Il cancro tra ricerca, speranza e prevenzione: intervista alla presidente della “Fondazione Edo ed Elvo Tempia” Viola Erdini
Si celebra oggi il World Cancer Day, promosso dalla Union for International Cancer Control e sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per dar voce a nostra volta alla ricorrenza, abbiamo approfondito il tema cancro in un dialogo con la presidente della fondazione biellese, trattando differenti rami della malattia e toccandone gli aspetti sanitari, sociali ed emotivi. Viola Erdini ci ha condotto nel mondo della ricerca e della solidarietà, argomentando l'importanza della prevenzione e riflettendo su come affrontare a livello psicofisico un percorso di cura.

Quando una persona ci manca ci rifugiamo nei ricordi. Così, in un battito di ciglia, la rivediamo. Nei pensieri scorrono immagini e momenti, si intrecciano attimi di vita. L’assenza diventa presenza e chiudiamo gli occhi per vedere meglio i fotogrammi del passato. Navigando nelle pieghe del tempo può scappare un sorriso o una lacrima colorata di malinconia. I primi momenti che scorgiamo sono episodi legati alla nostra memoria, giorni o secondi che per ragioni personali risultano indelebili. Quando intraprendiamo questo viaggio mentale, sembra anche di sentire la voce di quella persona. Oppure ci tornano in mente frangenti di vita quotidiana che anni fa potevano sembrare irrilevanti: un pranzo a casa, una passeggiata, una sera sul divano davanti alla TV. Ora, invece, sappiamo quanto fossero speciali. Tra questi istanti, però, può stagliarsi un’ombra, che si fa spazio tra la luce dei ricordi sereni. Bruscamente veniamo catapultati in un disordinato e confuso album costruito attorno a una parola: cancro, quella malattia che ci sta togliendo la possibilità di abbracciare il nostro caro ora. Questo album è troppo intimo per provare a descriverlo. Le pagine, a volte, non vorremmo nemmeno sfogliarle, sono fragili e delicate. Chi ha il proprio, nascosto o curato in un angolo di sé, può comprendere di cosa si tratta e come entrare in quella dimensione introspettiva.

Oggi si celebra il World Cancer Day, iniziativa dedicata a tutti coloro che stanno facendo fronte alla malattia e anche a chi sa ritrovarsi in quell’album. Non solo: questa giornata mondiale, promossa dalla Union for International Cancer Control e sostenuta dall’OMS, rappresenta un richiamo a riflettere su cosa ognuno di noi può fare per contrastare il cancro, rivolgendosi a istituzioni, esperti, pazienti, familiari dei malati e persone di tutte le età. La ricorrenza del 4 febbraio, infatti, è tesa a mettere in luce l’importanza individuale e collettiva nell’agire sulla prevenzione dei tumori e migliorare l’accesso agli screening oncologici. “L’obiettivo – così il Ministero della Salute – è quello di cercare di salvare vite, aumentando la consapevolezza sulla malattia in modo che le persone riconoscano meglio i sintomi, facciano prevenzione, evitino i comportamenti a rischio”. Lo slogan del World Cancer Day, per il triennio 2019-2021 è I Am and I Will – Io sono e io farò, un invito all’azione e all’impegno personale, associazionistico e istituzionale.

Per addentrarci nel tema cancro abbiamo dialogato con Viola Erdini (nelle foto di copertina), presidente della Fondazione Edo ed Elvo Tempia. La realtà biellese, costituita nel 2005, opera in modo integrato e sinergico con l’associazione di volontariato Fondo Edo Tempia Onlus*, in collaborazione con aziende sanitarie territoriali, università e centri di ricerca al fine di sostenere e migliorare i programmi oncologici della Regione Piemonte. Nello specifico, l’ente è impegnato in ambiti come la prevenzione, la diagnosi precoce, lo screening, la ricerca, l’oncologia molecolare, le cure palliative, la psiconcologia, il supporto alla sanità pubblica, il registro tumori, la divulgazione e la formazione, sempre avvalendosi di professionisti che lavorano per conto della Fondazione stessa o messi a disposizione delle Asl. Svolge, quindi, iniziative di utilità sociale nel settore assistenziale e sanitario per la tutela della salute umana in ambito oncologico. Le attività di volontariato sono invece in capo al Fondo Edo Tempia, nato nel 1981 dalla volontà di Elvo Tempia (nonno di Viola), in seguito alla perdita del figlio Edo per melanoma, all’età di soli 35 anni. La realtà biellese fu costituita da Elvo proprio per realizzare l’ultimo desiderio espresso da Edo: creare un’associazione che potesse dare un importante contributo per le persone malate di cancro e per i loro familiari.
Scopriamo quindi questa realtà, con un ampio focus sul cancro, attraverso le parole di Viola Erdini.

