Il 30 aprile si concluderà #Interferenze, la rassegna che propone una programmazione di arte visiva, poesia, narrazione e musica diffusa nella città di Latina e attraverso il web. Come riportato in un nostro precedente articolo, l’appuntamento è stato ideato e curato dall’Associazione culturale IL MURO con il contributo del Comune di Latina ed è stato organizzato con il patrocinio di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto. L’evento vede la partecipazione di artisti, scrittori e musicisti, che si confrontano sulla tecnologia e in particolare sul tema delle comunicazioni attraverso la tecnologia, elemento ambivalente che da una parte amplifica le relazioni e da un lato le circoscrive in una dimensione virtuale. Per dare voce ad alcuni dei protagonisti del festival, abbiamo pubblicato un’intervista a Giulia Ananìa e ora vi proponiamo un dialogo con G R (G.H. Rabbath). L’artista visivo, scrittore e docente è noto per aver rappresentato nel 2011 il Libano col vuoto istituzionale nel bel mezzo dell’Arsenale per la Biennale di Arte di Venezia con il suo progetto concettuale e performativo “Lo stato d’animo”. Nel 2013 ha lanciato il progetto “Il mondo migliore” (Better World), con la cui mostra di ritratti dei palestinesi e del personale delle Nazioni Unite ha partecipato nel 2014 ai festeggiamenti ufficiali per l’Anno Internazionale della Giustizia per il Popolo Palestinese. Nel 2015 si è svolta un’edizione speciale del progetto dal titolo “La firma con la luce”, documentato nel libro “The G.U.L.F.” per conto della coalizione GulfLabor.org che combatte per i diritti del lavoro migrante nei paesi del Golfo. Rabbath nel 2018 ha lanciato il progetto “Il mondo migliore” in Europa utilizzando la pittura d’azione per connettersi in tempo reale con lo spettatore e creare un racconto insieme.
Foto di G R scattata da Giovanni Righetti.
Partiamo da ‘G R’, cosa si cela dietro questo nome?
G R è il mio nome d’artista, un po’ come l’artista francese JR, ma diciamo che io so anche dipingere, disegnare ed integrare questa parte estetica nel mio progetto di performance art. Avere solo iniziali permette anche di reinventarsi e staccare dal nome e dal cognome che contiene tanta storia transgenerazionale che non entra nel progetto dell’artista.
Dal Libano all’Italia: ripercorri la strada che ha portato la tua arte nella nostra penisola?
Sono nato a Beirut, ma sono di origine armena e siriana. Non mi sento né come ‘libanese’, né come arabo, o europeo (spesso, l’ironia della radice comune delle lingue, vuole che arabo ed europeo indichino entrambi l’ovest). Ultimamente facciamo arte per scoprire cosa significhi essere umani. Viviamo su una piccola palla blu persa nell’immensità di un universo che sta accelerando nella sua espansione. Prima o poi la luce stessa delle galassie non ci arriverà più, ma noi non ci saremo. Nonostante questi dati, ci facciamo guerre per frontiere artificiali, come piccole formiche. Come artista, non credo nelle frontiere, che trasformano alcuni paesi in prigioni. Nonostante questo (o magari grazie a questo) atteggiamento verso il Libano e la scena artistica libanese e del medio oriente in generale, ho rappresentato il Libano a Venezia nel 2011 col vuoto fisico e istituzionale, in una biennale che talvolta viene vissuta come una forma di circo (nel senso peggiore del termine). Considero l’Italia come un paese a parte, un museo a cielo aperto. Per me la ricchezza della produzione del Rinascimento (collegata alla storia antica ellenica e romana dell’arte) fa di questo paese un luogo così eccezionale che non potevo essere altrove. Quando mi chiedono ‘di dove sei?’ ho sempre voglia di rispondere: ‘essendo artista, sono forse di qua’. Questa penisola è l’anima di questo mondo, e prende ancora più importanza quando alziamo lo sguardo verso un cielo infinito dove le galassie fuggono ad una velocità sempre più grande.
I tuoi ritratti più recenti sono realizzati senza staccare la penna dal foglio, che sia di carta o digitale. A cosa si deve questa scelta? È solo un processo stilistico o c’è una ragione che ti spinge a rappresentare i soggetti in questo modo?
Sono arrivato a questo mio stile di disegno a mano libera, dopo anni di ricerca e progressi, cercando di rappresentare il movimento e di dare vita al ritratto. Ho finito per usare un metodo che sembra un assembramento di tratti, o ideogrammi astratti di una lingua sconosciuta, o ancora un movimento aleatorio come quello di Brown, dando così una dimensione narrativa all’opera visiva. A mio modo sto anche portando avanti il progetto del mancato Jason Polan; luì è riuscito a fare trentamila ritratti durante tutta la sua vita, mentre io ne farò trentamila ogni anno quando troverò lo sponsor giusto che possa offrire la logistica necessaria per lavorare sei ore al giorno. Ho cercato anche di abbinare la lunga storia del disegno – che risale all’inizio della nostra umanità (anche prima della scrittura) e che si trova all’origine di ogni forma di opera artistica (tutto inizia con una bozza, un disegno) – col progresso tecnologico tramite l’uso di una tavoletta grafica, ma disegnando sempre su carta. Questo processo permette la scansione simultanea del tratto e il caricamento automatico sul cloud dei disegni in formato vettoriale, oltre alla possibilità della condivisione sui social, e soprattutto la creazione di un archivio. A R K, in quest’ottica, è un progetto di archivio destinato all’avvenimento futuro di un’intelligenza artificiale che si porrà la domanda ‘Cos’è essere umano?’, indagando anche su come rimettere giustizia nella storia degli uomini su questa terra.
