Arte dell’equilibrio #46 | Cesare Biasini Selvaggi, chi incontrerai?
Il direttore editoriale di Exibart è il 46esimo ospite dell'iniziativa "Arte dell'equilibrio/Pandemopraxia" lanciata da Cittadellarte. Cesare Biasini Selvaggi, dopo una prima analisi sull'impatto del Covid-19 nella società, si sofferma sulla domanda della rubrica, individuando in Carolyn Christov-Bakargiev (direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e della Fondazione Francesco Federico Cerruti di Torino) la persona che vorrebbe incontrare. L'ospite, comunque, racconta come si sia già confrontato per un'intervista - via Skype - con Christov-Bakargiev e propone alcune parti salienti del loro dialogo, ripercorrendo quanto emerso e proponendo le loro riflessioni multitematiche associate al mondo dell'arte. 

Chi incontrerai?

Mi sto interrogando da tempo, dai mesi del lockdown, su come cambieremo o non cambieremo nel dopo-pandemia. E sto giungendo, in maniera sempre più netta, a questa convinzione: o ci sarà un radicale cambiamento da parte dell’umanità, e la pandemia sarà trasformata nell’opportunità epocale per fondare un equilibrio di prosperità sostenibile e responsabile, oppure ci sarà la restaurazione dello status quo, anzi la sua versione addirittura peggiorativa. Non ci sarà insomma, a mio avviso, una via di mezzo. Il dopo-pandemia non sarà grigio, ma bianco o nero.

In questo contesto stra-ordinario il ruolo dell’arte si conferma centrale. Perché oggi è il tempo di una rivoluzione il cui epicentro sia evolutivo, e non più politico. Diventano sempre più importanti allora la definizione e il conseguimento di una diversa visione, di Paese, di pianeta, di bene comune e di comunità. Ma non è sufficiente una visione diversa, alternativa. Ne occorre una ‘laterale’ per conseguire una discontinuità effettiva, rifondativa e, come tale, ‘laterale’. E ‘laterale’ è il pensiero degli artisti, quel loro ‘passo del torero’, come lo ha ribattezzato Michelangelo Pistoletto. Il pensiero cioè che scavalca ‘il toro’ delle consuetudini, dell’autorità, dell’ordine pre-costituito, delle corporazioni, ma anche il ‘toro” dell’immanente presente in cui siamo immersi, o meglio, invischiati da tempo. Quindi, per rispondere alla domanda che mi è stata rivolta, chi incontrerò? Mi piacerebbe rispondere proprio Michelangelo Pistoletto, ma in questo contesto sarebbe troppo autoreferenziale. L’alternativa allora non è un artista in senso stretto, ma una curatrice, probabilmente la più visionaria e ‘laterale’ della nostra contemporaneità. Vale a dire Carolyn Christov-Bakargiev, passaporto italo-statunitense, attualmente direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e della Fondazione Francesco Federico Cerruti di Torino.

A dirla tutta, la volevo incontrare, e l’ho incontrata per davvero. Certo via Skype, con la modalità ‘non in presenza’ a cui dobbiamo ricorrere più diffusamente al tempo del Covid-19. Ma l’ho incontrata e l’ho intervistata a lungo per la testata di cui sono il direttore editoriale, Exibart. Abbiamo parlato di futuro con una visione ‘laterale’. Ne è emerso come la questione più urgente in questo momento, ovvero il rapporto ‘uomo-natura’, non sia da declinare verso una de-antropocentrizzazione. Il vero problema in qualche modo, senza essere conservatori, è invece quello di ri-antropocentrizzare, in un’alleanza cosmopolita con il vivente non umano (le piante, ecc.), senza andare contro una visione ecologica. Ma cercando di affrontare la questione della difesa del libero arbitrio – di una pianta, di un animale, di un essere umano – di fronte a un mondo predittivo e algoritmico (Internet of things).

