Pistoletto ricorda Celant, fondatore dell’arte povera e amico nella vita
Il maestro biellese, ai nostri microfoni, si è aperto in una lunga intervista ripercorrendo molte fasi della vita che l'hanno visto a fianco di Celant, scomparso il 29 aprile per Coronavirus. Con il fondatore di Cittadellarte abbiamo intrapreso un viaggio nella sua memoria, alla scoperta del rapporto professionale e umano che lo legava al curatore genovese: "Persona concreta nel suo operare e duttile e sensibile nel suo sentire. Germano, per me, ha lasciato all'arte il movimento dell'arte povera".

L’arte povera ha detto addio al suo fondatore: due giorni fa, all’età di 80 anni, si è spento Germano Celant. Curatore e storico dell’arte, dopo due mesi di ricovero in terapia intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano ha perso la sua lotta contro il Coronavirus, anche perché sono subentrate delle complicazioni. Un giorno di lutto per tutto il panorama artistico mondiale, che piange una delle icone del movimento sorto in Italia nella seconda metà degli anni sessanta del Novecento. “L’arte povera si manifesta essenzialmente nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Presentava così Celant il movimento nato in contrasto con l’arte tradizionale e consumista che si era diffuso negli anni ’60. Ma ricondurre Celant alla sola arte povera sarebbe riduttivo: oltre ad essersi occupato di pubblicazioni, approfondimenti e cataloghi di singoli artisti, collaborò dal 1977 col Museo Guggenheim di New York del quale divenne in seguito senior curator; curò nel 1996 la prima edizione della Biennale di Firenze Arte e Moda; venne nominato nel 1997 direttore della 47ª Biennale d’Arte di Venezia; ricoprì il ruolo direttore della Fondazione Prada a Milano; fu curatore della Fondazione Vedova a Venezia; organizzò la mostra ‘Art & Food’ alla Triennale di Milano, in occasione di Expo 2015. Insomma, una vita dedicata all’arte. Lungo il suo percorso professionale ha avuto un costante rapporto con Michelangelo Pistoletto, andato anche oltre il lavoro, sconfinando in un’amicizia fraterna. Due giorni fa, in un commento a caldo, Pistoletto ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa di Celant: “S’interrompe una lunga strada fatta insieme e che stava proseguendo con nuovi progetti. Enorme è la tristezza. Alla moglie Paris e al figlio Argento i nostri più vivi sentimenti di affetto e vicinanza. Unitamente a Maria, Cristina, Armona, Pietra e Cittadellarte tutta”. Oggi, due giorni dopo il lutto, ci confrontiamo col maestro Pistoletto e riviviamo insieme a lui il percorso che li ha visti uniti, per buona parte della loro vita, attorno all’arte.

Dopo un lungo cammino insieme, due giorni fa vi siete separati. Qual è il tuo ricordo di Celant come uomo e curatore?
Il mio ricordo è di una persona estremamente concreta nel suo operare, oltre che duttile e sensibile nel suo sentire. Le sue concretezza e sensibilità, che penso di condividere, hanno reso saldo il nostro rapporto. Abbiamo spesso unito le nostre due capacità, arrivando a intenderci e ritrovandoci nelle più diverse occasioni. La sua scomparsa, per me, ha significato perdere una persona molto vicina, è un fatto quasi impensabile.


Pistoletto e Celant in un’immagine del 2011 nel cortile interno di Cittadellarte in occasione del modulo UNIDEE in Residence del 2011. Crediti fotografici: https://margavp.wordpress.com/2011/07/03/artists-in-black/.

Tra la fine del ’65 e l’inizio del ’66 stavi lavorando ai tuoi Oggetti in meno. E in quel periodo, nel tuo studio, hai conosciuto Germano. Com’è stato il vostro primo incontro?
Celant mi ha cercato, venendo nel mio studio di Torino da Genova. Lui ha potuto assistere in prima persona al processo e alle attività che io stavo conducendo con gli ‘Oggetti in meno’.