Ritratto di G R al curatore Larry Ossei-Mensah.
Realizzando i ritratti hai avuto modo di conoscere, a partire dalle tue opere, persone di ogni generazione e nazionalità. Cosa si prova a dar forma al volto di un estraneo? Immagino che tu debba cercare di vestire i panni dell’altro, anche a livello emotivo, per rappresentarlo al meglio…
Mi hanno detto frequentemente che colgo le anime delle persone. Il mio stile di disegno è non accademico: è come quando un amante toccava il volto della persona amata. Credo veramente che da un punto di vista fenomenologico si può cogliere l’essenza della persona poiché la persona si dà interamente nel suo apparire. Disegnando su carta bianca, ad esempio, devo riconoscere che, a livello tecnico, eseguire il ritratto dei volti a pelle scura era più difficile, e questo mi ha permesso di riflettere sull’atteggiamento che persone di pelle chiara possono avere all’incontro di persone di pelle scura, anche senza esserne consapevoli. Oltrepassare questa difficoltà del disegno del volto mi ha permesso di avvicinarmi di più a questa considerazione della rappresentazione della pelle scura nei ritratti, difficoltà che si poneva già infatti dall’inizio della storia della pittura, centrata sulla rappresentazione della pelle bianca. Un altro punto di rilievo, avendo fatto un dottorato in neuroscienza a Parigi negli anni ’90, è l’essere diventato consapevole dell’importanza della scoperta di Rizzolatti dei neuroni a specchio e delle conseguenze che questa scoperta poteva avere per la creazione artistica e i progetti di arte contemporanea; mostrare, cioè, immagini o ricreare situazioni di ingiustizia nell’ambito di progetti artistici, coinvolgendo lo spettatore come testimone nello scopo di farlo risvegliare e poi magari cambiare il suo atteggiamento. Non ha mai l’effetto voluto.
Tanti artisti non sono consapevoli del fatto che il nostro cervello non fa la differenza tra un atto creato da noi stessi o da un’altra persona, e dunque da un punto di vista neuroscientifico le azioni di altri, di cui siamo testimoni, fanno di noi anche co-agenti, e dunque colpevoli. Questa realtà spiega un po’ come mai tante azioni di critica provata dagli artisti del movimento concettuale e documentaristico siano state sempre estetizzate e inghiottite dal sistema dell’arte, andando così contro la finalità stessa dell’opera dell’artista. Purtroppo tanti artisti continuano a seguire quel principio sbagliato. Da un’altra parte, inoltre il mio progetto quando si potrà fare dal vivo, potrebbe avere una dimensione terapeutica che vorrei sviluppare con colleghi del mondo scientifico. Le persone che vedono il loro ritratto farsi dal vivo, in tempo reale hanno sempre una forte reazione emotiva molto impressionante.
Hai più volte posto la tua arte al servizio della solidarietà, attraverso numerosi progetti e opere. Quanto conta questa finalità nel tuo approccio creativo?
L’artista non può fare la sua opera artistica e lasciarla curata solo dal museo o altre entità. Se non c’è partecipazione, coinvolgimento dello spettatore nella creazione dell’opera, che deve essere costruzione e scultura sociale (come direbbe Beuys), allora non c’è veramente arte; in questo caso l’opera d’arte si vede già allontanata dalla finalità originaria e diventa uno strumento del potere rappresentato dalle istituzioni ufficiali. Viviamo in un mondo talmente ingiusto che non posso essere artista e fare astrazione da tutto ciò che è avvenuto prima di me. E questo è uno dei motivi che fanno fermare la storia dell’arte al Rinascimento, quando le Americhe erano solo scoperte, ma non ancora distrutte con la creazione di nazioni come gli Stati Uniti che, secondo Chomsky, sono stati costruiti su due genocidi. So che non posso fare molto da solo, ma nonostante questo, scelgo di non accettare lo stato del mondo com’è. E come dicevo prima, invece di mostrare atti di violenza o ingiustizia tramite performance e documentazioni, seguendo il principio antico della mimesi e della catarsi, preferisco andare nella strada opposta e creare progetti di partecipazione e di solidarietà per contribuire a cambiare il tessuto sociale.
Due ritratti di G R a Michelangelo Pistoletto.
Michelangelo Pistoletto, nel suo Manifesto Progetto Arte del 1994, scrisse che “è necessario che l’artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione l’arte con ogni altra attività umana, in breve tutte le istanze del tessuto sociale”. Cosa ne pensi di questa sua visione?
