bottiglie per cento chili di pane che, altrimenti, sarebbe stato buttato. La ‘Biova beer’ si presenta come una birra dal sapore ‘estivo’, non molto alcolica, con un retrogusto sapido a causa del sale presente nel pane.

In questo modo è stato possibile dare una ‘nuova vita’ al pane invenduto. Si tratta, inoltre, di un prodotto conveniente sia per l’ambiente sia in termini economici: richiede un numero inferiore di processi di produzione, i quali risultano anche meno costosi partendo da un prodotto principale di cui si è già provvisti.
Riuscirà questa iniziativa ad espandersi ancora e diventare un esempio virtuoso nella lotta contro gli sprechi alimentari?