Gli alimenti che presentano una maggior presenza di fitofarmaci sono l’uva da tavola, le pere, le fragole e le pesche: è questo quanto si evince dal nuovo dossier Stop Pesticidi 2021, che ha preso in considerazione 2.519 campioni di alimenti di origine vegetale, includendo anche i prodotti derivati da apicoltura, pur se non appartenenti propriamente alla categoria, di provenienza italiana ed estera. Il lavoro è stato realizzato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero e si riferisce alla raccolta di dati relativi al 2020. Il motivo? “L’Italia, pur assistendo nel corso degli anni ad una diminuzione dell’impiego dei pesticidi, continua a registrare – così Legambiente nell’apposita nota stampa – un utilizzo ancora significativo di molecole chimiche di sintesi in agricoltura”. I risultati dimostrano che il 35,32% dei campioni regolari esaminati presentano uno o più residui di pesticidi, seppur nei limiti di legge, e le frutta risulta la categoria più compromessa, con oltre il 50% dei campioni che contengono uno o più residui; invece, tra gli alimenti trasformati, il vino e il miele sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 39,90% e il 20%. Per quanto concerne la verdura, si osserva una maggior quantità di alimenti regolari senza residui (73,81%) con solo poche tipologie che presentano elevate quantità di fitofarmaci come pomodori (60,20%) e peperoni (48,15%). Il dato più allarmante arriva da questi ultimi: “Nonostante sia rappresentata da una discreta percentuale di prodotti non contaminati da alcun tipo di pesticida – ha specificato Legambiente – questa categoria è quella che contiene il maggior numero di irregolarità (1,70% dei campioni totali appartenenti alla suddetta), con campioni di peperoni che addirittura raggiungono il 7,41% tra quelli analizzati”.
La presentazione del dossier
Il lavoro è stato presentato durante un webinar che ha visto confrontarsi esperti del settore e rappresentanti politici e istituzionali. In quell’occasione Legambiente ha rilanciato una serie di proposte ad hoc a a partire da tre capisaldi: la rapida approvazione della legge sul biologico, approvata dal Senato con un solo voto contrario e ancora ferma alla Camera, l’adozione del PAN, il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e l’approvazione di un PSN, Piano strategico Nazionale per la pianificazione della PAC, che punti con determinazione alla forte riduzione della chimica di sintesi in agricoltura. Non solo: l’associazione ha sottolineato come la transizione ecologica e la lotta alla crisi climatica “passino anche attraverso un sistema agroalimentare sostenibile e di qualità – così Legambiente – che punti sull’agroecologia, capace di guardare con determinazione e coraggio alla salubrità dei prodotti agricoli”.
Le novità incoraggianti
Prima di addentrarci nel dettaglio del dossier, partiamo dalle cosiddette ‘buone notizie’ riportate dall’associazione ambientalista, che riguardano principalmente le novità legate all’avanzamento di ricerca, alla sperimentazione e all’utilizzo di tecnologie innovative per innalzare l’asticella dell’integrato, riducendo gli input negativi, e i dati sul biologico, considerato dai consumatori anche nel 2020 uno strumento di salvaguardia della salute collettiva. Il biologico italiano, come sottolineato da Legambiente, sta acquisendo sempre maggiore credibilità sui mercati nazionali ed internazionali: “L’incremento dal 2012 al 2021 della percentuale di famiglie che scelgono il bio è fortemente positivo. Sono 23 milioni i nuclei familiari che hanno acquistato bio almeno una volta nell’ultimo anno. Ad avvicinarsi ai prodotti biologici non sono solo le persone che adottano uno stile di vita salutista (76% della categoria) ma anche famiglie con figli di età inferiore ai 12 anni (62% della categoria) e persone con alti livelli di istruzione come laurea, dottorato o master (59% della categoria). Un dato di estrema rilevanza rispetto a come sta cambiando la percezione del biologico viene proprio dai giovani, i cosiddetti millennials, che ricercano, in un rapporto maggiore del 50%, prodotti provenienti da questa filiera”.
