La Città Creativa e il Quadro specchiante: dialogo tra Michelangelo Pistoletto e Fernando Miglietta
Un viaggio tra città, Terzo Paradiso, Quadri specchianti, Biella Città Arcipelago, arte e sogni: sull'ultimo numero della rivista "Abitacolo" è stata pubblicata un'intervista realizzata da Miglietta al fondatore di Cittadellarte. “Per me - ha asserito il maestro - non è più sufficiente l’identità singola dell’artista che irrompe nel pubblico con la propria esclusività individuale. A me interessa passare dall’io al noi”.

Il suo simbolo del Terzo Paradiso ‘abita’ il mondo in un nuovo rapporto tra natura e artificio, mentre i suoi quadri specchianti si collocano oltre il tempo e lo spazio, come lo stato di vuoto dell’universo. Straordinario l’impegno di Cittadellarte per Biella Città Creativa. Qui il pensiero di Michelangelo Pistoletto diviene sempre più azione corale.

Miglietta – Pistoletto, la città ha ancora un futuro? O è morta da tempo? C’è chi nutre speranza in una nuova progettualità. Qual è il tuo pensiero?
Pistoletto – A Biella abbiamo creato Cittadellarte, che si compone di due parole: cittadella e città. Cittadella unita all’arte, fa Cittadellarte. La cittadella è il luogo della difesa, della protezione; mentre la città si estende nel territorio e divenendo sempre più ampia e complessa. Con Cittadellarte abbiamo messo insieme la protezione e l’estensione. Ma l’estensione nella modernità è divenuta metropoli. Noi abbiamo pensato che Cittadellarte doveva svilupparsi non solo come città ma anche come civiltà dell’arte. Un passaggio dall’idea di città all’idea di civiltà, in cui l’arte assume una funzione basilare nell’estendere il concetto di convivenza cittadina in una convivenza globale. Per far questo siamo partiti dal locale. Ed è con il simbolo di Cittadellarte, che Biella ha ottenuto dall’UNESCO il riconoscimento di Città creativa.

Ma la città può continuare ad espandersi all’infinito oppure deve avere consapevolezza del limite?
Noi abbiamo pensato che la città di Biella dovesse diventare un arcipelago, cioè includere non soltanto la zona limitata dalle mura ma anche tutto il territorio circostante. Abbiamo ideato così la città arcipelago, una città che non è più limitata nel costruito ma comprende anche la natura. Quella natura che, fuori dalle mura, è stata utilizzata nell’estensione di grandi monoculture dove si è eliminata la biodiversità e si è sviluppata la speculazione consumistica. L’arcipelago è costituito da isole comprese in un’area di mare circoscritta. Città Arcipelago vuol dire agglomerati urbani che, come isole, sono uniti da terre, boschi, montagne e corsi d’acqua, tutti coltivati e vissuti proficuamente. Biella Città Arcipelago comprende ogni comune della Provincia biellese integrando il tessuto urbano con quello rurale.

Potremmo dire che la Città Creativa è una scommessa di futuro?
È un progetto in progress, portato avanti con un processo reale.

Un progetto, quindi, che viene dal basso e coinvolge tutte le realtà istituzionali e ogni componente della società?
Sì, un progetto che viene soprattutto dal locale, perché c’è un’ idea di società che pensiamo globalmente ma che dobbiamo realizzare localmente.

Il simbolo del Terzo Paradiso è un inno alla metamorfosi. Tutto si muove, tutto si trasforma. Predomina il movimento, l’azione. In che misura il tuo simbolo della creazione dialoga con il concetto di Città Creativa?
Il simbolo del Terzo Paradiso è simbolo e formula della creazione. I tre cerchi consecutivi rappresentano la creazione in quanto in un cerchio puoi mettere un elemento, nel cerchio opposto ne metti un altro; al centro i due elementi si uniscono per creare un terzo elemento che non esisteva. La Natura da una parte e l’artificio dall’altra. Al centro, natura e artificio si ritrovano e producono una dimensione totalmente nuova, equilibrata e armonica.

