Antropòceneannàmo
Il 16 novembre si è tenuto il convegno "I luoghi della cultura protagonisti della rigenerazione urbana", organizzato nell'ambito della XVIII edizione di "Urbanpromo", che verteva su indagine del ruolo urbano e territoriale degli spazi culturali. All'incontro in programma al MEET Digital Culture Center di Milano hanno partecipato come relatori anche Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, e Michele Cerruti But, coordinatore accademico di Accademia Unidee. Vi proponiamo l'intervento integrale di Naldini.

Come si sentono oggi quelli che pensavano che le culture premoderne fossero in via d’estinzione e la modernità fosse invece la strada tracciata oramai definitivamente per la prosperità? Oggi che siamo proprio noi moderni, in via d’estinzione?

C’erano i popoli amazzonici, gli inuit… non so quanto davvero importasse di loro in certi ambienti, ma comunque ci si faceva tutti vedere piuttosto compresi della loro sorte, lo si prendeva come un destino oramai inevitabile di decadenza e scomparsa, sarebbero stati assunti da un progresso che tutto sommato gli avrebbe fatto bene, avrebbe portato loro medicine e comfort e la liberazione dallo stato di natura, poveretti…
Un po’ come gli artigiani. Nell’epoca del capitalismo finanziario, che ha preso il posto di quello industriale, erano in pochi a saper che cosa farne di questi mondi definiti in via d’estinzione, tranne nelle pubblicità che dicevano, come si sa, grandi balle. Hermés e Cucinelli hanno trovato un modo, nella moda, di integrare veramente il capitale che l’artigianato e le tradizioni rappresentano. Ma nell’accezione comune artigianale è diventato sinonimo di raffazzonato e pressapochistico: scusa, questo oggetto è un po’ imperfetto, sai, è fatto in modo artigianale… come se invece, fosse fatto in modo industriale, sarebbe perfetto! A parte che anche se fosse perfetto ci penserebbero i geni dell’obsolescenza programmata a privarlo di questa inumana caratteristica. Del resto anche premoderno è generalmente inteso in senso diminutivo. Al di là dei ristretti circoli degli studiosi e dei pensatori (molti di noi non ci definirei pensatori, siamo più che altri ripetitori di pensieri altrui, siamo pensati più che pensatori, e spesso non ne siamo nemmeno consapevoli), i premoderni sono i primitivi, darwinianamente affini ai primati.
Ci è voluto uno di Arcigola per farci pensare ai primitivi come a dei maestri.

Con Terra Madre i contadini del mondo sono stati invitati come delegazioni governative e capi di stato. Io ricordo la prima volta: 5000 contadini e allevatori, a Torino, la città dell’automobile e del capitano d’industria nazionale, uno dei simboli del ‘900. E con Terra Madre invece di playboy e petrolieri su decapottabili, ecco questi contadini peruviani, burkina, occitani, uzbeki, con le mani callose e i costumi tradizionali per le strade. La gente li vedeva come esotici. Eravamo in molti a non capire che Petrini stava dicendoci ragazzi, impariamo da questi popoli che sono sulla terra da secoli, noi, moderni, ci siamo da neanche duecento anni e se continuiamo così altro po’ e ce ne andiamo, ci estinguiamo… Ci sono voluti anni prima che capissimo che il concetto di antropocene vuol dire antropocene annamo! Ma vallo a tradurre in inglese o cinese… in romanesco è chiarissimo!