Questa perdita di libero arbitrio nella società avanzata digitale rappresenta il più grande pericolo, in quanto – secondo Carolyn – il miglior algoritmo che potremmo scrivere individuerebbe senz’altro la distruzione della specie umana come unica soluzione ai problemi del pianeta. La distruzione cioè di una specie ormai parassita che ha logorato la terra e ne ha sconvolto gli equilibri. Ci troviamo quindi davanti a un problema filosofico profondo: come restituire, oggi, senso all’esistenza dell’essere umano? Se dovessimo proseguire nella direzione verso cui l’uomo sta avanzando da tempo, non ci sarebbe più modo di giustificare la presenza dell’essere umano sul pianeta. Ma c’è anche un’altra questione cruciale. La necessità di una partecipazione collettiva, che riguarda quindi anche noi italiani (e dovremo imparare al riguardo a metterci in discussione), alla riscrittura della storia, storia dell’arte compresa, in senso globale. Quella storia canonica, dell’arte e non solo, che a un certo punto passava molto per l’Europa e per l’Italia, è infatti totalmente in crisi a livello mondiale perché, con la digitalizzazione e la globalizzazione, ci si è resi conto delle incredibili civiltà di altri secoli, dalla Cina all’America Latina. Cambiando la definizione di Storia e di Arte non è detto, per esempio, che la prospettiva rinascimentale sia più importante della visione piatta bidimensionale degli indigeni d’Australia. Queste considerazioni ci riconducono direttamente alla più recente attualità, alla questione terribile e preoccupante delle statue di bronzo di personaggi storici che, in questi tempi, si stanno abbattendo un po’ dovunque in Occidente. Il dibattito al riguardo, fino a oggi, è stato confinato solo all’interno di due tifoserie opposte: tra revisionisti e non-revisionisti. Ma la questione richiede un passo in avanti, ‘laterale’, per comprenderne l’effettivo significato simbolico e non solo, e i possibili effetti futuri.

Il pensiero di Carolyn Christov-Bakargiev si conferma ancora una volta illuminante. Perché Carolyn ci legge nella distruzione dell’arte una sorta di terribile premonizione che anticipa la distruzione di corpi. Quando nel marzo del 2001 sono stati fatti saltare i Buddha di Bamiyan, lei mi racconta quanto ne rimase scioccata. La sua apprensione non era unicamente rivolta alla perdita dell’oggetto artistico in sé per sé, perché avvertiva che c’era qualcosa di più. E sei mesi dopo, l’11 settembre dello stesso anno, per mano della stessa organizzazione terroristica, furono colpite e distrutte le Torri Gemelle. Così, quando oggi vede sculture decapitate che rotolano, pensa a un’aggressività e a una violenza enorme che sono state a lungo represse, e pensa a Robespierre. Questo, naturalmente, non vuol dire non essere favorevole e in accordo con il pensiero del movimento Black Lives Matter. Perché gli Stati Uniti hanno senza dubbio una sorta di peccato originale fondato sulla schiavitù, sullo sfruttamento del lavoro gratuito degli schiavi, e la società statunitense si fermerebbe se tutto il lavoro più umile non fosse svolto dalla parte più povera della popolazione, che è soprattutto ‘black’.

È lapalissiano, pertanto, che ci siano profonde contraddizioni e ipocrisie nella società degli Stati Uniti. Pur chiarendo pertanto che la mobilitazione in corso di Black Lives Matter e di altri movimenti analoghi sia vitale, e che da questa terribile sofferenza intestina deriveranno dei miglioramenti; ciò detto il fatto che vengano distrutte statue dalle sembianze umane, di persone di potere, spaventa Carolyn Christov-Bakargiev non poco, perché è un segnale che porta a pensare inevitabilmente a una conseguente caduta di valore del corpo umano in conflitti futuri che potrebbero non essere tanto lontani, con l’accelerazione che ha portato con sé la pandemia in atto.
La sopravvivenza della cultura umana e del valore della vita della società si rivela intrecciata, ancora una volta, con questa problematica intorno al livello del simbolico che è il livello dell’arte.


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