Il World Cancer Day è teso a una sensibilizzazione sul tema cancro per incoraggiarne la prevenzione, l’individuazione e il trattamento. Quale valenza ha a suo avviso questa ricorrenza a livello sociale e sanitario?
È fondamentale, perché la diagnosi precoce, ossia la prevenzione secondaria, resta una delle azioni più importanti per affrontare la malattia con terapie e cure mirate e tempestive. Diagnosticare un tumore in tempo rimane ad oggi il metodo più efficace che abbiamo a disposizione per aumentare la probabilità di successo delle cure. La prevenzione primaria è basilare, non solo per il cancro, ma per tutte le patologie. Quando si parla di prevenzione oncologica, in generale, ci riferiamo a quella primaria e secondaria, oltre alla terziaria che è finalizzata, invece, a prevenire il rischio di recidive. È essenziale che ci sia anche una maggiore presa di coscienza e responsabilità da parte delle persone, perché ci si deve rendere conto che è possibile fare molto nel nostro quotidiano per prevenire le malattie. Sicuramente contano la genetica e l’ambiente in cui si vive, ma noi possiamo migliorare la nostra salute se ci troviamo in equilibrio psicofisico, sia con il corpo sia a livello spirituale. Anche lo stress cronico, infatti, è un fattore negativo che incide nell’indebolimento dell’organismo. Bisogna essere consapevoli che fumo, alcol, sedentarietà e cattiva alimentazione aumentano il rischio di essere colpiti da malattie. Ci tengo a sottolineare questi aspetti, perché se ne parla, ma non abbastanza.


L’hospice durante la prima emergenza del Covid-19.

Uno degli effetti indiretti della pandemia è stato il considerevole ritardo di esami, visite specialistiche e interventi. Quanto ha influito il Coronavirus sulla prevenzione? La diffusione del vaccino potrà ovviare a questa criticità?
Ha influito tantissimo, non solo nei confronti del cancro, ma anche di altre patologie. Ci si è preoccupati – a parte le urgenze – prevalentemente di Covid-19. In primis ha causato il ritardo delle diagnosi: non è stato possibile fare controlli e lo screening oncologico è rimasto fermo per tre mesi, poi c’è stato un grande sforzo per recuperare gli esami rimasti indietro. Anche il nostro ambulatorio di diagnosi precoce è tornato attivo – con tutte le misure necessarie – non appena è terminato il primo lockdown. Oltre al ritardo delle diagnosi, la pandemia ha trasmesso paura a molte persone, che spesso non si sono recate nei luoghi di controllo, negli ospedali o nei centri ambulatoriali per non rischiare di contrarre il Coronavirus. Per quanto concerne l’impatto del vaccino, è presto per avere un’idea, dipende da diversi fattori. In ogni caso, gli operatori sanitari della nostra associazione sono già stati vaccinati come previsto dalla ‘prima fase’ del piano vaccinale regionale. In questo momento storico, inoltre, si parla poco di ciò che è bene fare per la nostra salute, considerando che passiamo molto più tempo in casa, e come conseguenza sono anche aumentati i casi di depressione. A questo proposito, dobbiamo cercare di avere una buona alimentazione e dedicare alcuni momenti liberi nel quotidiano per fare attività fisica e ascoltare musica, che sono utili al nostro benessere.


La dottoressa Adriana Paduos e l’infermiera Giovanna Genta nell’ambulatorio di diagnosi precoce dei tumori.

Nel 2020 a Biella qual è stata la tipologia di tumore che ha colpito più soggetti? In quest’ottica, ci sono differenze significative con i dati nazionali?
Per rispondere alla domanda, Viola Erdini ha lasciato la parola ad Adriana Paduos, direttore sanitario della Fondazione Edo ed Elvo Tempia, ndr.
Le tipologie più diffuse – ha spiegato la dottoressa – sono quelle della mammella, della prostata, dell’intestino e del polmone. A Biella il caso di tumore maligno che colpisce maggiormente è quello della mammella, con oltre 150 pazienti in un anno. Un numero rilevante, considerando che sono simili a quelli relativi al colon-retto, che però riguarda entrambi i sessi, non solo quello femminile. Nel nostro territorio l’incidenza è alta, ma non ci sono differenze particolari con le statistiche nazionali: non è vero che nel Biellese ci si ammala di più di cancro. Per avere un’analisi specifica, comunque, bisognerebbe consultare i registri tumori e poi contestualizzare i dati, perché i fattori e le cause da considerare sono molto numerosi. 

