Uno spazio di coworking, di coliving e un incubatore di imprese culturali e creative: sono questi, in sintesi, i punti chiave che caratterizzano Casa Netural, una casa a Matera il cui allestimento è stato interamente disegnato con un processo di co-design, coinvolgendo una vasta community di oltre 400 persone, in tre step progettuali (ricerca e scelta della struttura, progettazione dello spazio, costruzione dell’arredo). Il progetto presenta un concept di spazio privato che si apre per ospitare persone, attività ed eventi per il pubblico. Ogni area, inoltre, è stata ideata per essere flessibile a diversi usi e facilmente modulabile. Prima di illustrare i dettagli di questo progetto innovativo, facciamo un passo indietro ripercorrendone la nascita, che si deve ad Andrea Paoletti, un architetto biellese. Il co-designer di Casa Netural, intervenuto ai nostri microfoni, ne ha svelato il dietro le quinte, a partire da un’esperienza che gli ha cambiato la vita professionale (e non solo): la partecipazione alla residenza artistica di UNIDEE a cui ha preso parte nel 2005. Nello stesso anno, si laurea al Politecnico di Milano con una tesi di architettura sociale sulla riqualifica del quartiere storico El Raval di Barcellona; la sua ricerca, nello specifico, si è focalizzata sullo sviluppo di una metodologia volta al riutilizzo di vuoti urbani con la costruzione di abitazioni temporanee che permettessero agli abitanti – in caso di ristrutturazioni – di rimanere nel proprio quartiere.
Andrea Paoletti.
“Ero alla ricerca – ha esordito Paoletti – della mia strada: da una parte desideravo lavorare in uno studio di architettura, dall’altra volevo rivolgermi verso la dimensione sociale del mio lavoro”. In quest’ottica, il suo professore universitario Beppe Finessi gli consigliò di recarsi a Cittadellarte, a Biella, per conoscere l’artista Michelangelo Pistoletto. “Il 1 maggio 2005 – ricorda l’architetto – ho conosciuto il maestro a Biella, che mi ha suggerito di partecipare a un modulo UNIDEE, in quanto si relazionava con la trasformazione sociale responsabile. Ho seguito il suo consiglio e – grazie a una borsa di studio della Provincia di Biella – ho preso parte alla residenza artistica da giugno a ottobre 2005”. La sua partecipazione si è rivelata simbolicamente rilevante anche per UNIDEE: Paoletti è stato il primo alumno (così venivano definiti i partecipanti) biellese e non artista. Nei quattro mesi di esperienza formativa, nello specifico, ha sviluppato un progetto che si focalizzava sul ‘ripensare’ un grattacielo di Pyongyang e ha lavorato a una strategia che desse nuova vita ai quartieri di Riva a Biella.
“È stata un’esperienza nuova per me. Si è trattata – racconta – della mia prima residenza, in cui ho costruito relazioni e amicizie internazionali (come con Enza Reina e Gayle Chong Kwan). Non è stata solo un’occasione di crescita professionale, ma un’immersione in mondi nuovi che mi ha aperto la mente e dato una visione a 360 gradi di cosa volesse dire trasformazione sociale responsabile; tanti valori in cui mi riconoscevo, ma che non avevo mai approfondito”. Grazie al modulo, inoltre, gli alumni hanno vissuto un’esperienza all’isola di San Servolo a Venezia (nel 2005 la curatela della Biennale fu affidata a Cittadellarte) e di lavorare alla Fondazione Antonio Ratti, dove si sono confrontati con l’artista Alfredo Jaar. “Anche attraverso queste esperienze – afferma Paoletti – ho compreso come si possa innestare una trasformazione sociale responsabile proprio a partire dall’arte. In generale, UNIDEE mi ha permesso di immergermi in culture diverse, perché i partecipanti venivano da tutto il mondo (ricordo, ad esempio, i dibattiti storico-politici tra un residente israeliano e uno palestinese); non sono mancati, inoltre, momenti conviviali, anche grazie al cibo”.
Dopo i mesi di residenza, Paoletti ha fatto ritorno al suo percorso professionale ‘originario’: “Volevo tornare – continua – a operare nell’architettura, così ho iniziato a lavorare in grandi studi: a Roma da Massimiliano Fuksas, a Milano dai ‘5+1AA’, da Vincenzo Corvino e Giovanni Multari. Le successive esperienze a Londra e a Milano (da Italo Rota), però, si sono concluse prima del previsto. A quel punto ho deciso di diventare libero professionista”. Da lì a poco, Paoletti viene a conoscenza del ‘mondo’ del coworking: “Ho subito pensato che poteva essere una risposta ai prezzi alti degli affiti, ma anche un’opportunità di operare nello stesso ambiente con altri professionisti”.
Inaugurazione di Casa Netural. Crediti fotografici: Pierangelo Laterza.
Nella sua ricerca di coworking, entra in contatto con il mondo di Impact Hub e diventa co-designer dello spazio di Milano. Qui ricopre il compito di co-designer, ovvero il responsabile di un processo in cui lo spazio non viene disegnato da lui come architetto, ma cercando di coinvolgere la comunità che ne farà uso. “Così – argomenta – è possibile venire incontro ai bisogni delle persone, mettendo insieme quelli dell’utente e quelli dell’imprenditore dello spazio. Il mio ruolo è sia di architetto sia di facilitatore di comunità che coinvolge le persone in maniera attiva e crea un’identità allo spazio di riferimento”. In quest’ottica, oltre a Milano, ha costruito vari spazi per Impact Hub – ad esempio a Rovereto, Bari, San Francisco e Oaxaca (in Messico) – e redatto uno speciale framework, ovvero un manuale di riferimento per realizzare spazi di co-design.