Sono d’accordo su questo e il contributo del maestro è stato immenso. Anche col progetto Visible, e il premio associato, Cittadellarte sta contribuendo a cambiare il tessuto sociale.
Disegno realizzato da ‘G R’ per il festival #Interferenze.
Sei stato tra gli ospiti del festival #Interferenze. Cosa ha rappresentato per te questa partecipazione?
La mia partecipazione è avvenuta in modo organico, tramite conoscenze e amici. Per me, i progetti di arte dovrebbero svolgersi su un lungo periodo e andare oltre i confini dei musei, creando legami tra le vite di diversa gente e crescere come un organismo vivente. Sono sempre diffidente nei confronti dei progetti ben fatti e finanziati, ma che sono sempre limitati nel tempo e nello spazio. A mio parere non fanno che danni, poiché danno l’illusione di verità. Per #Interferenze avevo fatto disegni di luoghi a Latina e ritratti di persone che la gente poteva scoprire con l’apposito QR code. Infatti, prima del Covid, mi preparavo per fare iniziative simili in diverse città e borghi d’Italia. Mi auguro dopo la pandemia, di creare l’opportunità di continuare il progetto A R K dal vivo e con il pubblico a Biella, per Cittadellarte.
Disegno realizzato da ‘G R’ per il festival #Interferenze.
Con il tuo progetto di arte concettuale e di performance ARK by G R hai sostenuto la ricerca sul Covid-19 dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma. Che consiglio daresti a un artista che desidera dare un sostegno nella lotta alla pandemia con la propria arte?
I progetti per beneficenza entrano nello scopo del mio progetto e nella mia visione di come deve essere l’arte contemporanea. Non mi sento però a dar consigli ad altri artisti. Il mio progetto A R K è aperto a tutti. Tutti sono i benvenuti.
Oltre all’emergenza economica acuita dalla chiusura dei luoghi di cultura, quale impatto ha avuto il Coronavirus per il mondo dell’arte? Ha offerto nuovi stimoli o l’isolamento e le criticità sociali hanno minato la creatività?
Questa crisi, a mio parere, sta cambiando il sistema dell’arte e creando più uguaglianza poiché impedisce a tutti i collezionisti e curatori jet-setter di volare ovunque per creare o assistere a nuove mostre. L’arte deve essere organica e crescere senza importare curatori ‘turisti’ che vengono a fare una mostra ‘straniera’ per poi andare altrove e giustificare la loro esistenza e il loro posto nel mondo dell’arte. D’altra parte penso che la tecnologia della blockchain libererà gli artisti delle gallerie e altre persone che fanno l’intermediario e contribuiscono a distruggere la finalità del progetto artistico. Sto dunque proponendo la mia arte sotto forma di NFT, poiché l’arte digitale prodotta nell’ambito del progetto A R K è già pronta per la cripto arte.
È possibile cambiare il mondo con l’arte?
Non sembra possibile in un mondo pieno di ingiustizia sempre crescente, ma ciò non mi impedisce di battermi anche se sembra non ci sia alcuna speranza. Quest’ultima non è cosa buona poiché ci spinge a dilatare i tempi e non agire nel presente. Con le nuove tecnologie posso immaginare una forma di cambiamento nel momento in cui l’intelligenza artificiale si porrà le domande giuste per quanto riguarda l’ingiustizia umana e vorrà innestare un cambiamento. Io voglio fare arte per questa intelligenza artificiale futura, anche perché oggi gli esseri umani hanno una memoria così corta che siamo sempre a reinventare la ruota, volta dopo volta. Infine, non siamo fatti per vivere per sempre e ultimamente l’arte è il nostro modo di fare la pace col fatto che finiremo tutti per sparire nel buio dell’immensità. Se devo lasciare qualcosa dietro di me per le generazioni future che avranno la possibilità di raccogliere i nostri dati elettronici, decido di lasciare centinaia di migliaia di miei disegni. In conclusione, aggiungo una citazione del Faust di Goethe che trovo interessante come paradigma da seguire per uscire dalla falsa dialettica tra l’ottimismo sbagliato del modernismo, e il cinismo ancora più sbagliato del postmodernismo: «FAUST – Oh se avvenga mai ch’io mi corichi neghittoso nelle morbidezze, sia allora a untratto la mia fine; se tu puoi tanto aggirarmi e ammaliarmi ch’io mi piaccia di me medesimo, se sai trovare dolcezze che mi facciano inganno, io voglio allora chiudere subitamente i miei giorni. Orsù, io scommetto teco.
MEFISTOFELE – Vada!
FAUST – Pon su la mano! E s’io dirò mai al fuggevole istante: “Oh, tu se’ bello! dura, tu sei sì bello!” allora tu mi cingerai di catene; allora io inabisserò teco volentieri; allora la campana suoni a morte; allora tu sei sciolto d’ogni servitù; non più il sole misuri il giorno per me; il tempo sia consumato».