Dove tutto si muove, appunto.
Sì, dove tutto si muove. L’universo stesso è rappresentato da questa formula, da questo simbolo. Abbiamo sempre due elementi che si combinano e creano un terzo elemento, con la stessa formula però si possono generare anche i mostri! Dobbiamo porre il mostro in un cerchio, la virtù nel cerchio opposto e al centro creare equilibrio e armonia. Viviamo in un mondo in cui gli estremi opposti nel loro dinamismo continuo, come tu dici, stanno sfuggendo a ogni controllo equilibrato e ci portano a una conflittualità che può provocare da un momento all’altro all’annientamento della stessa umanità. Mai eravamo arrivati con l’artificio a una estremità tra gli opposti tale da poter raggiungere o a un beneficio enorme o un maleficio totale. Abbiamo il dovere di unire queste forze estreme in maniera produttiva, equilibrata e armonica.

Tutte le tue azioni puntano sulla ricerca del Valore come forma identitaria contestandone l’idea di consumo estremo che la globalizzazione impone.
Il consumo esiste, e va bene, ma il problema sta nel sistema consumistico che crea le città artificiali rette da un’economia insensatamente speculativa. Occorre che l’economia sia utile a creare un equilibrio con la natura. Il consumismo può anche essere funzionale ma non a lungo; occorre arrivare a un equilibrio per cui produzione e consumo si adattino a un rapporto armonico con la natura.

Il rapporto arte-città è radicalmente mutato. Si assiste ad una proliferazione di installazioni site-specific. Come è cambiato il tuo rapporto di artista con la città?
Io ho attraversato il rapporto tra artista e sistema artistico, nel senso tradizionale, non tradizione dell’antico ma del moderno, che è quello individualistico. Io realizzo la mia opera e la mia opera è autonoma, libera, rappresenta la libertà dell’artista di agire mettendo in evidenza il proprio segno, la propria autonoma identità. Ma per me non è più sufficiente l’identità singola dell’artista che irrompe nel pubblico con la propria esclusività individuale. A me interessa passare dall’io al noi. Nel quadro specchiante io sono l’artista che ha fatto il quadro specchiante, ma dentro al mio quadro non sono più solo, lo spettatore diventa coautore della mia opera. Io lavoro ormai per una co-autorialità diffusa.

Nel senso che nei tuoi quadri specchianti c’è il mondo?
C’è l’universo, c’è tutto ciò che esiste, c’è l’infinito e il finito. A partire dai Quadri Specchianti ho portato avanti la mia ricerca proprio cercando di mettere il finito nell’infinito. Un processo in cui dal concetto di individualità si passa al concetto di totalità. Ma la totalità è fatta di tante unità. Vedi Miglietta, il simbolo del Terzo Paradiso mette in gioco due unità, non una sola. In un cerchio ci sono io, nell’altro cerchio ci sei tu. Insieme, nel cerchio centrale, noi creiamo. In ogni momento del nostro incontro noi creiamo. Tu e io in questo momento stiamo creando, così come esiste la creazione della natura, la quale agisce senza bisogno di noi. Ma noi abbiamo la capacità di creare così come crea la natura perché abbiamo scoperto il metodo della creazione. Il simbolo trinamico della creazione è necessario sia per la creazione artificiale che per quella naturale. Tuttavia la creazione artificiale, che per noi è ormai indispensabile, ha bisogno del supporto della creazione naturale perché senza quella noi non possiamo esistere.

La tua arte si nutre di pensiero. Possiamo dire che la tua arte si identifica in un pensiero generante?
Certamente. Un pensiero però che deve funzionare nella testa di tutti e che deve servire anche per far muovere le azioni. Il mio pensiero non ha senso se non diventa azione corale.

Un’azione corale che continui a manifestare attraverso il tuo simbolo del Terzo Paradiso in ogni città, in ogni luogo, finanche nello spazio.
Sì, quel simbolo è la formula che l’umanità ha cercato da sempre. Ora il simbolo-formula della creazione è scientificamente provato. Ho incontrato a Cittadellarte, nell’Universario dove si mostra il processo della creazione, Guido Tonelli uno degli scienziati che hanno scoperto il Bosone di Higgs. Insieme abbiamo verificato come scienza e arte abbiano raggiunto lo stesso punto. Questo simbolo però non è il simbolo dell’assoluto perché l’assoluto non esiste. Esiste invece una relatività continua, per la quale tutto funziona per relazione, per connessione e combinazioni. Quindi è il simbolo della relazione. Uno e uno fa tre. Uno sta da una parte, l’altro uno sta dall’altra, ecco la dualità. La dualità immobile non esiste, i due elementi si muovono, si incontrano al centro e nel cerchio centrale creano, come è stato sin da quando si è avviato l’universo.

