“Non solo un progetto per scoprire l’impatto negativo del settore tessile, ma anche un racconto per restituire a tutti noi la certezza che cambiare le cose è ancora possibile e tutti noi abbiamo un ruolo da giocare”. WRÅD presenta così, sui propri canali social, Junk – Armadi pieni, una docuserie, coproduzione Will Media e Sky Italia, girata attraverso tre continenti per raccontare i luoghi dove i problemi della moda nascono (hub produttivi) e quelli in cui si accumulano lontano dal nostro sguardo. È Matteo Ward a guidare, con uno sguardo toccante e riflessivo, lo spettatore in sei puntate, ognuna dedicata ad un problema diverso causato dalla moda, girate in sei paesi diversi: Cile, Ghana, Bangladesh, Indonesia, India, Italia. Uno degli obiettivi clou, ossia scoprire la verità sull’impatto negativo della moda, non si può non dire riuscito, grazie a uno storytelling crudo, diretto, senza fronzoli, che mette in luce cosa c’è oltre i confini, oltre l’orizzonte, oltre l’apparenza. L’opera filmica mostra solo la verità, quella complicata, che spesso non si vuole vedere. Un processo introspettivo che mira a passare dalla denuncia a qualcosa di più concreto: “Cambiare le cose – si legge nella descrizione del trailer – è ancora possibile se tutti noi scegliamo consapevolmente di informarci e avere un ruolo attivo. In altre parole, ne abbiamo tutti gli armadi pieni di vestiti problematici e con Junk vogliamo restituire un significato più onesto e concreto alla parola sostenibilità per capire, insieme, come mettere in discussione lo status quo del sistema moda”. La docuserie, presentata giovedì scorso a Base Milano, è disponibile da oggi sul canale YouTube di Sky Italia, on demand su Sky e su NOW e da sabato 8 aprile anche su Sky TG24.
Le prime due puntate online
Sono attualmente visionabili su YouTube i primi due episodi. Il primo è girato in Cile: “Nel 2022 – così la sinossi della puntata – il Deserto dell’Atacama è stato al centro di social e stampa di tutto il mondo: una serie di video mostravano il deserto cileno inondato da vestiti usati provenienti dai mercati occidentali. Dopo appena qualche settimana però questa vicenda è passata in secondo piano. Quei vestiti sono ancora lì? E come ci sono arrivati? Ad un anno di distanza siamo andati in Cile a cercare di scoprire la vera storia di quei vestiti”. Quello in cui si viene catapultati è un mondo quasi distopico, con immagini che sconvolgono lo spettatore. Quello che si vede non è un film hollywoodiano, non sono effetti speciali, ma la realtà. Senza addentrarci in spoiler per lasciare l’adeguato coinvolgimento a chi guarderà la puntata, passiamo alla seconda, in Ghana. Qui, a destare preoccupazione (per usare un eufemismo) è lo scorcio di una spiaggia colma di stracci. Su cosa verte, quindi, l’episodio? “Il Ghana è tra i più grandi importatori al mondo di vestiti di seconda mano. Ogni settimana nella capitale arrivano 15 milioni di capi usati – dal Nord del mondo – che vengono rimessi in vendita nel celebre mercato di Kantamanto. Quanti di questi vestiti però sono davvero in condizione di essere riutilizzati? Quelli che non lo sono, dove finiscono? E che impatto hanno sulla popolazione? Siamo andati ad Accra per trovare la risposta”.
