È quasi calato il sipario sulla COP28, che si svolge dal 30 novembre al 12 dicembre. Per l’occasione l’Accademia Unidee, attraverso il suo magazine, ha intervistato Paolo Naldini, presidente dell’Accademia Unidee e direttore di Cittadellarte. Il motivo? Il 3 dicembre era stato invitato a parlare di persona a Dubai per intervenire sulla moda sostenibile in un panel con Camera Nazionale della Moda Italiana, Prada, Gucci e Milano Fashion Institute. Paolo Naldini ha infatti tenuto uno speech insieme a Nicola Guerini del Milano Fashion Institute nel panel Sustainability Education for Fashion nel contesto del talk Climate Change is not Cool: a sustainability message from the fashion world (tutti i dettagli in un nostro precedente articolo).
Partiamo dall’inizio, una tua impressione a caldo sulla COP 28. Com’è andata?
Per uno che vent’anni fa predicava la sostenibilità nel deserto, vedere migliaia di delegati di ogni Paese occuparsi seriamente della crisi climatica è quasi un sogno.
I lavori hanno visto il coinvolgimento di Enti e Organizzazioni da tutto il mondo. Ti senti di ringraziare o citarne qualcuno in particolare?
Le Nazioni Unite sono un altro sogno avverato. Anche in questo caso la realtà però è ben lontano da quanto vorremmo. Ma se non esistessero, le cose starebbero ancora peggio, e di molto.
In che modo l’Accademia Unidee – insieme alla Fondazione Pistoletto di cui è emanazione – si impegna nella lotta contro il cambiamento climatico, e come è stata rappresentata alla COP28?
Siamo stati la prima organizzazione della società civile a presentare pubblicamente l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. L’abbiamo fatto a Cuba, nel novembre 2015, un mese dopo la promulgazione dell’Agenda stessa da parte dell’ONU. Da allora abbiamo realizzato centinaia di iniziative per la promozione e realizzazione dell’Agenda stessa, dall’energia all’acqua, dall’educazione alla filiera agroalimentare, dal diritto a un lavoro e salario dignitoso per tutti alle filiere produttive manifatturiere tracciabili, sostenibile e circolari… praticamente ogni giorno lavoriamo per la sostenibilità, che noi dagli anni ’90 iscriviamo nel più ampio concetto di Responsabilità.
A tuo giudizio l’Accademia Unidee, da sempre apripista sulla sostenibilità e sulla responsabilità collettiva, come integra i temi emersi a questa COP28 nella sua didattica di tutti i giorni?
La decarbonizzazione, la tracciabilità della filiera tessile e abbigliamento, l’educazione fondata sull’attivismo e la demopraxia, concetti e progetti come il Terzo Paradiso e l’arte socialmente impegnata sono fondamenti della nostra scuola, a cominciare dall’Accademia, ma senza dimenticare le scuole elementari dove operiamo anche direttamente con la nostra scuola del Terzo Paradiso, frequentata da 21 bambini, e i corsi di Unidee Residency Program (che ogni anno accolgono oltre 100 partecipanti da tutto il mondo).
Durante la COP28, ci sono stati momenti o incontri particolarmente significativi che vorresti condividere con noi?
La marcia degli attivisti per il cessate il fuoco e la liberazione della Palestina. Non possiamo separare la lotta per la pace e la giustizia dalla lotta per il clima. Si tratta delle stesse dinamiche culturali ed economiche.
Quali sono stati i principali messaggi e obiettivi che hai portato alla COP28?
