Quando, tra la realtà di un notiziario televisivo e la finzione o rappresentazione di un’opera cinematografica, sentiamo pronunciare la parola ‘guerra’, i pensieri vengono rivolti al fenomeno sociale caratterizzato dalla violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Un conflitto globale o territoriale, spesso motivato e originato da reali o presunti interessi ideologici ed economici, a prescindere da portata, contesto, collocazione, causa, ha un fattore comune nella storia: la morte. Viene immediato riflettere sulla perdita della vita umana, sulle ferite, sui traumi non solo fisici, sui segni indelebili nella memoria di chi ha vissuto una guerra. Uno scontro tra eserciti e/o con armi da fuoco, però, non implica solamente pericoli per chi si trova sul campo di battaglia e per i civili ingiustamente e indirettamente colpiti, ma anche per l’ambiente. In quest’ottica, il 5 novembre 2001 l’Assemblea Generale dell’ONU ha dichiarato il 6 novembre di ogni anno come Giornata internazionale delle Nazioni Unite per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato. L’obiettivo di quest’ultima – che ricorre oggi – è sensibilizzare la società sugli effetti dannosi prodotti dalle guerre sull’ecosistema, oltre a garantire che la tutela dell’ambiente venga considerata prioritaria nelle più ampie strategie per la prevenzione dei conflitti e il mantenimento della pace.
“Le vittime della guerra – si legge in una nota su ONU Italia – sono i soldati e i civili, ma anche le risorse naturali e gli ecosistemi. Gli effetti dei conflitti sull’ambiente vengono troppo spesso trascurati (…). Non può esistere una pace duratura se vengono distrutte le risorse naturali e gli ecosistemi sui quali si basano i mezzi di sussistenza della popolazione”. Le Nazioni Unite mettono inoltre in luce il grave impatto che una guerra può portare a un determinato contesto ambientale: ad esempio rientrano nelle strategie militari l’inquinamento delle risorse idriche, la devastazione dei raccolti e delle foreste e l’uccisione degli animali. Non solo, il controllo delle risorse naturali “è tra i fattori – spiega l’ONU – che scatenano i conflitti”. Questi sono i temi affrontati dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), i cui studi hanno dimostrato che nelle ultime 6 decadi almeno il 40 per cento di tutti i conflitti interni erano connessi allo sfruttamento delle risorse naturali.
Le Nazioni Unite, per far fronte al problema, coordinano sei agenzie e dipartimenti – il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il Programma delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani (UNHABITAT), l’Ufficio per il Supporto al Consolidamento della Pace (PBSO), il Dipartimento degli Affari Politici (DPA) e il Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali (DESA) – per supportare i paesi nel processo di identificazione e prevenzione dei fattori che portano alla distruzione delle risorse naturali in situazioni di guerra, promuovendo inoltre azioni finalizzate alla pace. Il 27 maggio 2016 le Nazioni Unite hanno anche adottato la Risoluzione UNEP/EA.2/Res.15, che “ha riconosciuto – viene infine spiegato nella nota – il ruolo degli ecosistemi integri e delle risorse naturali gestite in modo sostenibile nel ridurre il rischio di conflitti armati e ha ribadito il suo forte impegno per la piena attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile elencati nella risoluzione 70/1 dell’Assemblea Generale intitolata Trasformare il nostro mondo: l’agenda del 2030 per lo sviluppo sostenibile”.