“La formula della creazione” di Michelangelo Pistoletto sotto i riflettori del Castello di Rivoli
Il 23 febbraio alle ore 18:00 Michelangelo Pistoletto ha presentato il suo ultimo volume in occasione del finissage della mostra “Molti di uno” tenutasi al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Le molteplici forme dell’arte del maestro sono state esplorate in conversazione con Marcella Beccaria, co-curatrice della mostra e vicedirettrice del museo.

Definito dalla vicedirettrice del Castello di Rivoli come “Un libro molto denso e complesso ma al tempo stesso molto accessibile”, l’ultima pubblicazione di Michelangelo Pistoletto, edita da Cittadellarte, è un viaggio attraverso le epoche che condensa in XXXI Passi i momenti fondamentali della sua vita, dalla sua giovinezza fino ai giorni nostri.
Ventidue sono stati gli anni dedicati alla scrittura del volume e cinquanta i minuti a disposizione per raccontare, durante l’evento, l’evoluzione dell’arte del maestro.
Riavvolgere il nastro del proprio percorso, in continuo avanzamento da più di 90 anni, è un dono destinato a pochi nella storia dell’arte. E ascoltare le vicende di questa storia dell’arte, con colui che continua a viverla in prima persona, è un privilegio raro nella storia dell’uomo.
La luce cala e le memorie di Michelangelo Pistoletto con le riflessioni della co-curatrice iniziano a intrecciarsi argomentando la nascita di un pensiero e di una ricerca artistica che avrebbero cambiato la visione del mondo contemporaneo. L’immaginazione degli ascoltatori in sala viene trasportata dalla figura del ‘giovane Michelangelo’ all’interno del laboratorio di restauro del padre, da una madre volenterosa di condurre il figlio verso il nuovo orizzonte della pubblicità e dalle parole guida di Armando Testa che stimolarono l’artista ancora ventenne a studiare a fondo l’arte moderna.
Negli anni ’50, le persone scalmanate davanti alle vetrine di una galleria d’arte di Torino, indignate davanti alle opere di Alberto Burri e Lucio Fontana, sono ricordi indelebili nella memoria di Michelangelo. “Quelle opere erano qualcosa di inaudito, – commenta l’artista in merito – io non sapevo la ragione che aveva spinto quei due artisti a realizzare quelle opere, ma il loro crearle implicava che dietro doveva pur esserci una ragione. Ho pensato che anche io avrei dovuto trovare la mia ragione. Così ho iniziato a chiedermi chi sono e perché esisto”.


L’accesa questione dell’epoca orientata sul confronto tra arte figurativa e arte astratta, i diversi incontri che Pistoletto fece con l’arte antica e con gli artisti contemporanei del tempo, vengono affrontati nel susseguirsi dei Passi del libro. “Nella mia arte – riassume il maestro – ha prevalso l’arte figurativa, ma il mio percorso è fondato sull’incontro e sulla conoscenza dell’arte antica e delle icone, dell’arte astratta come quella di Pollock, che permetteva a un gesto di far trovare il rapporto con la realtà e degli artisti più figurativi come Bacon. Lui prendeva l’immagine di una persona umana e la deformava, caricandola di dramma, di quel dramma esistenziale che, sia sul piano astratto e sia su quello figurativo, doveva essere affrontato. Io scelsi l’arte figurativa perché mi permetteva di scoprire me stesso attraverso l’immagine”. Un incontro particolarmente rivelatorio fu quello con Piero della Francesca, attraverso l’opera La Flagellazione di Cristo. Questo dipinto, realizzato nel 1450 circa, presenta una straordinaria dimensione prospettica della scena dipinta che non solo avrebbe ribaltato totalmente la concezione dello spazio nella storia dell’arte, ma avrebbe continuato a ispirare tutti gli artisti che sarebbero seguiti. “La visione di questo quadro è stata epifanica – afferma Michelangelo Pistoletto –, osservando la prospettiva rinascimentale ho capito il potere dell’arte, la sua capacità di anticipare la scienza e di toccare temi che altre discipline non riescono a raggiungere con altri linguaggi”. Teniamo a mente che il termine “prospettiva” deriva dal latino perspectiva e dal verbo perspicere, che significa “vedere attraverso”.
Questo momento fece spostare l’asticella dei ragionamenti del maestro più avanti rispetto alla questione artistica del tempo, ancora focalizzata sul confronto tra astratto e figurativo. La ricerca, per Michelangelo, doveva orientarsi sullo studio della fenomenologia.
Compaiono i primi lavori pittorici, gli autoritratti a fondo oro, che ispirandosi alle icone religiose abbracciate dal sacro infinito, rappresentavano per il maestro un tentativo di inserire e connettere la propria persona nel e con il mondo. Il fondo oro diventa, nelle varie sperimentazioni, lastra metallica lucente e ancora “tela nera verniciatissima riflettente”: ecco la scoperta dello specchio, strumento di Michelangelo per “vedere attraverso”.
Nascono i Quadri Specchianti e l’artista ottiene l’immagine persistente di sé all’interno delle inesauribili possibilità d’interazione con la realtà. “Nel momento in cui il fondo è diventato specchiante – afferma il maestro – quello ero davvero io e ho capito chi ero”.