La Pace Preventiva, cioè l’assurdità della guerra per la pace: solo la pace porterà la pace. Questo vale per tutti i Paesi in guerra, ma vale anche per il Pianeta, contro il quale l’umanità è in guerra da 200 anni almeno, con l’idea che la natura sia senza anima e quindi che possiamo farne quello che vogliamo, estrarre senza ritegno e misura ciò di cui abbiamo bisogno o di cui pensiamo di avere bisogno, o anche solo piacere. Se fossi un alieno che passa davanti alla Terra sarei sconvolto dall’orrore che questa specie che si chiama sapiens perpetra contro gli animale, la natura e i suoi propri simili… ma forse lo sono tutti, anche senza essere extraterrestri. Poiché ero invitato dalla Camera Nazionale della Moda nel Padiglione Italia a un panel sull’educazione e la moda sostenibile, ho parlato dell’attività dell’Accademia Unidee come campus per chi guiderà le organizzazioni pubbliche e private del mondo verso un equilibrio dinamico tra noi e la natura. Si può dire che stiamo formando gli operatori di pace preventiva di cui abbiamo tutti bisogno. Ma come vent’anni fa erano in pochi a capire quanto facessimo a Cittadellarte, per ora sono solo i pionieri più illuminati che si iscrivono alla nostra Accademia. Presto, in tutto il mondo non si farà che quello che stiamo già facendo all’Accademia Unidee. Non dico questo per arroganza.
Puoi condividere alcune delle principali iniziative o progetti che l’Accademia insieme alla Fondazione Pistoletto sta attuando per promuovere la sostenibilità ambientale?
Innanzitutto l’Accademia è a Cittadellarte che è un esempio significativo di rigenerazione di edifici abbandonati, senza quindi consumo di suolo, con tecniche di bioarchitettura, basti pensare all’edificio di paglia di riso, al solare e al geotermico, alla coltivazione in permacultura… tutte cose che impariamo e insegniamo a Cittadellarte. E poi il lavoro sulla moda e la fiera tessile e abbigliamento dal 2008 è essenziale, se si pensa che questo è il settore secondo per impatto ambientale complessivo a livello globale secondo le stime delle Nazioni Unite. E molto altro. Nulla basta. Tutto serve.
Quali sfide pensi che la comunità studentesca e artistica affronti oggi nel contribuire alla consapevolezza ambientale e alla sostenibilità?
Gli studenti sono una linfa fondamentale, senza pregiudizi e senza interessi precostituiti, non hanno niente da perdere (nel senso che non hanno ancora costruito carriere e patrimoni) e quindi hanno il coraggio radicale che serve nei momenti più importanti della vita. Anche loro, però devono disimparare, prima di tutto, quello che gli è stato inculcato finora, tranne nei casi purtroppo non così frequenti, di esperienze formative realmente di valore, trasformative e autentiche. Tutti dobbiamo disimparare i paradigmi tossici del passato e imparare quelli generativi del futuro. C’è da fare un gran setaccio di tutto quello che l’umanità ha creato come pensiero e azione, perché ci sono straordinarie lezioni e progressi, ma anche una miriade di errori. Setacciamo per esempio il mondo precordiale, vediamo come si vivevano i commons in Europa o nel resto del mondo, i boschi e i fiumi, per esempio, vediamo come convivevano uomini e donne prima delle cacce alle streghe, vediamo come si stava in alleanza con altri animali. Quello che si rivelerà buono, reimpariamolo. Il resto ovviamente lasciamolo nel passato che abbiamo superato con la nostra intelligenza, la scienza e il progresso civile. Ma senza fare questo setaccio imparziale e totale, non avremo gli strumenti per sopravvivere e prosperare in armonia con il pianeta.
Come vedi il ruolo dell’arte e della cultura nel sensibilizzare le future generazioni e ispirare azioni concrete per affrontare il cambiamento in atto?
Non puoi fare niente se non lo sai immaginare. Quindi come prima cosa dobbiamo imparare a immaginare un altro mondo. Sembra facile, ma pochissimi lo sanno fare. Quindi, dall’arte dobbiamo imparare la facoltà del creare. Se non creiamo, non solo non saremo felici davvero mai, ma nemmeno ci salveremo, perché saremo totalmente automatici, altro che intelligenza artificiale. In realtà gli umani sanno creare per natura, ma spesso vengono addestrati a dimenticarsene. E poi dall’arte e dalla cultura ci sono capacità vitali che possiamo apprendere: condividere, coltivare spazi di incontro e scambio, riconsiderare le verità stabilite, mettersi nei panni degli altri e comprenderli, innovare, vedere le stesse cose con occhi nuovi, rappresentare la complessità, comunicare l’indicibile, creare simboli e concetti e immagini e linguaggi per ciò che era ignoto… e poi un artista non sarà mai contento finché non avrà completato l’opera. E se l’opera è trovare il modo di vivere in armonia e pace su questo meraviglioso pianeta, allora gli artisti sono le persone più adatte a occuparsi di “affrontare il cambiamento in atto”, come dici tu.
