“Non sono un giornalista, ma faccio il giornalista”. Ho sentito pronunciare spesso questa frase a Daniel Tarozzi e, col tempo, ho imparato a capirla e ad apprezzarla. Tra l’essere e il fare c’è una differenza, non banale. Così come limitarsi a portare avanti il proprio lavoro svolgendo il ‘compitino’, o costruire con passione ogni singolo periodo, intervista, storia. Il mestiere di giornalista non è orientato alla mera cronaca o presentazione di un avvenimento, ma implica una profondità professionale che solo il tempo, l’esperienza e (aggiungo io) la sensibilità possono alimentare. Quando inizi a costruirti un percorso lavorativo in quest’ambito, una domanda ricorrente riguarda la figura a cui ispirarsi. Il giornalista preferito, che si sogna di emulare, per stile, notorietà, carriera o altri motivi che intrecciano il gusto personale e la professionalità. Un tempo la mia risposta a questa domanda, da lettore, era multipla e quindi non orientata a un unico nome: Montanelli, Gramellini, Mentana, Calabresi, solo per citarne alcuni. Ma oggi, se qualcuno mi ponesse questo quesito, non avrei dubbi: la mia risposta, da collega, sarebbe Daniel Tarozzi. Un giornalista che, col suo modo di lavorare, ha proposto un altro modo di fare (rieccoci alla differenza chiave con il semplice essere) il mestiere, raccontando i fatti in modo attrattivo, coinvolgente, profondo, sempre con la propria impronta. La cosiddetta ‘penna’ di Daniel è inconfondibile. Leggere un suo articolo è come parlare faccia a faccia con lui: sincero, trasparente, aperto e pronto a raccontare e soprattutto dare il buon esempio. È proprio questo che lo caratterizza: non si limita a mettere in luce un fatto, ma ne coglie ogni sfumatura virtuosa applicandola nella sua quotidianità e condividendola non solo con i lettori, ma con la sua sfera sociale.
Sono un giornalista da ormai (anzi, solo) 10 anni e ufficialmente nell’albo dell’Odg da 8, ma ho cominciato davvero a fare il giornalista nel 2017, quando prese il via il mio rapporto lavorativo con Daniel per Cittadellarte. Insieme abbiamo dato vita al nostro Journal, un progetto editoriale cresciuto e sempre più apprezzato dai nostri lettori. Questo successo è condiviso con Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, che, insieme a Daniel, ex-direttore responsabile del Journal, mi ha scelto per dare forma al nuovo magazine. Insieme abbiamo dato alla nostra testata giornalistica un’identità: raccontare il macro-mondo della Fondazione Pistoletto e tutte le best practices che ruotano intorno ad esso; non solo, la nostra linea editoriale, come molti già sapranno, prevede di dare spazio anche a tutti i temi vicini alla realtà artistica biellese, spesso legati ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. In questi quattro anni ho conosciuto progetti, storie, pratiche e avvenimenti unici e mi sono trovato a fare il lavoro dei miei sogni scrivendo di fatti che mai avrei pensato di raccontare. Nel tempo, infatti, ho scoperto che l’arte e la sostenibilità possono essere profondamente legate, come due entità indivisibili. Michelangelo Pistoletto e il lavoro di tutti gli uffici e dei miei colleghi di Cittadellarte sta cambiando il mondo, proprio a partire dall’arte. Farsi portavoce di questo cosmo artistico è elettrizzante, stimola e gratifica come il primo giorno di lavoro.
Da quest’anno, però, Daniel non sarà più al mio fianco in questo percorso. Non ricoprirà più la figura di direttore responsabile della testata giornalistica, ruolo che passa a me. Ringrazio Paolo Naldini per la meravigliosa opportunità, sarà un onore e un piacere continuare la strada tracciata insieme a Daniel. Proseguirò con entusiasmo, impegno e professionalità. Perché amo questo lavoro, anche grazie a un grande giornalista, un grande amico, un grande uomo. Daniel.
Luca Deias