Il percorso continua negli Stati Uniti e, in questa fase di vita, un pensiero segna la svolta professionale di Paoletti: “Mi sono focalizzato sull’Italia – spiega – che è composta prevalentemente da borghi rurali e realtà periferiche. Quindi ho riflettuto: uno spazio di coworking può essere fonte di trasformazione sociale e volano per nuovi progetti territoriali? Così mi sono concentrato sulla nostra penisola, rifiutando anche una proposta imprenditoriale a Rio De Janeiro”. Dopo una ricerca di mercato, l’architetto scoprì che le uniche regioni dello stivale senza aree di coworking erano la Calabria, il Molise e la Basilicata. Proprio su quest’ultima ha scelto di aprire uno spazio, con l’obiettivo di farlo diventare un luogo di aggregazione e trasformazione territoriale. Così, Paoletti ha lavorato per individuare un luogo dove aprire e avviare un coworking: Matera. “Ho condotto – ha specificato – una mappatura informale, che mi ha portato a interfacciarmi con oltre 400 persone. In questo processo ho anche conosciuto Mariella Stella, diventata poi la co-fondatrice di Casa Netural, oltre che compagna e madre dei nostri figli”.
Proprio a Matera ha avuto inizio l’avventura di Casa Netural (‘Netural’ sta per ‘rural networking’, come a evidenziare non solo il link con la natura, ma anche con le aree periferiche): “Ho affittato una casa nei Sassi, nel quartiere storico e Patrimonio UNESCO. Mariella e io abbiamo desiderato sperimentare un progetto diverso per il territorio, che ‘parlasse’ a tutto il pianeta e che potesse aggregare persone dal mondo intero. Le nostre due prime mosse sono state semplici: aprire la porta e attivare il Wi-Fi; da quel momento ha preso il via il nostro progetto”.
L’ingresso di Casa Netural. Crediti fotografici: Pierangelo Laterza.
Dopo una serie di iniziative organizzate per coinvolgere maggiormente la comunità locale, Andrea ha dato vita all’associazione di Casa Netural*. Con l’aumento delle attività e degli associati, la struttura è divenuta troppo ‘stretta’ e così, quattro anni fa, Paoletti ha deciso di cambiare zona, ‘spostando’ Casa Netural nel quartiere residenziale di San Pardo, a 15 minuti dal centro di Matera. “Volevamo diventare – esplica l’architetto – un faro della comunità di questa zona e, nel tempo, siamo riusciti a essere un punto di aggregazione per il pubblico che già avevamo, ma anche per gli abitanti del quartiere e della città”. La fioritura di questo processo è avvenuta anche grazie a una serie di iniziative: il team di Casa Netural, ad esempio, ha trasformato le aree verdi – prese in gestione dal comune – in aree di gioco, tutto con materiali naturali ed ecosostenibli.
Paoletti continua illustrando le peculiarità del suo progetto: “Casa Netural – afferma – è uno spazio coworking, che, come accennato, non significa solo abbassare l’affitto e offrire opportunità inclusive per i meno abbienti, ma condividere competenze. Poi, è anche un’area di ‘coliving’ (siamo stati i secondi al mondo a utilizzare questo termine): si può dormire, mangiare, cucinare e lavorare da noi, ma il valore aggiunto è la comunità di riferimento, tra professionisti e cittadini, che l’ospite può conoscere; attualmente, per esempio, abbiamo una ragazza spagnola, una americana e un ragazzo francese. Siamo anche incubatore di imprese creative e culturali: vogliamo aiutare le persone nel loro prototipo, diamo consigli e compiti per un mese, così l’utente può valutare il suo progetto e vedere se si evolve. È, a tutti gli effetti, una cabina di prova per chi vuole sperimentare un’idea. A questo proposito, nel 2013, ci definivamo ‘incubatori di sogni professionali’, offrendo uno spazio che potesse incentivare un sogno che, però, fosse concreto”.
Da sinistra (all’ingresso di Casa Netural): Paolo Naldini, Armona Pistoletto* e Andrea Paoletti.
Di recente, inoltre, Casa Netural ha sviluppato progetti collettivi, come Wonder Grottole (teso alla rigenerazione dei piccoli paesi) o Netural walk (camminata antropologica ed esplorativa in cui i partecipanti incontrano le associazioni che si prendono cura del territorio). Non solo, ha fatto un altro importante passo avanti: “Siamo anche cooperativa – aggiunge – e questo ci permette di offrire maggiore sostenibilità al nostro progetto. Così, infatti, possiamo prenderci la responsabilità di eseguire azioni sempre più importanti lavorando per una trasformazione sociale responsabile, creando network e nuove narrative sui territori periferici. Ora ci troviamo in una fase in cui stiamo cercando di capire come le nostre conoscenze possano essere portate fuori dalla città. In quest’ottica, la mia esperienza sarà rivolta a valorizzare il potenziale inespresso del territorio. L’obiettivo – conclude – è cercare di portare il mondo nei quartieri periferici e i quartieri periferici nel mondo”.