I pestici
Come riportato dall’associazione ambientalista italiana, c’è una percentuale bassa di campioni irregolari, ossia con principi attivi oltre le soglie consentite pari all’1,39% di quelli totali, ma al contempo solo il 63% di campioni analizzati è regolare e senza residui di pesticidi. I fari sono poi puntati al restante 35%, relativo a quei campioni regolari ma contenenti uno o più residui di pestidici, seppur nei limiti di legge. “Sono state contate – si legge nella nota stampa – 97 sostanze attive differenti: un campione di pere con 12 residui, uno di ciliegie con 10 residui, uno di prugna con 9 residui, quest’ultimo considerato irregolare a causa del superamento dei limiti imposti (deltamethrin) e per utilizzo di sostanze non autorizzate (dimethoate e omethoate). In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari con uno o più residui, osservando come nel 53,59% dei casi sono presenti tracce di almeno una sostanza attiva”. In generale, i pesticidi più abbandonati sono in prevalenza fungicidi e insetticidi, in particolare, in ordine decrescente: boscalid, acetamiprid, metalaxil, fludioxonil e dimethomorph. Degna di nota è la presenza di residui di thiacloprid rinvenuti su campioni di miele, lamponi, melograno, mirtilli, mele, pere, pesche e tè verde, così come tracce di imidacloprid sono state rinvenute in campioni di peperoni e tè verde. “Queste due sostanze attive – viene sottolineato nel dossier – sono particolarmente pericolose per la salute delle api e il loro impiego non è più consentito dai Reg. CE 2020/23 (thiacloprid) e Reg. CE 2020/1643 (imidacloprid) la cui data di entrata in vigore potrebbe aver permesso l’accettabilità dei campioni. Nonostante la presenza totale di campioni non autorizzati sia bassa, sono state osservate irregolarità nelle categorie ortofrutticole. La causa è da attribuire principalmente al superamento del limite massimo di residuo per tutti i campioni considerati dove il dimethoate rappresenta la sostanza con maggiori irregolarità”.
I fitofarmaci
Un altro dato allarmante del dossier riguarda i fitofarmaci, la cui presenza risulta ancora troppo diffusa negli alimenti italiani ed europei. Come è stato evidenziato nel rapporto, in alcuni campioni alimentari sono addirittura state rinvenute sostanze altamente tossiche: “Continua a comparire – emerge nel dossier – il chlorpyrifos-methyl, il cui utilizzo è stato finalmente vietato nel 2020 dall’Unione Europea, ma che l’Italia continua ad adoperare per contrastare gli effetti della cimice asiatica, chiedendo specifiche deroghe per coltivazioni più a rischio, tra cui melo, pero, pesco, nettarine, noce e nocciolo. Sono state, inoltre, rinvenute tracce della sostanza attiva thiophanate-methyl, messa al bando a seguito delle perplessità sollevate da EFSA in merito a lacune nei dati forniti per la valutazione”. Legambiente mette in luce anche le controversie riguardanti la presenza di mancozeb, un fungicida “ad ampio spettro che causa effetti tossici per la riproduzione e per il sistema endocrino degli esseri umani a causa delle stime di esposizione non alimentare che superano i valori di riferimento per gli impieghi nei pomodori, nelle patate, nei cereali e nelle viti”.
I commenti
“Alla luce dei dati emersi dal dossier – ha spiegato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – dobbiamo adoperarci per raggiungere obiettivi sempre più sfidanti, sollecitando i decisori politici nazionali e comunitari a mettere in atto politiche incentivanti, come indicato con chiarezza dalle strategie Farm to fork e Biodiversità. Per raggiungere tali goal è importante puntare con impegno e determinazione sulle buone pratiche agronomiche che garantiscono la conservazione della biodiversità e adottare le tecniche innovative e digitali per prevenire ed evitare l’utilizzo di molecole di sintesi, utilizzando metodi alternativi meno impattanti, implementando ricerca e sperimentazione e favorendo percorsi specifici di formazione e informazione dedicati agli operatori del settore agricolo. Bisogna, inoltre, moltiplicare ulteriormente in quantità e qualità le analisi effettuate su campioni di prodotti alimentari, estendendo al sistema delle analisi chimiche sistemi complementari basati sul biomonitoraggio, oltre a effettuare campionamenti anche per la ricerca di principi attivi nel suolo. Serve altresì mettere al bando definitivamente sia il glifosato che ogni altra tipologia di neonicotinoidi per salvaguardare la salute dei consumatori, gli ecosistemi, le api e gli insetti impollinatori”. Alle sue parole hanno fatto eco quelle del direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti: “Dal punto di vista normativo è fortemente necessaria l’approvazione della legge sul biologico che è ancora ferma, purtroppo, alla Camera e che darebbe un impulso significativo all’intero settore, puntando senza indugi verso l’aumento delle superfici coltivate secondo questo metodo e ponendoci l’ambizioso obiettivo di raggiungere il 40% entro il 2030. Così come l’adozione del PAN, ossia il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, un tassello normativo fondamentale per ridurre l’utilizzo della chimica di sintesi, salvaguardare la biodiversità e rispettare i target definiti delle strategie europee per la riduzione dei pesticidi, senza dimenticare la revisione della direttiva comunitaria per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, per evitare deroghe all’utilizzo di principi attivi vietati per la loro tossicità sull’uomo e sulla fauna selvatica, ma concesse con una certa frequenza a numerosi Stati membri”.