Ora serve che facciamo due, tre, dieci terre madri: del cibo, quella già c’è, del vestire, della mobilità, dei rifiuti, dell’energia, della politica, della tecnologia, della foresta, dell’aria e delle montagne.
Ma non si tratta di tornare indietro. Bisogna esaminare tutto e setacciare quello che sta dalla parte della vita e della rigenerazione e quello che invece sta dalla parte dell’estrazione e annichilamento, ci vogliono questi setacci per pepite e pagliuzze di intelligenza umana come cura, custodia e invenzione sostenibile. Chi ce li ha? Dove si trovano?
Prima di tutto non c’è brevetto su questi setacci, anche se ci proveranno a brevettarli. Anche perché se non c’è il brevetto, gli economisti non li vedono. Loro, come gli statistici, vedono solo i dati riconoscibili. Sono come gli algoritmi di Facebook, sul loro monitor viene solo quello che già conoscono. E ci credo poi che si convincono delle loro stesse idee. E che quelle degli altri gli sembrano delle cose da pazzi!
I setacci, allora, dobbiamo imparare a farli, inventarli, perché ogni situazione ne richiederà di diversi; tutto è situato, se si resta nel pianeta, cosa che per la verità tendiamo a non fare molto, preferiamo trascendere verso un altrove, o religioso o militare. Conquistare lo spazio è una profittevole miniera, si capisce: invece che scavare nel suolo, apriamo coni verso l’alto, ad esempio verso Marte. Prima ancora di arrivarci davvero e guadagnare dalle miniere che scaveremo lassù, infatti, sfruttiamo il business del prepararsi ad andarci.
Ma se si imparasse qualcosa da questi primitivi, come li chiamavamo, e oggi direi dai maestri, invece di pensare a Marte, e quindi prepararci ad abbandonare la Terra spazzatura a una umanità perduta, potremmo occuparci delle leggi della circolarità, dell’armonia e della rigenerazione, per esempio.
E la scienza, la tecnica e persino la burocrazia potranno mettere sul tavolo un sacco di buone cose, per aiutarci a far funzionare una società in equilibrio dinamico con Gaia.
Questo è il concetto progetto del Terzo Paradiso, rappresentato dai tre cerchi ormai diffusi in migliaia di installazioni e apparizioni, temporanee o permanenti.

Dove i cerchi laterali significano due elementi esistenti e diversi fra loro, anche opposti. In mezzo si apre uno spazio vuoto, dove coltivare – come contadini – il terreno della creazione e della rigenerazione, che tiene insieme le ragioni dell’uno e dell’altro elemento preesistente, ma le ricombina in assetti inediti, e dunque crea, in un equilibrio dinamico, sempre in fermento.

In queste immagini lo vediamo, installazione permanente nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra, o in una temporanea e assai rara manifestazione della piramide del Louvre.


Questa è la formula che la fondazione d’arte creata da Pistoletto negli anni ‘90 ha forgiato e sta sperimentando in decine di cantieri e laboratori di progettazione urbana e territoriale. Non solo a Biella, ma anche a L’Avana, Cuba, a Roma, Melbourne, Sao Paulo, solo per citare alcuni casi.


E con noi, in una rete di artisti e attivisti e innovatori civili, cioè di artivatori, si sta realizzando quest’opera di invenzione radicata nel sostrato formato dall’unione dell’intelligenza della natura con quella umana, come nella perfetta sintesi della cosiddetta bio-mimesi; basti pensare alla Blue Economy, fondata da Gunter Pauli, divenuto Ambasciatore del Terzo Paradiso.

Oppure come sull’isola di Skye dove Cooking Sections, un collettivo che insegna come mentore nei corsi della scuola di Cittadellarte, Accademia Unidee, ha sviluppato il progetto Climavore: i ristoranti dell’Isola di Skye, in Scozia, sostituiscono nel menu al posto del salmone allevato (il cui impatto sull’ecosistema è profondamente insostenibile), con cozze e ostriche allevate in modo sostenibile e soprattutto rigenerativo, con un impatto positivo.

 

È un’arte di equilibri e di creazioni continui.
A Biella, dove ha sede Cittadellarte, si studia, si insegna e si sperimenta quest’arte; Pistoletto e io l’abbiamo condensata in un piccolo manifesto, col titolo L’arte della demopraxia.

Le singole organizzazioni del corpo sociale esercitano potere attraverso il fare, appunto la pratica. Lo spazio definito dalla capacità decisionale della singola impresa o associazione, dell’ufficio istituzionale, dell’ente, di ogni agglomerato di persone unite dall’esercizio di una pratica è in grado di determinare un impatto profondissimo sulla vita delle persone che compongono tale comunità di pratica. Decisioni che investono la sfera economica e quella materiale (ad esempio il tipo di contratti e di retribuzione, i tempi di lavoro, il tipo di forniture e approvvigionamenti su cui impostare la filiera del valore…), come la dimensione affettiva e di realizzazione delle proprie potenzialità umane, come nella teoria delle capacità di Amartya Sen e Martha Nussbaum.
La felicità o la frustrazione nella nostra vita derivano primariamente da questi territori, non solo dai governi nazionali e territoriali.
Se quindi già le ecologie localizzate determinano ampia parte del governo del mondo, come orientare questo governo verso il bene comune?
A Cittadellarte abbiamo messo punto un metodo, appunto l’arte della demopraxia.