Quando i mass media costruiscono una narrazione che verte sui pazienti oncologici tendono a utilizzare un lessico bellico per descriverli, usando spesso termini come ‘guerriero’. Cosa ne pensa di quest’identificazione stoica che viene attribuita al malato?
Ritengo che oggi non sia più corretto parlare di ‘lotta contro il cancro’ e utilizzare terminologie che richiamino la guerra. Un tempo, forse, poteva essere più adeguato, perché la malattia non si conosceva e veniva vista come un nemico che ci colpiva dall’esterno. In realtà oggi la conosciamo molto di più e ci siamo resi conto che, in un certo senso, fa parte di noi, in quanto trasformazione che avviene al nostro interno e dunque sarebbe insensato pensare di fare la guerra a noi stessi. I linguaggi bellici sono inappropriati e talvolta possono anche essere controproducenti: chiamare ‘guerriero’ un paziente può caricarlo di una responsabilità che non è detto che lo aiuti nel suo percorso di guarigione. È importante, infatti, osservare e accogliere le proprie paure e far fronte alla malattia secondo un nostro approccio del tutto personale, senza l’utilizzo di maschere o etichette. Certamente se una persona invece sente di affrontare meglio la malattia sentendosi ‘guerriera’ deve essere libera di farlo. Io penso che la lotta si debba affrontare sul piano culturale attraverso campagne di sensibilizzazione per una trasformazione sociale e politica responsabile sul fronte cancro e prevenzione.

Il Fondo Edo Tempia è impegnato a 360 gradi nella ricerca e nella cura del cancro attraverso interventi che spaziano dagli screening regionali ai laboratori di genomica e oncologia molecolare, dalla psiconcologia fino alle cure palliative. Quali obiettivi vi ponete per quest’anno e per il futuro?
L’obiettivo è riuscire a prendere in carico le persone attraverso una medicina integrata, continuando a fare assistenza, ricerca e prevenzione, offrendo quindi un sostengo in modo integrato e globale. Desideriamo accompagnare le persone malate nel cammino terapeutico, generando una serie di consapevolezze che permettano di contrastare la malattia e arrivare a una guarigione del corpo e della mente.


Il laboratorio di genomica.

Qual è il vostro contributo nella ricerca sul cancro?
Noi abbiamo due laboratori di genetica. Uno è di ricerca di base e applicata, con sede alla villa del Fondo, in cui viene studiata la genomica dei vari tumori, collaborando con altre realtà di respiro nazionale e internazionale; la ricerca, infatti, non si fa da soli ma unendo le forze con altri istituti di ricerca. Il secondo laboratorio, quello di oncologia molecolare, è localizzato all’interno dell’ospedale di Biella e ha come scopo offrire una diagnosi molecolare dei tessuti tumorali dei pazienti in termini predittivi, diagnostici e terapeutici. Questo si articola collaborando con l’Ospedale di Biella e offrendo i suoi servizi, per tramite del Maggiore di Novara, per tutto il Piemonte nord-orientale, e svolge anche ricerca scientifica. L’attività di tipo molecolare è molto importante perché ci consente di capire le caratteristiche del tumore e scegliere il farmaco più adeguato per contrastarlo. Così si evita di usare medicinali che non servono ed è possibile ottenere cure più efficaci, anche con un risparmio sulla sanità pubblica. A livello di ricerca clinica, invece, abbiamo una collaborazione ormai consolidata da anni con il Polo Oncologico di Biella, per tramite di una nostra data manager finalizzata a questo tipo di ricerca focalizzata sui trattamenti farmacologici e i pazienti. È fondamentale, inoltre, prendersi cura della persona a 360 gradi con cure personalizzate, valutando sia gli aspetti fisici sia quelli mentali. In quest’ottica, con la psiconcologia diamo un supporto importante ai malati e ai loro famigliari dal punto di vista psicologico, favorendo una trasformazione emotiva che permetta di attuare cambiamenti anche a livello interiore. Accompagniamo infatti i pazienti anche attraverso una serie di attività tese al benessere spirituale, come lo yoga e il Tai Chi. Con il professor Gioacchino Pagliaro abbiamo più volte organizzato seminari di meditazione che risultano efficaci, secondo evidenze scientifiche, nell’abbattimento dello stress e di conseguenza nell’aumento delle difese immunitarie, aiutando così la persona a rispondere meglio alle terapie. 