Poi, però, è arrivata una serie di lavori epocale ma diversa – interviene la co-curatrice della mostra Marcella Beccaria – , che ha segnato profondamente il tuo percorso d’artista. Queste opere sono gli ‘Oggetti in meno’, con cui ti sei volontariamente staccato da quella carriera che si prevedeva spianata e anche ormai facile da perseguire, grazie ai ‘Quadri Specchianti’, all’interno della corrente della Pop art americana”.
Io sono stato avvicinato alla pop art attraverso Leo Castelli e Ileana Sonnabend – racconta Michelangelo – galleristi che hanno riconosciuto nel mio lavoro una correlazione con la Pop art nel mio affrontare l’universalità attraverso una rappresentazione oggettiva. Io di fatto creo qualcosa che è riconoscibile da tutti, ma la Pop art aveva assunto quel sistema glamour consumistico che trasformava tutto in prodotto e in marchio. Io mi opposi. Per me era importante concepire l’universalità nella totalità dell’universo, non nel concetto dell’ego, ma nel concetto del ‘noi’. Così ho sviluppato gli ‘Oggetti in meno’, che ho realizzato come se io fossi stato tanti artisti. Combinazione, proprio qui sopra, abbiamo una mostra che si chiama ‘Uno di molti’ o ‘Molti di uno’? ‘Molti di uno’. Ecco, facendo questa serie di oggetti stavo già rivelando la mia molteplicità”.
Si sfogliano le pagine, le fotografie che fanno da sfondo al racconto scorrono fino ad arrivare al XXV Passo: un momento fondamentale per la realizzazione di un grande progetto. La vicedirettrice del museo lo introduce come “La grandissima estensione nel mondo reale di tutte le idee e dell’infinita e generosa visione di Michelangelo Pistoletto: Cittadellarte”. Un luogo dove l’artista è costantemente al lavoro, in cooperazione con persone e con artisti di tutto il mondo, impegnato a trasformare un’idea in una effettiva e attiva entità. Tutti gli ambiti della società e della vita civile sono raccolti e uniti all’interno di questa città ideale dell’arte, perché, come suggerisce Marcella Beccaria, “non esiste alcuna attività umana in cui l’arte non sia fondamentale”.
Cittadellarte – afferma il maestro – è basata sulla formula della creazione, un nuovo equilibrio trinamico tra naturale e artificiale, che io ho riassunto con un simbolo chiamato Terzo Paradiso. Ora il Terzo Paradiso non è più solo un simbolo ma un’attività che continua a ‘creare una nuova società’ e a espandersi grazie all’impegno degli ambasciatori di tutto il mondo”.


Numerose persone sono state accompagnate, attraverso lo specchio di Michelangelo, a cogliere la realtà e il presente. In conclusione, si giunge al confronto dell’artista con un ulteriore portale: il grande specchio tecnologico dell’intelligenza artificiale. “Per me l’intelligenza artificiale – spiega Michelangelo – è uno specchio totale e tecnologico della realtà. Io ho usato in un certo modo lo specchio visivo, quotidiano, e con lo stesso criterio, uso lo specchio tecnologico, che questa volta non è fatto di materia lisciata ma di tecnologia avanzata”.
Il primo incontro dei visitatori e delle visitatrici nel percorso della mostra Molti di uno, allestita al terzo piano del museo, nella Manica Lunga, avveniva con un Quadro Specchiante ritraente Michelangelo Pistoletto con il corpo tatuato di diversi QR code. Questi simboli, funzionanti e attivabili attraverso lo smartphone, permettevano al visitatore di entrare in altri e ulteriori varchi tecnologici attraverso il corpo del maestro.
La narrazione prosegue con la proiezione di 6 grandi QR code, le opere più recenti dell’artista, che entrano nella collezione del Castello di Rivoli grazie a Michelangelo Pistoletto e alla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. “Ho realizzato queste opere – spiega l’artista – chiedendo all’intelligenza artificiale di fare un testo su un particolare aspetto del mio lavoro. Ho chiesto di parlarmi dei Quadri Specchianti, della Venere degli stracci, del rapporto che arte, scienza e religione hanno nel mio lavoro e di Cittadellarte. Per la realizzazione dell’ultima mia opera le ho chiesto di creare una mia opera”.
La parola viene lasciata all’intelligenza artificiale: così come avvenuto quella sera, è possibile rileggere la risposta dell’AI cliccando qui.
La conversazione termina lasciando tutti nella sala con una domanda, tanto inquietante quanto importante, che riguarda da vicino ciascuno di noi e su cui Michelangelo Pistoletto è già al lavoro per provare a trovare una risposta: l’AI può davvero sostituire la creatività umana?