Let Eat Bi, un Terzo Paradiso di cibo sano e locale in terra biellese
"Con il il mercatino e il catasto solidale mettiamo in luce gli agricoltori locali e i loro prodotti". Intervista ad Armona Pistoletto, presidente dell'associazione incentrata su nutrimento e condivisione delle terre "abban-donate".

“L’uomo è ciò che mangia”. Come affermava Ludwing Feuerbach, filosofo tedesco dell’800, anche a Cittadellarte c’è un’associazione che dà valore al nutrimento e al mangiare sano. Si tratta di “Let Eat Bi”, progetto che mira a sviluppare iniziative che hanno come filo conduttore la terra e il cibo. Una macroarea importante della Fondazione Pistoletto, che concretizza il Terzo Paradiso in terra biellese. Cuore pulsante dell’iniziativa biellese, il catasto solidale ha l’obbiettivo di valorizzare le terre “abban-donate“; il gioco di parole si rifà al significato stesso del catasto. Il progetto, infatti, vuole far sì che i proprietari di campi inutilizzati donino i terreni a Let Eat Bi, che a sua volta li valorizzerà con l’anagrafe solidale; questo si traduce nel dare la possibilità di lavorare e coltivare un terreno anche a chi non ne possiede. Armona Pistoletto, che ricopre la figura di presidente del sodalizio, racconta il progetto che la vede protagonista.

Com’è nato Let Eat Bi?
In principio avevo idea di creare un progetto che potesse sfruttare e ridurre i terreni abbandonati, dando possibilità ai produttori locali di lavorarci. Insieme a Gigi Spina, ricercatore interessato a queste tematiche, ci incontrammo e demmo vita a Let Eat Bi. Inizialmente conoscemmo le realtà presenti nel territorio, creando legami e collaborazioni con agronomi e produttori locali. In seguito, grazie all’aiuto di uno dei nostri volontari (un commercialista), siamo diventati un’associazione. Questo è stato un passo fondamentale per essere riconosciuti e per poter svolgere le attività che ci eravamo prefissati.

Quale significato ha il nome dell’associazione?
L’idea di chiamarla”Let Eat Bi” è nata da Gigi Spina. Lui illustrò varie proposte, ma questo nome molto significativo mi colpì subito. Oltre al richiamo alla celebre canzone dei Beatles, è evidente il collegamento al nostro territorio (“Bi” deriva da Biella) e al cibo (“Eat”, dall’inglese il verbo to eat, che significa mangiare).

Quali obbiettivi si è posta con il suo progetto?
Il nostro gruppo, tra agronomi e aziende agricole, è nato dal basso come necessità del territorio, dal bisogno di un luogo che fosse fuori dalle parti. Let Eat Bi è stato identificato come progetto ideale; in precedenza ognuno era confinato al proprio orto, senza alcun tipo di condivisione. Con l’associazione, invece, abbiamo voluto mettere in rete le realtà biellesi, collegandole tra loro e dando la possibilità di fare progetti condivisi.

A quali iniziative sta lavorando?
I progetti più importanti riguardano il catasto solidale e l’anagrafe solidale, già molto attivi visto che ci sono tre terreni in funzione. Speriamo di arrivare, nel tempo, a decine di campi, per dare grande impatto all’iniziativa nel biellese. Curiamo anche l’accademia verde: è un altro progetto che stiamo portando avanti, si tratta di incontri, di “per-corsi” con agronomi o esperti del territorio. In questo caso non chiamiamo l’esperto da fuori Biella che insegni come lavorare sul territorio, ma vogliamo far insegnare chi è già in zona, facendogli condividere le sue esperienze e il suo sapere.

Come mettete a disposizione del pubblico i prodotti?
Grazie a uno speciale mercatino, dove vendiamo i frutti della terra dei partner. Al momento VegaGé se ne sta occupando; è una piccola produttrice che abbiamo conosciuto grazie al catasto solidale. È possibile acquistare i prodotti che ci vengono lasciati o i nostri collaboratori possono venire a vendere di persona. Per quanto concerne gli orari, siamo aperti il venerdì dalle 17.30 alle 19 e il mercoledì dalle 10.30 alle 13.30.

Come si diventa partner Let Eat Bi?
Ci sono degli appositi dossier da compilare per produttori, agricoltori, cooperative, associazioni e per chi fa la somministrazione. Chiediamo come e dove producono, oltre a tutte le informazioni importanti. Anche se non hanno una certificazione biologica, possono redigere una dichiarazione di non utilizzo di prodotti chimici nei terreni; questo per dare una sicurezza al cliente di comprare prodotti di qualità.

La vostra associazione si è impegnata con le scuole, come volete sviluppare questo aspetto?
Sarebbe bello organizzare altri progetti di alternanza scuola lavoro, il primo con la gastronomia Mosca 1916 è andato molto bene, c’è stato grande entusiasmo da parte degli alunni. Vorremmo ripetere quest’esperienza, identificando i partner adatti per l’iniziativa. Sarebbe importante riuscire a sviluppare anche un’iniziativa nei campi con gli immigrati presenti nel territorio, seguiti da un agronomo.

Tra i principi cardine di Let Eat Bi c’è il nutrimento, quanto è importante mangiare sano?
Senza dubbio è un aspetto fondamentale; cibarsi con alimenti locali e stagionali dà la possibilità di ammalarsi meno e stare meglio, sia fisicamente sia psicologicamente. Non si tratta solo di mangiare, ma di dare vita al territorio in cui abitiamo, per far sì che i produttori locali del nostro territorio non muoiano, ma che continuino a svilupparsi e coltivare.

Che significato ha trovarsi a Cittadellarte?
Essere nel contesto della Fondazione Pistoletto è importantissimo. Questo perché permette ai produttori di avere a disposizione un luogo “neutro”; non siamo, infatti, un’associazione di categoria con interessi personali o commerciali. Si rivela significativo anche per Cittadellarte, perché portiamo un esempio concreto di ambasciata del Terzo Paradiso, un progetto di cambiamento sociale e di inclusione nato a Biella.

Il simbolo del Terzo Paradiso è presente anche nel logo di Let Eat Bi, come sono collegati?
Il Terzo Paradiso ha come concetto fondamentale quello di creare equilibrio tra natura e artificio, portando cambiamento e rinascita; Let Eat Bi è proprio un esempio pratico che rispecchia questo concetto. In questo senso l’arte è legata a un progetto reale e vuole entrare nella società, fino a essere utile per un cambiamento responsabile.

Quali sono le prospettive del suo progetto?
Innanzitutto che funzioni bene a Biella. Un grande obbiettivo sarebbe quello di arrivare a cento campi di catasto solidale e anagrafe, facendo diventare il mercatino un punto di riferimento per il territorio. Altra mission sarebbe sviluppare e potenziare l’accademia verde, magari collegandola con il futuro corso di Diploma Accademico in Social Innovation Design. Un grande traguardo sarebbe vedere l’associazione sviluppata a tal punto da diventare una possibilità lavorativa per qualche giovane. A livello pratico non sarà facile, per ora il direttivo è formato da otto persone che sono molto impegnate. In ogni caso, la sottoscritta insieme alla stagista Francesca, continuerà a lavorarci per far sì che tutti i progetti si possano realizzare. Sarebbe fantastico se Let eat Bi si espandesse e diventasse un modello di emulazione in altre città.