Coronavirus e ristorazione: in Italia 11,5 miliardi di euro di alimenti invenduti
Coldiretti ha reso noto un aspetto dell'emergenza economica legata al Covid-19, presentando un proprio bilancio che mette in luce in luce l'allarme di differenti settori dell’agroalimentare Made in Italy relativi alle quantità di vino e cibi non venduti.

Uno dei settori commerciali che la pandemia ha messo maggiormente in crisi è quello della ristorazione: bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi, nell’ultimo anno, hanno dovuto far fronte a numerose criticità e norme dettate dalla prevenzione del contagio. Quello che a detta di molti addetti ai lavori è risultata controversa è la gestione delle aperture e delle chiusure, stabilite con approssimazione e senza tenere conto delle misure adottate dai ristoratori per contrastare l’emergenza sanitaria e tutelare personale e clientela, senza inoltre permettere una regolare programmazione per i titolari dei locali. In tutta Italia i protagonisti del settore agroalimentare hanno alzato la voce per porre sotto i riflettori la loro condizione di crisi, che in numerosi casi ha portato addirittura alla chiusura delle attività. I danni economici sono stati incalcolabili e secondo un primo bilancio di Coldiretti – reso noto in occasione del Consiglio nazionale con la partecipazione del Ministro delle politiche Agricole Stefano Patuanelli – il crollo delle attività legate all’agroalimentare Made in Italy ha portato una quantità allarmante di vino e cibi invenduti, per un valore stimato di 11,5 miliardi dall’inizio della pandemia.

Per la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana non sono mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali 300 milioni di chili di carne bovina, 250 milioni di chili di pesce e frutti di mare e circa 200 milioni di bottiglie di vino. Nell’attività di ristorazione, in quest’ottica, sono coinvolti circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella penisola, ma le difficoltà coinvolgono a cascata anche 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. “Dietro questi numeri – sottolinea Coldiretti in una nota – ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori, costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili”.

Le cause, come riferito dalla realtà agricola, sarebbero infatti da imputare a fattori come le chiusure forzate, le limitazioni negli orari di apertura, i divieti agli spostamenti, il drastico calo delle presenze turistiche e la diffusione capillare dello smart working. La sensibile riduzione delle attività* ha infatti pesato sulla vendita di differenti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce e dalla frutta fino alla verdura. “Anche alla luce dell’avanzare della campagna di vaccinazione – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – sarebbe importante consentire le aperture serali che valgono quasi l’80% del fatturato dei locali della ristorazione. Con l’arrivo del bel tempo le chiusure favoriscono paradossalmente gli assembramenti all’aperto sulle strade, nelle piazze e sul lungomare. Nei locali della ristorazione – ha concluso – sono state invece adottate importanti misure di sicurezza, quali il distanziamento dei posti a sedere facilmente verificabile, il numero strettamente limitato e controllabile di accessi e la registrazione dei nominativi di ogni singolo cliente”.


* Secondo Coldiretti, in alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione “rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma dal vino ai salumi, dai formaggi fino ai tartufi”.