Arte dell’equilibrio #69 | Silvia Avallone, come comunicherai?
La scrittrice è la 69esima partecipante dell'iniziativa "Arte dell'equilibrio/Pandemopraxia" lanciata da Cittadellarte. Silvia Avallone riflette su come la pandemia abbia "spazzato via" l'apparenza, specificando che con l’avvento della società dell’immagine e dei social la comunicazione sia diventata “ricerca spasmodica di perfezione illusoria”. L'ospite di questa puntata si sofferma quindi sulla domanda della rubrica: "Che ogni vita - ha affermato - sia comunicata come un romanzo. Che ogni parola ritrovi la complessità indefinibile della persona, e schivi i numeri con cui ci hanno insegnato a distribuire valore. Impariamo di nuovo a usare le parole per interrogare e non per semplificare, per fare comunità e non polemica”.

Come comunicherai?

La pandemia è arrivata e ha spazzato via l’apparenza: l’ha definitivamente sbugiardata. Apparire, infatti, non ci serve più, ammesso che sia mai davvero servito. Quel che ci serve ora è reimparare a raccontare, a raccontarci: non nell’istante, ma nella storia.
Fino al febbraio scorso, la comunicazione ruotava ossessivamente intorno alla necessità di sembrare, piacere, brillare in superficie, attrarre. Con l’avvento della società dell’immagine e dei social, la comunicazione era diventata ricerca spasmodica di perfezione illusoria, di frammenti avulsi di felicità, non tanto da condividere, quanto da esibire. Tutti noi siamo stati spinti a ubbidire a certi canoni, a uniformarci a una piatta e bidimensionale versione di noi stessi, a semplificarci e a nasconderci dietro la nostra immagine, a metterci in vetrina come oggetti. Specularmente, siamo stati invitati a diffidare o persino ad aggredire chiunque fosse percepibile come “diverso”, disubbidiente a quei canoni, a quegli algoritmi.
La letteratura però mi ha da sempre insegnato che è il diverso che ci salva e ci libera, non l’identico. L’incontro inaspettato con uno sconosciuto in un romanzo, come nella realtà, è la forza che ci prende e ci porta via, oltre la nostra vita, a sperimentarne altre. Ma non dall’esterno, giudicando un’apparenza, fermandoci a un’immagine, bensì dall’interno: dai pensieri, dalle emozioni, dai segreti di qualcuno che è, anzitutto, una storia da raccontare.
Ecco, noi siamo storie. E la società del consumismo estremo in cui abbiamo vissuto e non possiamo più vivere aveva tentato di farci scordare quello che, per me, resta il cuore della comunicazione. Per comunicare sul serio non possiamo competere o combattere con le nostre apparenze. Ci scattiamo una foto con una certa luce, digitiamo velocemente un insulto in rete, ma così non stiamo dicendo nulla, né della realtà né di noi stessi. Non stiamo partecipando alla comunità, non ci stiamo incontrando, non stiamo provando a capire e a interrogare il nostro tempo. Stiamo solo disimparando a parlare, e precipitando nella solitudine.
Prima della pandemia pensavamo di comunicare molto, ma annaspavamo in un linguaggio impoverito, trito, banale e zeppo di violenza. Poi ci siamo ritrovati di colpo confinati in casa, abbiamo perso ogni abitudine e ogni certezza, ci sono mancate le parole, e da questo vuoto abbiamo avvertito quanto ci servissero. Parole oneste, capaci di rendere onore alla realtà. Parole nuove che ci guidassero verso un futuro ignoto.
In un momento storico di enorme difficoltà come questo, in cui tutte le vecchie regole sembrano non tenere più, vale allora la pena far saltare anche la regola dell’apparenza, del pregiudizio e della mercificazione come cardini della comunicazione. Che ogni vita sia comunicata come un romanzo, invece. Che ogni parola ritrovi la complessità indefinibile della persona, e schivi i numeri con cui ci hanno insegnato a distribuire valore. Impariamo di nuovo a usare le parole per interrogare e non per semplificare, per fare comunità e non polemica. Che la rete diventi un mezzo al servizio della realtà anziché dell’apparenza.
Comunicare qualcosa significa strapparla al silenzio, farla esistere, renderle onore. Comunicare ha, quindi, un valore etico fondamentale, e il potere di cambiare la nostra consapevolezza, i nostri comportamenti.
Prendiamoci il tempo di ascoltare gli altri, di sfogliare il vocabolario per trovare le parole esatte che non tradiscano, ma che custodiscano, la storia della persona, del luogo, della realtà che vogliamo raccontare. Per prendercene cura, affrontarla e, in questo preciso momento, per immaginare il mondo nuovo che andremo ad abitare.

Silvia Avallone
Il contributo di Silvia Avallone è pubblicato in accordo con MalaTesta Lit. Ag., Milano.

 


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Il 10 novembre, nelle librerie, uscirà il nuovo libro della scrittrice intitolato Un’amicizia pubblicato da Rizzoli.