Arte dell’equilibrio #18 | Massimiliano Vannucci, dove abiterai?
Il gallerista è il diciottesimo ospite dell'iniziativa “Arte dell’equilibrio / Pandemopraxia” lanciata da Cittadellarte. Massimiliano Vannucci ricorda i giorni di lockdown e si chiede "se l'arte ha ancora senso quando temiamo per la vita". L'architetto, inoltre, riflette su cosa succederà al nostro "essere sociale": "Dopo questo periodo di distanziamento saremo in grado ancora di fidarci l'uno dell'altro e riappropriarci delle distanze giuste?". Vi proponiamo il suo pensiero.

Dove abiterai?

Brevi riflessioni dalla quarantena
Durante questa lunga emergenza sanitaria, soprattutto nei momenti di grande paura, quando il contagio sembrava non fermarsi e i morti crescevano annunciati da ogni mezzo di informazione, mi sono chiesto se le mie competenze erano utili a qualcosa e se l’arte ha ancora senso quando temiamo per la vita.
Sono stati giorni di distacco durante i quali ci siamo riversati a leggere libri, guardare film, visionare online musei che non abbiamo mai visitato trovando in essi e nelle altre forme d’arte fruibili un momento di speranza, di consolazione e di necessario allontanamento dal quotidiano.

Allora ho compreso che l’arte è una cura: ogni opera d’arte è una forma di amore, perché ogni artista dona se stesso agli altri con entusiasmo e generosità, e questa generosità crea empatia con lo spettatore, che diventa ‘essere risonante’.
Non possiamo vivere senza questo entusiasmo. L’arte ci guarisce dalla depressione, ed è in questo reciproco prendersi cura, donare se stessi, che sta il senso della nostra vita.
Pensando a questo mi è tornata alla mente l’opera Si aprono le porte che Giuseppe Spagnulo realizzò qualche anno fa per commemorare i martiri del Padule di Fucecchio (l’opera è visibile nel cimitero di Cintolese). L’opera è una grande ruota in blocchi di terracotta con tanti numeri quanti furono i martiri; i blocchi in parte sono caduti aprendo così una sorta di portale inscritto nel cerchio.

Si aprono le porte è un segno laico ma impregnato di religiosità, volto ad un futuro consolatorio. Ricordo l’emozione di Giuseppe e quella dei presenti all’inaugurazione dell’opera; la sua anima era in quel dono per noi. Pochi giorni dopo Giuseppe sarebbe morto, ma in quel gesto significativo l’artista ci aveva riconciliato con il nostro passato e ci aveva dato una speranza per il futuro.
L’arte è quindi anche esperienza collettiva, dà senso e riconoscibilità ad una comunità.

Una seconda breve riflessione: cosa succederà al nostro essere sociale? Dopo questo periodo di distanziamento saremo in grado ancora di fidarci l’uno dell’altro e riappropriarci delle distanze giuste?
Prima di tutto mi è venuto in mente un concetto di Aristotele che parla dell’uomo come animale sociale. Questo concetto è emerso con forza anche in questo momento di socialità ridotta attraverso l’uso dei canali virtuali, le videoconferenze, le videochiamate con cui abbiamo alimentato e tenuto vivi i rapporti esistenti, ma è nata anche una nuova forma di solidarietà di vicinato legata agli spazi intermedi: abbiamo parlato con vicini che non sapevamo di avere, incontrandoci nei giardini di fronte alle abitazioni, sui balconi, nelle scale condominiali. Questi luoghi saranno, non solo nella nostra percezione, radicalmente diversi dopo questa pausa di emergenza sanitaria.

E questa nuova solidarietà, nata caparbiamente come le erbacce, avrà bisogno di un ripensamento. Questi spazi di interconnessione saranno i cardini della nuova idea di spazio pubblico.
Ed infine anche un ritrovato colloquio con la natura che ha ripreso luoghi prima persi anche all’interno delle città nei parchi e nelle strade. Questo farà sì che i rinnovati occhi apprezzeranno ciò che si trova vicino a noi. Non solo: anche i nuovi spazi pubblici saranno non solo luoghi di decompressione fra un appuntamento e l’altro, ma contesti in cui la vita potrà incontrarsi con la gioia.


Foto di copertina: Massimiliano Vannucci (architetto, Galleria Vannucci Arte Contemporanea).
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