Vediamo allora come Cittadellarte opera nel tessuto civico e urbanistico del territorio.
Quest’anno abbiamo avviato un cantiere, un’opera demopratica, nel Biellese. Per la verità, tutta quanta Cittadellarte ha realizzato a Biella dagli anni ‘90 è di fatto nel solco della visione del Terzo Paradiso, nel 2019 qui si avvia l’Opera Demopratica. In ottobre si tiene un incontro intitolato Preludio per un Coro.

Partecipano oltre trenta attori chiave del territorio. Pierluigi Sacco ci accompagna inquadrando le molte diverse voci in uno spartito orientato al ben vivere in cui cultura, felicità, prosperità, sostenibilità sono modi diversi di dire (e fare) la stessa cosa.

Si avvia così il canovaccio dell’Opera Demopratica. La Prima Scena è rappresentata dalle associazioni giovanili che, formate dai curatori ed educatori di Cittadellarte, mappano oltre 100 realtà del territorio impegnate nell’accoglienza, produzione, educazione, amministrazione, cultura, in linea con gli obbiettivi e i target dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Siamo in pieno lockdown: la mappatura si fa molto online, video call. Si raccolgono però non solo testimonianze orali e visive, ma anche oggetti.

Serviranno per la Mostra, esito performativo della Prima Scena. L’Opera Demopratica attiva lo sguardo dei giovani. Questo promuove l’auto-riconoscimento degli attori locali come campioni – e nello stesso dei giovani come talent scout – di un patrimonio di capitale sociale da scoprire. Ma anche da raccontare e organizzare in una visione che dia identità al territorio e che possa diventare progetto collettivo.

L’Opera Demopratica giunge così alla Mostra, realizzata anche con il contributo di un nuovo player come la Fondazione BIellezza, causa ed effetto del clima di fermento che sempre più si avverte nel Biellese. E già prendono forma i primi due forum settoriali, dedicati all’Energia e all’Acqua. La mostra accoglie il dispositivo operativo dei Tavoli della demopraxia.

I Tavoli sono disegnati da Pistoletto e Saverio Teruzzi, già attivi nei Cantieri di Roma, e a Ginevra, nella collaborazione con la Fondazione Mater e Food for Soul.

Quindi, Cittadellarte sviluppa l’Opera Demopratica così a Biella.
In effetti, anche ante litteram questo già avveniva, nel senso che fin dalla sua nascita Cittadellarte  ha attivato nel territorio un’opera artistica sociale. Tanto che, nel 2019, l’UNESCO designa Biella Città Creativa.

Non era scontato negli anni ‘90, quando si mettevano le basi di Cittadellarte negli edifici abbandonati lungo il torrente in centro città. Nemmeno nei primi anni 2000, quando centinaia di allievi di Unidee imparavano l’arte di attivare processi di trasformazione sociale fondati sulla responsabilità. In quegli anni succedeva un’altra cosa: anche i cittadini biellesi vivevano esperienze in cui la creatività impegnata socialmente era il terreno di incontro. Artigiani, imprenditori, insegnanti, associazioni, sindacati, medici, sportivi, politici, amministratori, studenti, famiglie… tutti loro, anzi, tutti noi siamo diventati studenti. Un esperimento a scala naturale di ‘città dell’arte’.
Così si passa a Biella da Cittadellarte a città dell’arte. In vent’anni di arte di pratiche per connettere i diversi campi del fare e del sapere umano. Di costruzione di spazi di co-creazione dove tutti abbiano diritto di asilo, cittadinanza e capacità. Un programmo politico, civico, di portata immensa, ma pure costituito da elementi minuti, spesso minimi: panchine e spazi di sosta negli spazi pubblici e privati, giardini co-curati dagli abitanti, terreni recuperati alla coltivazione, stock di tessuti avviati alla produzione di abiti campioni di sostenibilità, partite di pallone tra imprenditori e lavoratori uniti da 6 metri di stoffa a due a due, esplorazioni e riappropriazioni di spazi naturali o artificiali, studi e ricerche sulla “storia e sull’archeologia del futuro”, e davvero altre centinaia di esperimenti in vivo.


