Quando si conosce al di fuori dai riflettori un personaggio che gode di fama non si sa mai cosa aspettarsi. L’immagine mediatica e televisiva riflette la sua vera identità o recita un ruolo distante dal suo io? È quasi lecito attendersi che una celebrità possa indossare metaforici mantelli, barriere (in)naturali agli sguardi del pubblico. Non sappiamo se ciò che osserviamo sullo schermo rispecchi la realtà o offra solo una visione parziale. Una dicotomia non rara. Eppure, al personale parere di chi vi scrive, l’immaginario soggettivo di una cantante ha trovato riscontro. Il riferimento è ad Arisa. L’idea costruita era quella di un’artista leggera ma profonda, delicata ma impetuosa, fragile ma potente. Mi aspettavo contraddizioni in armonia. Ed è esattamente quello che ho provato in una chiamata di mezz’ora. Arisa è come la vedete in Tv o sui social, è ciò che ascoltate dalla sua musica. È autentica, senza veli.
Andiamo ora oltre l’aspetto conoscitivo e relazionale, mettendo in luce cosa si cela dietro l’intervista che segue: una storia Instagram, pubblicata dalla musicista, di fronte alla Venere degli stracci esposta a Napoli. Una clip che la vede sorridente, mentre danza sulle note e le strofe del suo ultimo singolo, Baciami stupido; una hit che ha tutto per diventare il tormentone estivo che movimenterà le notti di mezza estate della nostra penisola. La scelta di questo iconico sfondo con l’opera di Michelangelo Pistoletto è dovuta al suo rapporto con l’arte, un legame all’apparenza distante, ma che, come si evince dalle sue parole, per Arisa è di assoluto rilievo. Al punto che non ha nascosto un entusiasmo quasi fanciullesco nel rilasciare un’intervista a tinte artistiche. “Parlare d’arte – ha esordito – è un’opportunità preziosa, tra gli avvenimenti più belli che possono capitare nella vita”.
Arisa, cosa si cela dietro la storia Instagram che hai postato? Cosa ti ha lasciato la Venere degli stracci a Napoli?
La Venere degli Stracci è per me una figura a metà tra il Classico e il sociale. La scultura di marmo rappresenta una donna che potrebbe essere stata probabilmente scolpita nell’età ellenistica, ma tutto il cumulo di stracci che lei sostiene la riportano in maniera brusca alla contemporaneità, ai giorni del consumismo e dello spreco assoluto, della smania di avere beni immateriali impiegando il nostro tempo per accumularli. Quindi io l’ho trovata un manifesto che denuncia la fine della bellezza, proprio perché tutti questi stracci la sovrastano.
Questa Venere XL, in riferimento ai messaggi che veicola e alle sue dimensioni, è a tuo avviso calata adeguatamente nella città partenopea?
A me sembra che sia perfetta per la maestosità di Napoli. È una città opulenta in tutto, nella gioia e nel dolore, nella festa, nelle vittorie e nelle sconfitte; è un luogo che vive di contraddizioni, dove gli estremi risultano sempre molto grandi, eclatanti. Ritengo quindi che un’opera d’arte così grande – in tutti i suoi aspetti – sia perfettamente coerente con lo spazio in cui è ubicata.
Quella cha hai immortalato è la seconda versione dell’opera, dopo il dolo della prima. La Venere è risorta dalle proprie ceneri, diventando simbolo di rinascita. Cosa hanno rappresentato per te, nelle vesti di pubblico, quelle fiamme?
Sarò sincera: io non capisco il senso di distruggere un’installazione, anche perché un’opera d’arte come la Venere riflette persino la nostra memoria. Il fatto che però sia stata ricostruita non solo ne dimostra la resilienza artistica, ma rende il capolavoro di Pistoletto ancora più significativo.
La Venere degli stracci a Napoli.
Michelangelo Pistoletto è vicino al mondo della musica: ha ad esempio collaborato ed è amico con i Subsonica e con Gianna Nannini. Qual è invece il tuo rapporto con l’arte?
Il mio legame con l’ambito artistico è quello di semplice osservatrice e ammiratrice, ma mi piace molto indagare sulle tecniche e sui materiali. In riferimento alla Venere, penso inoltre che l’arte e la moda siano molto correlate, connesse da ispirazioni e ricerche comuni. Rispetto alla moda, però, l’arte è più eterna.
Su questo tema, per Pistoletto l’artista ha la responsabilità di porre l’arte in relazione con ogni ambito del tessuto sociale, moda compresa, per poi generare un cambiamento sociale che porti a una sostenibilità globale. Cosa ne pensi di questa visione? Se coinvolgiamo anche la musica, ritieni che un’opera o una canzone possano occuparsi o dare eco alle tematiche più stringenti della nostra contemporaneità?
La musica è una delle forme d’arte per antonomasia più libere, perché comunica in maniera diretta con l’anima, con i nostri neuroni e recettori sensoriali. Credo quindi che ci siano tanti modi con cui, attraverso le note, si possa testimoniare per cause importanti. Su questa scia, mi piace molto l’arte figurativa, perché spesso è di denuncia. È anche un modo per dare una ‘svegliata’ alle persone. Onestamente trovo che l’arte debba necessariamente occuparsi di tematiche atte a migliorare il mondo, oltre ad avere un occhio vigile sulla società presente e futura.