Celant, fin dagli albori del movimento, ti ha sempre riconosciuto come precursore dell’arte povera riferendosi ai tuoi Oggetti in meno. Che valore ha avuto per te, ai tempi, questa sua considerazione?
Io ero molto interessato al fatto che in Italia si sviluppasse un movimento artistico con un profondo cambiamento a quella che era stata la grande popolarità e affermazione dell’arte americana. Quest’ultima l’avevo ‘frequentata’ io stesso, essendo stato incluso nella Pop Art. Mi ero reso conto, però, che gli artisti della Pop Art, nonostante tutto l’interesse e il senso di partecipazione che io avevo nei loro confronti, si identificavano con il sistema consumistico americano, il quale si era via via impossessato dell’arte e l’arte aveva aderito a quel sistema. Ho capito, quindi, che il mio lavoro, nonostante condividesse l’oggettività dei Pop artist, aveva un’oggettività distaccata, per niente legata al sistema consumistico. Purtroppo, però, quel sistema portava il mio stesso lavoro a identificarsi con il sistema commerciale che la mia opera fosse considerata come un marchio di fabbrica, dunque destinata al consumo. Così ho ritenuto necessario passare a un’altra fase, nella quale l’arte assumesse un’autonomia e una responsabilità, evitando di essere strumentalizzata. Quindi ho pensato che potesse nascere un movimento in questa direzione. Con Germano ci confrontavamo molto su questi argomenti… le opere degli ‘Oggetti in meno’, ad esempio, sono tutte diverse fra di loro, impedendo così di marchiare l’artista secondo un suo stile costante e personale.
La suddivisione di me stesso in tanti momenti e lavori diversi ha perciò interrotto questa speculazione sull’identità personale. È stato un esempio che altri artisti hanno colto e man mano, partendo da Torino poi altrove in Italia, hanno fatto opere di straordinaria radicalità; si è creato un rapporto nuovo, tra l’arte e la realtà, addirittura fisiologica, dell’esistente. L’arte, così, si è concentrata in un vero rapporto tra la sua essenza e la sua consistenza. Celant ha colto la situazione che si stava creando qui in Italia ed è stato capace di dare un nome e una interpretazione sintetica che ha permesso di far diventare la nostra attività un movimento.

La mostra ‘Arte Povera + Azioni Povere’ del 1968 è stata il viatico che ha portato alla diffusione dell’arte povera. Per l’occasione, oltre a Celant, presero parte anche altre figure artistiche di assoluto rilevo. È quello il momento chiave in cui è avvenuto il processo di internazionalizzazione del movimento?
Celant pubblicò un testo sull’arte povera già nel 1967. Dopo l’uscita di quel documento alcune gallerie come Sperone e Stein a Torino, de’ Foscherari a Bologna, L’Attico a Roma e La Bertesca a Genova si sono mosse, insieme agli artisti di questa nuova tendenza, con una serie di mostre. A Roma, nel giugno del ’67, c’è stata una mostra intitolata ‘Fuoco Immagine Acqua Terra’, in cui c’erano già diversi artisti che apparterranno poi all’arte povera; una dimostrazione di come si stesse sviluppando un fenomeno assolutamente autentico e come questo venisse percepito nell’ambiente artistico italiano. Germano ha avuto la grande intuizione di dare un nome e un testo teorico a questo movimento. Poi nel ’68 è arrivato il riconoscimento ufficiale con la mostra ‘Arte Povera + Azioni Povere’ ad Amalfi: fu un avvenimento straordinario perché in quel momento, mentre si teneva la mostra ad Amalfi, la Biennale di Venezia era stata contestata e chiusa. ‘Arte Povera + Azioni Povere’, quindi, era l’unica alternativa alla Biennale e per questo si è rivelata importantissima. Presero parte all’iniziativa anche alcuni artisti da tutto il mondo che avevano in qualche modo una posizione che si riconosceva con l’arte povera, quindi anche a livello internazionale si era allargato il movimento. Oltre a Celant, hanno partecipato molti critici italiani. Personalmente ad Amalfi, inoltre, ho partecipato non solo con opere, ma anche con le azioni del gruppo che avevo fondato, Lo Zoo.


Immagine scattata durante la mostra ‘Arte Povera + Azioni Povere’, tenutasi ad Amalfi nel novembre del 1968. Nella foto, al centro è visibile Michelangelo Pistoletto, alla sua sinistra Germano Celant. Alla destra di Pistoletto il critico Henry Martin, che in tale occasione aveva preso parte alla performance ‘L’uomo ammaestrato’ dello Zoo, il gruppo di Pistoletto. Nell’immagine figura anche Piero Gilardi, altro artista protagonista dell’Arte Povera. Crediti immagine: Marotta.