Come si possono coinvolgere le comunità locali e globali nella lotta contro il cambiamento climatico, in particolare attraverso l’arte e la cultura?
A Ginevra, attraverso l’Opera dell’Arte della Demopraxia, il Refettorio di Walter el Nagar, Ambasciatore del Terzo Paradiso e straordinario attivista del diritto al cibo, è stato introdotto nella Costituzione Federale questo fondamentale diritto umano. È solo un esempio di che cosa si può ottenere attraverso l’arte.
In che modo l’Accademia intende diffondere tra i suoi suoi studenti le questioni legate alla sostenibilità sociale e ambientale?
Tutto in Accademia è basato sulla ricerca della sostenibilità intesa come l’armonia dinamica, gioiosa e vitale che unisce le cose diverse, le soggettività differenti, in alleanze, simbiosi, conversazioni e tensioni generative. Quando studi Design System o Cultura dei materiali per la moda oppure Tecniche di rappresentazione dello spazio o Decorazione in realtà studi e sperimenti come gli ambiti di lavoro e di attività dove queste discipline si attuano, possono diventare centrali energetiche di trasformazione della società in senso responsabile. Certo che devi conoscere ciò che è stato fatto e pensato prima di te. Ma quello non è l’obbiettivo, ma uno dei requisiti che devi possedere per potere capire, creare e realizzare ciò che manca. Un immenso programma. E ci sarà lavoro per tutti in questo. Non c’è azienda o organizzazione che possa trascurare l’urgenza di riorientarsi e riorganizzarsi. Per fare questo hanno tutti bisogno di professionisti preparati con le capacità sviluppate dalla nostra Accademia.
È possibile a tuo giudizio conciliare le giuste aspirazioni idealistiche degli studenti con le realtà, a volte anche dure, della vita lavorativa?
Sta accadendo dappertutto ed è indispensabile. Brunello Cucinelli ad esempio nella sua azienda attua quello che alcuni giudicano aspirazioni idealistiche, così come Patagonia, ma anche come il collettivo Cooking Sections (membri della faculty di Cittadellarte) che ha portato parte di una comunità di allevatori di salmone ad allevare conchiglie che invece di degradare l’ecosistema lo rigenerano, migrazione a cui si sono aggregati tutti i ristoranti delle Tate Galleries e di oltre 20 istituzioni culturali britanniche. La realtà è già più avanti degli stantii paradigmi di molti di noi. E gli studenti spesso sono già lì.
Alla luce della tua esperienza alla COP28, quali consigli daresti ad altri leader, artisti e attivisti che vogliono contribuire alla vostra mission per provare a rendere il mondo un posto migliore?
C’è molto più da guadagnare nel prendersi cura del mondo che nel continuare a degradarlo e offenderlo. Solo che per secoli si è seguito il modello dell’economia militare, cioè che si guadagna distruggendo e ricostruendo e poi distruggendo e così via. Banale e molto semplice come sistema, ma ha funzionato in molti casi fino a oggi, ovviamente per chi stava dalla parte “giusta”, perché per quasi tutti questo sistema ha portato morte, sofferenza e ingiustizia. Il mondo è molto di più di un buco da cui estrarre minerali preziosi, è un organismo vivente che come un amico leale, più gli fai del bene, più farà del bene a te. Se gli fai male, prima o poi ti tornerà. E la crisi climatica ne è la prova. Nel bene e nel male, il pianeta è il nostro specchio e quello che gli diamo, lui dà a noi. In senso spirituale, emozionale, ma anche economico.