Non a caso, il mio disco preferito dell’infanzia è stato ‘Lorenzo 1994’ di Jovanotti: qui i focus erano l’inclusione, la mindfulness, i sogni nel cassetto e l’autodeterminazione. È anche riuscito, attraverso una canzone, a raccontare la strage di Moro. È stato un disco che mi è rimasto particolarmente impresso e mi ha formato, per certi versi molto più degli anni scolastici. I giovani – e non solo loro – si annoiano ad ascoltare alcuni professori, perché non è importante solo la conoscenza, ma comunicare nel modo adeguato; ecco, attraverso la musica si possono apprendere dei contenuti che le nuove generazioni possono riuscire a cogliere e comprendere con facilità maggiore. Questo aspetto riguarda anche i film, persino quelli di animazione: quando ero bambina, le storie targate Walt Disney mi hanno tramesso molto; imparavo sempre qualcosa di nuovo, non mancava mai una morale di fondo. Questi valori, appresi anche attraverso queste opere filmiche, mi hanno accompagnata per un periodo della vita. Penso dunque che, nonostante il declino che sta toccando il nostro pianeta su più livelli, l’arte abbia il potere di cambiare il mondo. D’altronde, anche Gesù, a modo suo, è stato un artista.
Michelangelo Pistoletto.
Non sei solo una cantante, ma anche una testimonial di realtà di stampo filantropico e sostenibile. Come personaggio pubblico, molto seguito anche dalle nuove generazioni, senti una responsabilità su questi temi?
Io credo che sia fondamentale sentire una responsabilità nei riguardi delle persone che ti hanno dato la possibilità di comunicare. Io cerco di essere il più attenta possibile a non offendere nessuno e a promuovere cause importanti secondo il mio punto di vista. Credo che però i giovani siano attratti da ambiti diversi: per il pubblico se ti occupi troppo del benessere degli altri risulti scontato, troppo buonista e melenso. Insomma, diventi uno ‘titolato’, non fai altro che unirti a coloro che fanno le prediche. Quindi in questo momento c’è molta difficoltà a voler avviare un percorso di scolarizzazione che metta in ordine la grande confusione che c’è a livello istituzionale e sociale. C’è poi un livello di politically correct che non ti permette di essere te stesso e di portare avanti le tue idee.
A questo proposito, in Italia si è sempre etichettati: quindi se la pensi in un modo sei di destra, se hai un’altra visione sei di sinistra. Oggi è davvero difficile comunicare, soprattutto per chi ha un bacino di utenza considerevole.
Da questa complessità mediatica e politica data dalle polarizzazioni, passerei al tuo nome d’arte. Ricordiamo che è un acronimo: ‘A’ come l’iniziale del padre Antonio, ‘R’ come il tuo nome di battesimo Rosalba, ‘I’ come la sorella Isabella, ‘S’ come l’altra sorella Sabrina e ‘A’ come la madre Assunta. Cos’è per te la famiglia e come ha inciso sul tuo percorso professionistico di cantante?
La famiglia per me è la sorgente di tutto. Siamo il risultato di quello che i nostri cari hanno fatto di noi durante i primi anni di vita: quindi quello che sono è merito o colpa mia, ma solo fino ad un certo punto. Questa connessione incide anche nel mondo esterno: nei casi più fortunati cerchiamo fidanzati come i nostri padri e amiche come le nostre madri, in altri rifuggiamo l’esempio della figura paterna o viviamo una conflittualità con le donne.
A proposito di famiglia, per Pistoletto occorre lasciare un’eredità ai padri. Tu che eredità credi di aver lasciato alla tua famiglia finora?
È una domanda complessa a cui non mi sento di rispondere, avrei bisogno di più tempo per rifletterci.
Noi siamo abituati a pensare a cosa ci lasciano i genitori, ma non siamo soliti immaginare che cosa lasciamo noi. Capisco che sia un ribaltamento spiazzante.
Forse un elemento chiave nel nostro rapporto c’è: credo di aver restituito loro la resilienza di volergli bene sempre, anche quando sono fisicamente lontana. Torno sempre nella mia casa, in famiglia, nonostante le incomprensioni che si possono generare nel rapporto tra genitori e figli. Lo spazio per loro c’è sempre, non mancherà mai.
Arisa.
Passiamo al potere della voce. Con le tue canzoni sei in grado di toccare i sentimenti del pubblico. Mi inserisco anche io: tuttora, a distanza molto tempo dall’uscita, quando ascolto La notte non posso non avere i brividi. Come ti fa sentire sapere che qualcuno si emoziona ascoltandoti?
È una bella soddisfazione. Sono anni che faccio questo tipo di effetto alle persone, sono tanto grata, ma mi piacerebbe esplorare altre frequenze.
Cosa intendi?
Sono stanca di essere percepita, a volte, come la cantante delle canzoni tristi. ‘La notte’ è un brano di speranza, però è, appunto, anche triste. Specifico che sono felice quando le persone cantano insieme a me parola per parola, però forse mi sono rattristata un po’ anche io nel cantare per tutti questi anni un brano di dolore.
In conclusione, facciamo scaturire una riflessione ispirandoci ai Quadri specchianti, che costituiscono il fondamento dell’opera di Michelangelo Pistoletto. Avvalendoci, seppur su piani differenti, dello stesso medium, ti invito a guardarti allo specchio. Cosa vedi?
Io passo molto tempo davanti allo specchio, mi studio: per me significa vivere con me stessa che diventa, attraverso questo strumento un’altra persona. Mediante lo specchio non sono più sola, ma c’è un’altra persona con me che sono sempre io e con cui ho una perfetta sintonia (ride, ndr).
È raro che qualcuno sia abituato a osservarsi con regolarità davanti allo specchio se non per fini estetici. È abbastanza sorprendente sentirlo.
Ci vuole tempo per scrutarsi allo specchio, ma consiglio a tutti di trovarlo, trovo sia terapeutico. Io stessa, almeno una giornata al mese, la dedico a guardarmi dentro.