Sono numerose le occasioni, tra gli anni ’70 e ’80, in cui i vostri percorsi si sono intrecciati: Celant ha curato la tua mostra retrospettiva (e il relativo catalogo) nel 1976 a Palazzo Grassi in occasione della Biennale di Venezia; stessa collaborazione per l’esposizione intitolata ‘Michelangelo Pistoletto’ del 1984 a Forte di Belvedere; ancora una mostra retrospettiva con la curatela e il catalogo di Celant nel 1988 al PS1 di New York. Quale valore hanno avuto queste tappe nella vostra cronistoria artistica?
Il fatto che Germano abbia continuato a seguire il mio lavoro, a scriverne, a parlarne e a partecipare a momenti importanti come le mie mostre museali significa che il rapporto tra noi era profondo. Non solo: vuol dire che il suo interesse nel mio lavoro e il mio interesse nella sua visione del mio operato coincidevano.


Michelangelo Pistoletto e Germano Celant. Fotografia scattata alla galleria Luhring Augustine di New York, in occasione della mostra ‘Michelangelo Pistoletto. The Minus Object 1965-1966’ del 2013. Crediti fotografici: Pierluigi Di Pietro.

Parliamo ora del recente passato: un momento di assoluto rilievo è stato il progetto espositivo ‘Ileana Sonnabend and Arte Povera alla Galleria Levy Gorvy di New York nel 2017, in cui Celant ripercorse e ricostruì l’operato degli artisti dell’arte povera negli anni ’60 in riferimento all’attività della gallerista rumena naturalizzata statunitense. Qual è stata l’importanza ricoperta da questa occasione?
Innanzitutto Ileana Sonnabend è stata una gallerista fondamentale nel mio percorso in quanto ha riconosciuto, presentato e reso pubblico il mio lavoro a partire dal ’63; ha poi cominciato nel ’67 a occuparsi degli artisti dell’arte povera. Quindi posso vantare di essere stato precursore di un rapporto con questa galleria non solo americana, ma con una visione internazionale. Quindi Ileana, con l’arte povera, ha dimostrato la sua apertura culturale e di interesse artistico. E all’inaugurazione di ‘Ileana Sonnabend and Arte Povera’ alla Levy Gorvy di New York, sono stato chiamato insieme a Germano Celant per illustrare la mostra. Germano ed io ci siamo ritrovati lì e, insieme, abbiamo potuto descrivere gli avvenimenti che avevano portato al formarsi della collezione Sonnabend e abbiamo così messo in luce quello che è stato il nostro percorso in comune. Alla Levy Gorvy, inoltre, si sarebbe dovuta inaugurare in questi giorni una mia nuova mostra, che è stata rinviata a causa delle restrizioni del contagio da Coronavirus. Anticipo, però, che questa avrà una relazione con la collezione Sonnabend: quella rappresentava il passato, questa mia, invece, sarà improntata sul futuro.

Dieci anni fa Celant è stato invitato a Cittadellarte come visiting professor del modulo UNIDEE in Residence 2010. Perché la scelta ricadde su di lui?
È evidente che la sua presenza come storico dell’arte contemporanea poteva portare elementi di comprensione di quella che è stata l’arte della fine del 20esimo secolo, messi in connessione con quello che stiamo facendo a Cittadellarte (la trasformazione sociale responsabile attraverso l’arte). Quindi la sua partecipazione era indispensabile, anche perché lui – avendo sviluppato poi la sua attività negli Stati Uniti – portava delle testimonianze importanti sullo svolgimento dell’arte internazionale.


Nelle immagini Celant – nel ruolo di visiting professor – tiene una lezione nel cortile interno di Cittadellarte durante il modulo ‘UNIDEE in Residence 2010’, scattata a luglio di quell’anno. Crediti fotografici: Margarita Vasquez Ponte.

Michelangelo, il tuo Terzo Paradiso è una sintesi armonica di due opposti: per illustrare questo processo fai spesso riferimento a uomo e donna, polo positivo e polo negativo, natura e artificio, solo per citarne alcuni. Prendiamo ora una delle parole chiave che caratterizzano la tua pratica artistica, ossia ‘rinascita’. Quale ruolo assume questo concetto di fronte alla morte? Rinascita e morte sono strettamente collegate o si trovano in due cerchi opposti del tuo segno-simbolo?
Nascita e morte nel concetto del Terzo Paradiso sono i due punti tra i quali noi abbiamo la durata. Prima della nascita c’è l’infinito rappresentato in uno dei due cerchi esterni e tra i due cerchi abbiamo la durata di tutte le cose. Tutto nasce e muore. Così come nasce e muore l’immagine che vediamo nello specchio: prima non c’era – c’è – poi non c’è più. Quindi noi nasciamo e moriamo costantemente. Attraverso il simbolo trinamico noi mettiamo in evidenza il fatto che prima della nascita, in un cerchio, c’è l’infinito, in quello opposto c’è l’infinito dopo la morte e al centro abbiamo la durata, inscritta nel continuo nascere e morire. La durata non è statica, ma dinamica.
Durata significa un tempo in cui la materia si genera e rigenera in modo da sviluppare consistenza della materia che si organizza e si consuma in un arco di tempo. Tutto ciò che è parte dell’universo ha una durata, anche le stelle nascono e muoiono… questa è una realtà a cui niente e nessuno può sfuggire. Noi duriamo quel tanto che la natura ci permette e dobbiamo avere cura della nostra durata su questo pianeta. Terzo Paradiso vuol dire avere la capacità di rigenerarci fin quando possiamo, sia individualmente sia socialmente.