Il video promozionale – l’intervento di Paolo Naldini
Per offrire nuovi spunti di riflessione sul tema cardine della serie, è stato realizzato un video promozionale che vede Matteo Wrad dialogare prima con Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, e poi con Michelangelo Pistoletto. Il filmato è girato, non a caso, negli spazi della Fondazione Pistoletto, sfondo attivo se si parla di moda sostenibile: Matteo è infatti uno dei fashion designer della piattaforma B.E.S.T. (Better Ethical Sustainable Think-Tank), il laboratorio operativo dedicato allo sviluppo della sostenibilità nel settore tessile, dalle materie prime al design, dalla produzione alla formazione, che si pone come risultato di una contaminazione tra l’arte che assume responsabilità sociale e un mondo della moda alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo etico, responsabile e sostenibile; Fashion B.E.S.T., inoltre, riunisce in una piattaforma decine di aziende produttrici di tessuti, filati e accessori sostenibili. Il collettivo B.E.S.T. si ispira al pensiero di Michelangelo Pistoletto e vuole essere un polo energizzante che fonde forze diverse come estetica ed etica, creazione e produzione, sensibilità artistica e impegno sociale. L’obiettivo dei membri del think-tank, ognuno operante dalla propria prospettiva, è quello di ispirare, produrre e diffondere una visione responsabile e circolare della moda. E, in quest’ottica, non si può non pensare alla docuserie Junk – Armadi pieni. Non solo: uno dei cuori pulsanti di Cittadellarte è l’Accademia Unidee, che, tra le offerte formative, propone una triennale in moda sostenibile. Sulla scia di questo forte legame tra la Fondazione Pistoletto e la moda etica è stata data voce a Paolo Naldini: “Questo luogo – ha esordito – era un lanificio che era stato abbandonato ed era diventato un rifiuto. Un artista ha cominciato a rigenerarlo e con lui si sono uniti pensatori, filosofi, attivisti, imprenditori e, insieme, hanno dato luogo a una scuola in cui si concepisce e si studia come la moda possa essere sostenibile. Chi decide che cos’è e quando una cosa diventa un rifiuto? Chi progetta le cose che poi diventeranno rifiuto? Non arriverà mai il momento che progetteremo per non diventare rifiuto”. Il direttore si è poi focalizzato sulla Venere degli stracci: “Pistoletto nel 1967 realizza la Venere degli stracci. Nell’opera – ha spiegato – la bellezza tiene insieme gli stracci e i rifiuti del mondo. Ecco, Cittadellarte è la rappresentazione di quell’opera. Qui quel lavoro dell’arte sui rifiuti si fa quotidianamente”.
Il video promozionale – l’intervento di Michelangelo Pistoletto
Nel contributo video, Matteo Ward ha poi domandato a Pistoletto di illustrare come è nata la Venere del stracci: “Io credo – ha risposto il maestro – nel caso, che è l’elemento combinatorio di tutte le cose. Per caso io avevo un mucchietto di stracci nello studio, perché adoperavo dei vecchi abiti per lucidare e pulire le mie lamiere che usavo per fare i quadri specchianti. Poi, un giorno, davanti a un negozio avevo visto una venere di pietra, l’ho caricata sulla mia auto e l’ho portata in studio; poi ho ammucchiato gli stracci e ho ‘incaricato’ la venere di fare un servizio, ossia di tenerli su. La venere si rigenera sempre e nella stessa maniera rimane memoria imperitura, anche se allora non pensavo che sarebbe così presto degenerata la situazione mondiale in questo mondo di consumismo, da cui con la mia opera ho cercato di fuggire. La Venere è il marchio eterno e senza fine della bellezza”. Il maestro ha poi dato la sua chiave di lettura su Junk: “Anche grazie alla vostra docuserie possiamo vedere come questa civiltà stia diventando stracciona, stracciata ed esaurita nel suo consumarsi”. Ward ha poi mostrato a Pistoletto una foto che ritrae una delle montagne di stracci in Ghana: “È mostruoso. Non c’è – così il maestro – nessuna ragione specifica che possa spiegare qualcosa di simile, tranne quella di un’avidità estrema di possesso di questo pianeta. Noi siamo arrivati addirittura con la scienza e la tecnologia a sostituirci al mondo, ma dobbiamo saper far buon uso del tessuto, dell’abito, di costumi. Qual è il costume del nostro tempo? È distruttivo”. Il fashion designer ha poi rivelato l’obiettivo del documentario, ossia “generare una nuova consapevolezza per provare a ripartire da zero e trovare il Terzo Paradiso”. Così, il maestro ha chiosato con un’affermazione che ha toccato ed emozionato Wrad: “Quello che stata facendo voi andando a documentare tutto questo – ha concluso Pistoletto – è un’opera d’arte estensiva della Venere degli stracci”.