 

Allora non c’è da stupirsi se, anche per questo, un distretto industriale in transizione viene designato creativo dalla massima organizzazione globale che si occupa di educazione, scienza e cultura. Si arriva così alla Città Arcipelago.
Mi preme solo ancora ricordare come il concept da noi ideato abbia avviato una prima edizione di un festival della sostenibilità e della creatività, con un fitto programma e in apertura il Forum delle Città Creative UNESCO, in collaborazione con il Coordinamento nazionale della rete delle Città Creative UNESCO.

Dunque, attraverso l’arte della demopraxia, si sviluppa nel Biellese un laboratorio di progettazione territoriale condivisa, fondato sui dispositivi della mappatura e della mostra, dei tavoli e gruppi di lavoro che danno vita a un cantiere pluriennale, articolato sui diversi temi emergenti: già sono avviati, ad esempio, un osservatorio sull’acqua che riunisce direttore sanitario, fondatore di Associazione Tessile e Salute, Unione Industriale, ricercatori del CNR, operatori della partecipata comunale, scienziati del Politecnico di Torino, e sociologi, curatori, artisti e membri dell’osservatorio dei beni culturali e del paesaggio, e un tavolo sulla de-carbonizzazione dell’intero territorio provinciale.

La Silicon Valley è il via d’estinzione, è un po’ come la rolling stone di Dylan, lui e Bezos sono come Edie Sedgwick, ve la ricordate? La bellissima meteora, musa come si dice, forse in effetti compagna di Andy Warhol, tanti volevano essere come lei, e Dylan le chiese come ci si sente a cadere e rotolare senza più niente? Ora Edie è il capitalismo finanziario globale digitale, la sorveglianza e i big data. Finirà per rotolare come una rolling stone. Ma a differenza della bella Edie che morì da sola, o con una mezza generazione di edonisti, questa volta ci estinguiamo tutti! Non potremo starcene sulla strada a suonare la mattina e la notte.

Potremmo lasciare che si estingua solo Silicon Valley? Il fatto è che prima che Zuckerberg sparisca rotolando giù, toccherebbe a un sacco di altra gente con meno mezzi e scialuppe di salvataggio, tipo il razzo per Marte o cose del genere, che infatti si stanno già costruendo, coi soldi che potremmo dedicare agli enzimi, ai setacci, alla demopraxia… ma comunque, il problema è che quando si estingueranno Google e Amazon, quasi tutti noi saremo già belli che defunti. Quindi, è meglio che li salviamo. Da loro stessi, si intende; e per farlo abbiamo bisogno di maestri, che sono i premoderni e gli scienziati insieme. Bisogna fargli spazio, costruire dei luoghi in cui possano incontrarsi tra di loro, con rappresentanti di tutte le constituency che fanno il tessuto sociale, in ogni locale. Non è che ci vuole un G20, ma un Gmille, Gmilioni, Gmiliardi, perché è in ognuna delle nostre comunità di pratica che si gioca questa partita. Questo è riscrivere una costituzione mai scritta ma praticata da millenni, fatta di intelligenza profondissima e umiltà, si trova nell’Amazzonia Colombiana ma anche sulle Alpi, le aree interne…

Salveremo Zuckerberg ed Elon Musk dall’estinzione, grazie a questi spazi di cocreazione. E con loro salveremo tutti noi.
Iniziamo costruendo luoghi vuoti. Vuoti tra spazi pieni. Come il simbolo che Pistoletto e Cittadellarte stanno promuovendo nel mondo. E invitiamo artigiani e pastori, finanzieri e matematici, filosofi e policy maker, amministratori e burocrati e sì, perfino i politici, perché in realtà questa strada è la strada della politica, la politica è lo zeitgeist che sta arrivando.

Politics is the new green. Sì politics, ma la politica demopratica, non quella del passato, se no, è chiaro: antro po… ce ne annamo!

 

Paolo Naldini

Per tutte le informazioni sul convegno “I luoghi della cultura protagonisti della rigenerazione urbana” è possibile visionare un nostro precedente articolo.