L’Italia è il secondo maggior esportatore di pesticidi vietati in Europa
La nostra penisola, secondo un'indagine condotta da Greenpeace e Public Eye, è il secondo Paese europeo per export di pesticidi il cui uso è stato vietato per i loro potenziali rischi per la salute umana o per l’ambiente. Le esportazioni italiane notificate riguardano 10 diversi prodotti agrochimici pericolosi indirizzati a nazioni come Stati Uniti, Australia, Canada, Marocco, Sud Africa, India, Giappone, Messico, Iran e Vietnam.

41 diversi pesticidi vietati in Ue – in partenza dall’Europa verso 85 Paesi – e più di tre quarti dei quali a reddito medio o basso che corrispondo un volume complessivo di 81.615 tonnellate, di cui oltre la metà destinate a paesi in via di sviluppo: è questo il drammatico risultato di un’inchiesta realizzata e resa nota dall’unità investigativa di Greenpeace Uk ‘Unearthed’ e da quella svizzera ‘Public Eye’. L’analisi è stata condotta attraverso le ‘notifiche di esportazione’ che le aziende devono produrre alle autorità per i prodotti da vendere e fa riferimento al 2018. L’allarmante vicenda, in ottica ambientale e di salute, riguarda da vicino la nostra penisola: l’Italia è il secondo Paese europeo – dopo il Regno Unito, quando faceva ancora parte dell’UE – per export di pesticidi il cui uso è stato vietato in Ue; a seguire figurano, in ordine decrescente di quantità, Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Ungheria e Austria. Nello specifico, in riferimento a questa ‘lista’, l’Italia ha a carico circa 9.500 tonnellate (12% del totale europeo) delle esportazioni pianificate, mentre il Regno Unito arriva addirittura 32 mila tonnellate, contro le circa 8 mila di Germania e Paesi Bassi. Le esportazioni italiane notificate riguardavano 10 diversi prodotti agrochimici pericolosi destinati a nazioni come Stati Uniti, Australia, Canada, Marocco, Sud Africa, India, Giappone, Messico, Iran e Vietnam.

Come spiegato da Greenpeace in una nota, la prima sostanza esportata per quantità nel 2018 (circa due terzi del totale) è stato il trifluralin puro, prodotto da Finchimica: un sospetto cancerogeno vietato in Ue già dal 2007 a causa della sua elevata tossicità per i pesci e altri organismi acquatici. Al secondo posto (con 1.820 tonnellate) figura un altro sospetto cancerogeno per l’uomo, ovvero l’erbicida l’ethalfluralin, diretto prevalentemente in Canada e Stati Uniti e prodotto sempre da Finchimica. Sempre secondo l’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, un’altra azienda italiana, la Sipcam Oxon, ha notificato piani per esportare più di 300 tonnellate di diserbante a base di atrazina, un erbicida tossico vietato nel 2004, verso Sudan, Israele, Stati Uniti e Sud Africa; non solo, ha anche notificato una prevista esportazione di 220 tonnellate di diserbante a base di alachlor in Sudafrica, un sospetto cancerogeno classificato come un potenziale interferente endocrino.

Ma se questi pesticidi sono così pericolosi da indurre le autorità europee giustamente a vietarne l’uso – s’interroga Greenpeace nel comunicato rilasciato sul proprio sito – come può essere accettabile che le aziende europee continuino a produrli e le stesse autorità europee ne autorizzino l’esportazione in tutto il mondo? Altrettanto assurdo che da molti dei Paesi cui vengono vendute queste sostanze tossiche, vengano prodotti alimenti rivenduti poi sul mercato europeo. È quindi evidente come sia doveroso che l’Ue e gli stati membri, Italia compresa, pongano fine a questo assurdo commercio, colmando le lacune normative che l’hanno reso finora possibile e vietando per sempre la produzione e l’esportazione di tutti i pesticidi vietati“.
Cosa può fare un consumatore di fronte a questa emergenza? Pur non potendo cambiare direttamente queste dinamiche commerciali controverse, risulta ancora più importante – alla luce di questi risultati – rivolgersi alle filiere locali. Comprare frutta e verdura nelle aziende del territorio, acquistando cibo stagionale (un’ottima soluzione per i biellesi può essere il mercatino di Let Eat Bi), è un fattore determinante per la nostra salute e per favorire l’economia circolare.

 


Foto di PublicDomainPictures da Pixabay.