Il fisico Guido Tonelli in un incontro con te ha sostenuto che “l’universo è uno stato di vuoto che nasce dal vuoto”. Si trasforma spontaneamente. E ancora, mai come nella tua arte, “arte e scienza si sono trovati nello stesso simbolo”.
Direi che la scienza non aveva fatto il simbolo. Io l’ho fatto come artista, e la scienza ne conferma il significato.

E allora Pistoletto: se l’universo è “uno stato di vuoto”, cos’è per te il vuoto?
Il vuoto è rappresentato dal cerchio centrale dei tre cerchi. Questo cerchio è sempre vuoto perché se fosse già pieno non permetterebbe ai due elementi che stanno a fianco di incontrarsi. Ma non è mai vuoto perché è sempre riempito dall’incontro incessante di tutti gli elementi che si combinano. Quindi è vuoto e pieno nello stesso tempo.

E allora, cos’è per te lo spazio?
Lo spazio è un elemento che di per sé non esiste. Esiste in quanto è concepito insieme al tempo. Nel quadro specchiante ciò che appare davanti ai nostri occhi, sono il tempo e lo spazio uniti, quindi è lo spazio-tempo.

Ma nello spazio-tempo la memoria come interagisce?
La memoria è fondamentale perché nel quadro specchiante fisso sempre un elemento: il fotogramma di una figura, di un oggetto, di un avvenimento che sta accadendo nel presente. Nello specchio il presente non rimane mai fisso perché ogni immagine che noi vediamo in esso prima non c’era, c’è, e poi non c’è più. Ogni immagine nasce e muore quasi contemporaneamente. Ma vedi Miglietta, questo vuol dire che noi stessi si nasce e si muore quasi istantaneamente. Un processo fisico, chimico, energetico produce quell’incontro continuo di cui parlavamo prima, il quale permette alle cose di formarsi, riprodursi, procedere. Però niente vive all’infinito, ogni cosa esistente ha una durata. Ma sicuramente l’istante non perdura. E allora, scattando la fotografia di un istante, fisso un’immagine che non esisterebbe più in quanto sarebbe trapassata nello specchio. Essa però rimane nel quadro specchiante. Rimane come il ricordo di un momento che è stato, che non c’è più e non può più esserci. È la memoria. Nell’universo stesso si estende, dall’origine in poi, un pulviscolo di memoria che permette, come dice Tonelli, di arrivare, attraverso sistemi tecnici avanzatissimi, al punto di partenza dell’universo. Fissando un’immagine sulla superficie specchiante metto nel quadro una memoria che permane con tutto quello che sta avvenendo e avverrà nel tempo e nello spazio.

Tu hai parlato del grado zero.
Lo zero è quello che noi abbiamo identificato come momento in cui ancora non si è sviluppato l’esistente. Nel mio quadro specchiante, il fondo specchiante, non ha immagine propria, quindi è vuoto. Se non fosse vuoto non potrebbe accogliere in sé tutte le immagini dell’esistente all’infinito. Quel vuoto è lo zero che contiene il tutto; il vuoto dello specchio.

Bellissima questa definizione. E come se lo specchio fosse anche lo stato di vuoto dell’universo.
Certamente, lo specchio non ha immagine propria, ma contiene l’immagine del tutto.

E molto bella questa considerazione. Ciò che dici illumina.
Vedi, io attraverso l’arte ho utilizzato un fenomeno fondamentale che è quello dell’immagine. Nella pittura raffigurativa si è sempre cercato di rappresentare l’esistente prefigurando arbitrariamente il sistema spaziale e temporale mentre invece il quadro specchiante da adito allo spazio-tempo di manifestarsi direttamente. Quindi, il concetto stesso di visione, di rappresentazione diventa estremo. Nel vuoto di immagine appaiono tutte le immagini.

Pistoletto cosa sognavi e cosa disegnavi da bambino.
Prima di tutto copiavo il Corriere dei Piccoli, mi piacevano le storielle. Non c’erano ancora i fumetti ma dei riquadri con piccole storie. Immaginavo, facevo dei finti giornalini; e poi le caricature, oltre a seguire mio padre che mi insegnava a disegnare e dipingere. All’età di quattordici anni ho fatto il mio primo autoritratto. L’autoritratto è diventato per me l’elemento essenziale nella ricerca della mia identità. Ed è attraverso l’autoritratto che la materia della tela pian piano si è modificata, si è talmente lucidata, da diventare specchio.

L’intervista è stata realizzata da Fernando Miglietta sull’ultimo numero Abitacolo – forme e linguaggi del contemporaneo.