Maria Scatolini, direttore del laboratorio di oncologia molecolare.

Quando viene diagnosticato un tumore, a prescindere dalla tipologia, si rincorre un pensiero chiave: la speranza. Quando la fiamma di quest’ultima si spegne, sembra avviarsi un lento cammino verso l’abisso. È possibile alimentarla o mantenerla viva anche in condizioni drammatiche? Se sì, come?
Il fine vita è un tema delicato e complesso che ogni persona affronta in modo diverso. Di recente ci stiamo occupando di questa delicata questione al Centro di promozione Cure Palliative della Regione Piemonte, coordinato da Oscar Bertetto e Marina Sozzi. Da oltre trent’anni ci occupiamo anche di cure palliative, mettendo a disposizione ulteriori medici, infermieri e psicologi all’equipe dell’ASL BI di cure palliative domiciliari biellesi, mentre sul territorio vercellese abbiamo la gestione per conto dell’ASL di Vercelli dell’hospice di riferimento del territorio situato a Gattinara, che sosteniamo insieme alle cure mediche domiciliari dal 2009. Da qualche anno, da quando abbiamo ottenuto la gestione, l’hospice è stato chiamato ‘Casa Tempia’ in quanto ci si prefigge l’obiettivo di far sentire il più possibile i nostri ospiti, i pazienti in fase terminale, come se fossero nella propria abitazione piuttosto che ad una struttura sanitaria od ospedaliera.
La speranza che hai citato io la metto vicino al concetto di qualità di vita: per me non è importante solo quanto tempo resta a una persona, ma come trascorre questo suo tempo. Uno dei nostri impegni è proprio valutare cosa si può fare per mantenere la vita riducendo la sofferenza anche in condizioni difficili come quelle della fase terminale della malattia. Questo argomento in genere spaventa molto: per la nostra cultura e società il tema della morte è un tabù perché c’è paura dell’ignoto. Dovremmo riuscire a trattare, fin da bambini, il tema della morte con un linguaggio adeguato, perché se già da piccoli lo vivessimo come un passaggio della vita non avremmo così tanto timore. In quest’ottica, mi aveva colpito il pensiero di Paljin Tulku Rinpoche, Lama del Monastero Buddhista di Graglia, che, invitato per una nostra conferenza su questi argomenti, spiegò che per la loro religione non esiste l’elaborazione del lutto, in quanto per tutta l’esistenza i buddisti hanno la consapevolezza che la morte sia un passaggio a una vita migliore. Chiaramente il familiare sente l’assenza del caro che non c’è più, ma sposare una visione simile aiuta ad affrontare un momento difficile con altri occhi.

Anche nei casi più delicati, i dottori sono tenuti a riferire ai pazienti le loro reali condizioni di salute. Spesso i medici si avvalgono, oltre della loro vocazione professionale, della loro empatia per informare i malati degli esiti più critici, ma alcune esperienze dimostrano che non sempre le notizie vengono comunicate col giusto tatto. Quella sensibilità che dovrebbe essere indivisibile con la professionalità è a volte mancante, quasi trascurando che per il paziente non conta solo cosa si dice, ma come lo si dice. In un mestiere che ha come finalità la cura del prossimo, il lato emotivo non dovrebbe essere soppesato maggiormente?
Eccome! La medicina è ancora troppo settoriale e ci si dimentica spesso quanto sia importante fare un’analisi complessiva con un approccio olistico della persona, considerandone tutte le componenti: come vive, quello che pensa e quello che fa nella quotidianità. È un lavoro complesso che mi rendo conto possa implicare la necessità di avere a disposizione molto tempo, cosa che, purtroppo, nell’attuale organizzazione sanitaria ospedaliera spesso non è sufficiente. Ci si dovrebbe sempre ricordare che noi, come esseri umani, siamo un sistema complesso. Sarebbe di rilievo, in quest’ottica, una duplicità: il medico deve dire la verità alle persone, ma allo stesso tempo deve avere la capacità di comprendere chi ha davanti per capire ‘come’ comunicarci. Già dalla formazione universitaria, a mio avviso, andrebbe trattato questo aspetto, approfondendo ambiti come la psicologica e le relazioni, che permetterebbero allo studente (futuro medico) di rapportarsi al paziente nel modo migliore, per poter affrontare insieme al malato il suo percorso nel modo più indicato e con un linguaggio adeguato. Naturalmente l’empatia dipende dalla persona, ma si può aiutarla a formare e a migliorarla.


