Il foraging, termine inglese che indica la raccolta spontanea, è una pratica atavica, qualcosa che accompagna l’essere umano dalla notte dei tempi, un’abitudine che nella storia è stata una necessità, poi diventata passatempo. Chi ha imparato ad andare per erbe o funghi generalmente lo ha fatto andando insieme a qualcuno, molto spesso in compagnia di nonni e nonne: la raccolta spontanea è stata e continua ad essere un’importante occasione di trasmissione intergenerazionale di saperi e tradizioni. Le piante spontanee hanno inoltre notevoli benefici per la nostra salute: in molti casi è stata infatti riscontrata una maggiore presenza di vitamine, sali minerali, composti antiossidanti e acidi grassi rispetto ai loro “parenti” coltivati. Si raccoglie per varie ragioni, per l’uso in cucina, per l’autoproduzione di trasformati e di rimedi erboristici ma, non importa la ragione, i principi della buona raccolta valgono per tutti: raccogliere solo ciò che serve e che si ha il tempo di pulire e utilizzare; raccogliere a mano e una pianta alla volta per limitare i danni e controllare bene che cosa si raccoglie; lasciare bulbi e radici raccogliendo solo qualche foglia e/o fiore da ogni pianta; lasciare sempre almeno il 70-80% delle piante e su ogni pianta qualche fiore, di modo che possa compiere il suo ciclo vitale completo e propagarsi; non raccogliere dove raccolgono già altri per non mettere sotto pressione l’area.
Anche informarsi sullo stato di protezione delle piante che si vogliono raccogliere è molto importante: ciò che cresce in abbondanza in una regione potrebbe essere protetto altrove, come nel caso dell’aglio orsino, pianta relativamente comune nel Biellese ma protetta in Trentino poiché classificata come ‘minacciata’, principalmente a causa di una raccolta eccessiva e incontrollata. Se da una parte è possibile raccogliere tutto l’anno, ad esclusione dell’inverno, la primavera è considerata il momento migliore per la maggior parte delle specie di interesse, con la sua abbondanza di giovani foglie e germogli teneri e dolci che andranno a inasprirsi o diventare più coriacei con l’avanzare della stagione verso l’estate. Ad esempio troviamo la Silene vulgaris o strigoli, dal leggero sapore di piselli freschi e tenerissima; la primula (Primula vulgaris) che si può aggiungere a zuppe e insalate; il piattello o Hypochoeris radicata, le cui foglie basali vengono utilizzate sia cotte che crude, in modi simili a quelle del tarassaco; il grespino o Sonchus oleraceus, un’altra pianta molto comune i cui giovani gambi e foglie sono ottime saltate nel burro o aggiunte a zuppe e frittate.

Borragine.
Numerose anche le piante piante sinantropiche, ovvero quelle piante tra lo spontaneo e il coltivato, spesso considerate infestanti, che si trovano in grande concentrazione in presenza di insediamenti umani, come la borragine, Borago officinalis, con la quale si possono fare delle ottime ‘bistecche’ impanando e friggendo un paio di foglie grandi dopo averle farcite con delle fette di toma. La natura è generosa e le piante che si possono raccogliere sono tantissime, come innumerevoli sono gli usi culinari e medicinali che se ne possono fare. Per chi si approccia a questi temi per la prima volta il consiglio è quello di partecipare alle numerose passeggiate di riconoscimento offerte sul territorio. Restate aggiornati sulla programmazione di Accademia Verde e seguite gli eventi della Primavera Gastronomica, la rassegna appena inaugurata tutta dedicata alle piante commestibili selvatiche e curata dall’associazione Erbass.