Nel 2013 hai realizzato il quadro specchiante ‘Ritratto Celant. Germano, Paris, Argento’, avente come soggetti Germano, sua moglie Paris Murray e il figlio Argento. Che significato ha avuto, come artista, creare un’opera con protagonista il tuo curatore e la sua famiglia?
Ho fatto quest’opera con molto affetto, per me è stato molto importante poter includere nel nostro rapporto anche quello della moglie Paris e del figlio Argento. In questo quadro specchiante Germano non potrà più specchiarsi. Ma sarà presente in immagine nella vita di Paris e Argento e terrà vivo il suo ricordo.

Michelangelo, tu e Celant eravate affini anche nel costume: sempre vestiti di nero. Si cela qualcosa dietro questa scelta cromatica negli abiti?
Durante gli anni ’60, mi vestivo nella maniera più differenziata e colorata, come se avessi potuto indossare i vari costumi del mondo. Poi, però, nel 1969 ho scritto un testo intitolato ‘L’uomo nero’ – pubblicato da Marcello Rumma nel marzo del 1970 – che racconta la mia storia e quella de Lo Zoo. L’uomo nero è un personaggio che per me interpreta un elemento di congiunzione che si svilupperà poi nel simbolo del Terzo Paradiso. Il riferimento è al nero che ultimamente ho chiamato ‘il vuoto’, lo stesso che noi vediamo tra le stelle. Ecco perché da allora mi vesto così, ma Celant avrà avuto le sue ragioni per vestirsi di nero.


Germano Celant e l’opera Struttura per parlare in piedi di Michelangelo Pistoletto. Foto scattata alla galleria Luhring Augustine di New York, in occasione della mostra “Michelangelo Pistoletto. The Minus Object 1965-1966” del 2013. Crediti fotografici: Pierluigi Di Pietro.

Cosa ha lasciato all’arte Germano Celant?
A livello personale dirò che all’arte ha lasciato l’arte povera. È chiaro, però, che non avrebbe potuto limitarsi a questo e quindi ha continuato a operare sul piano internazionale sostenendo le migliori opere. In più, ultimamente, ha fatto mostre estremamente importanti. Cito, ad esempio, ‘Art & Food’ alla Triennale di Milano che organizzò in occasione di Expo 2015. È stata di grande rilievo perché ha messo in relazione tutta la storia dell’arte con l’arte attuale; in quell’occasione, Germano ha mostrato tutta la sua conoscenza, sapienza e capacità di curatore al massimo livello. Un curatore-ideatore direi. Fondamentale è stata anche la mostra alla Fondazione Prada intitolata ‘Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943’, realizzata da Germano: è stata creata in maniera nuova dove i lavori del passato venivano reimmessi negli spazi storici virtualmente ricostruiti. Ha quindi dimostrato una capacità espositiva totalmente rivoluzionaria.

Se potessi conversare ancora una volta con lui in un ultimo saluto, avresti un messaggio da rivolgergli?
Più che un messaggio, continuerei con lui due lavori che avevamo iniziato, ossia una monografia e un catalogo ragionato. Questo nostro progetto non potrà proseguire. Un saluto, però, lo porgo a sua moglie e suo figlio, perché Celant, purtroppo, ora non potrebbe più coglierlo: rivolgo loro tutti gli auguri di una vita che, senza dubbio, proseguirà mettendo a frutto gli insegnamenti e gli esempi profusi da Germano.

 


Didascalia immagine di copertina: Michelangelo Pistoletto e Germano Celant. Fotografia scattata alla galleria Luhring Augustine di New York, in occasione della mostra ‘Michelangelo Pistoletto. The Minus Object 1965-1966’ del 2013. Crediti fotografici: Pierluigi Di Pietro.