Paola Minacapelli, psicologa del Fondo Edo Tempia.

Quali consigli si sente di rivolgere ai soggetti che hanno familiarità coi tumori? Oltre alla diagnosi precoce, una corretta alimentazione e uno stile di vita sano, quali suggerimenti potrebbero rivelarsi utili?
Bisogna tenere in considerazione quelle che sono state le malattie presenti nella propria famiglia e aderire senza paura agli screening programmati dal sistema sanitario nazionale. Grande peso, come accennato, ha anche lo stile di vita. In particolare, dobbiamo capire che è essenziale prenderci cura non solo della componente fisica, ma anche di quella spirituale ed energetica. Come ci ricorda la fisica quantistica, la materia è fatta di energia: ogni organo è supportato da quest’ultima, che potremmo mantenere a un buon livello di frequenza alimentandola con delle opportune attività. Ci sono pratiche, infatti, che contribuiscono a ridurre lo stress, come il Qi Cong, che porta numerosi benefici ai malati ma anche a chi vuole fare prevenzione. A questo proposito, do un’anticipazione: anche quest’anno, in primavera, organizzeremo delle lezioni della pratica in questione al Bosco del Sorriso in collaborazione con l’Oasi Zegna


Una lezione di Qi Cong all’Oasi Zegna con l’istruttrice Natalina Bassetto.

Il paziente oncologico non è il solo che deve far fronte alla malattia: anche i familiari e gli amici più stretti vivono, di riflesso, il percorso terapeutico del proprio caro. Un processo emotivo che spesso sfocia in una sofferenza, a volte fugace e altre costante, che non si sa come alleviare. Come aiutare anche chi è a fianco del malato? Non è semplice dare forma all’espressione ‘stare vicino’ quando si è coinvolti personalmente in casi così delicati…
È difficilissimo. Noi, in questo senso, dal ’95 abbiamo realizzato un centro di ascolto, dove aiutiamo le persone dando loro voce durante incontri individuali e di gruppo e offriamo supporto psicologico anche alle famiglie dei malati. È attivo da oltre 10 anni, inoltre, il Progetto Bambini dedicato appunto ai più piccoli, che devono essere seguiti in maniera differente rispetto agli adulti. Ci sono iniziative – come arteterapia, musicoterapia, yoga e altre attività – dedicate sia a bambini in terapia sia a coloro che hanno all’interno della loro famiglia un malato oncologico. La psiconcologia, per noi, è un supporto fondamentale ed è necessario che ci si avvalga di personale formato in questo campo, non soltanto in psicologia.


Viola Erdini.

Cosa significa per lei essere presidente della realtà che prende il nome di suo nonno e suo zio? Quale contributo ha dato finora e vorrà offrire nel tempo alla Fondazione Edo ed Elvo Tempia?
Per me è un compito molto importante, anche se impegnativo e difficile, perché lo voglio portare avanti al meglio e questo richiede responsabilità e, a volte, sacrifici. Io avevo un rapporto speciale e meraviglioso con mio nonno e, oltre alla soddisfazione che questo lavoro mi dà nel poter aiutare le persone bisognose, il mio pensiero va sempre a lui. Desidero proseguire il suo progetto al massimo delle mie capacità, consapevole che si tratta di un incarico molto complesso. Faccio del mio meglio, posso fare bene o sbagliare, come tutti, ma ci metto sempre tutta la mia passione, senza risparmiarmi mai.

Anche grazie a persone come Viola è possibile alimentare la speranza per il futuro. Non servono proclami o appellativi: quando la professionalità e la solidarietà incontrano la prevenzione e la consapevolezza una malattia può essere vissuta diversamente. Il sogno di Edo ed Elvo Tempia è già realtà.


*Il Fondo, avviato anche grazie a numerose donazioni, partì con il progetto Mimosa. Quest’ultimo era dedicato ai primi screening di mammografia e consentiva di portare gli esiti direttamente alle persone attraverso specifici camper e unità mobili. Le diagnosi precoci, nel tempo, si estesero ai pap test e a quelle per il colon retto, fino all’avvio del programma di screening regionale denominato attualmente ‘Progetto di prevenzione serena’, che il Fondo cura come esecutore fisico per conto della Regione Piemonte per l’area di Biella e Vercelli.