Creazione e donazioni di mascherine utili a contrastare il contagio da Coronavirus per la le fasce più colpite della popolazione, con l’avvio di nuovi canali e diffusione prodotti per rispondere alle nuove abitudini di difesa dalla pandemia: è su questo che verte il nuovo progetto di Made in Carcere*, una cooperativa sociale non a scopo di lucro. Questa realtà coinvolge detenute o donne con fragilità sociali nella realizzazione di prodotti fatti a mano come borse e accessori; un percorso formativo teso a un progressivo reinserimento nella società lavorativa e civile. Quanto realizzato ha sempre un’impronta di sostenibilità: così come per l’obiettivo ‘seconda possibilità’ per le detenute, anche i tessuti utilizzati sono esclusivamente di recupero, provenienti da aziende italiane aderenti al progetto Textile Bank – realizzata tra la onlus Made in Carcere e l’associazione Mare di Moda – che racchiude circa 150 tessutai, felici di veder rivivere i loro prodotti e contribuire ad una iniziativa ecosostenibile. Un filo, colorato di etica e rinascita, che unisce simbolicamente produttore e prodotto.
Questa volta, la realtà solidale si è spinta oltre, contestualizzando il suo operato con la criticità globale. Come rendersi utili in questa attuale criticità socio-sanitaria? Ecco che Luciana Delle Donne, fondatrice dell’onlus Made in Carcere, con il suo team ha deciso di investire i momenti di quarantena in tempo attivo avviando un’iniziativa: la creazione e la seguente donazione di 5mila mascherine alla cittadinanza, alla comunità carceraria e al comune di Lequile, che ospita da anni l’associazione. “Nel carcere – spiega Luciana – dopo la gestione della prima fase d’emergenza, si intravede quindi un nuovo scenario produttivo, grazie anche al sostegno immediato della direttrice del carcere di Lecce Rita Russo e del carcere di Trani il dottor Altomare. Si sono organizzate infatti le fasi di formazione e produzione con non poche complessità, e quasi ogni giorno comunichiamo a distanza, anche attraverso delle videochiamate. Sotto le macchine da cucire nei penitenziari di Lecce e Trani, dove lavorano circa 15 risorse, scorrono tessuti pregiati per creare dispositivi di protezione da usare, lavare e riutilizzare. A breve verranno coinvolti anche gli istituti di Matera e Taranto”. Si tratta di mascherine dotate di ‘filtro in TNT’, che si possono sfilare e sostituire, mentre l’involucro, una volta lavato, potrà essere riutilizzato. Un’attenzione alla sostenibilità non banale, soprattutto in questo periodo di emergenza in cui l’usa e getta – a causa delle criticità sanitarie – sta diventando pratica sempre più diffusa.
Quali sono gli aggettivi chiave di queste mascherine? Come affermato da Luciana, sono “belle, innovative ed ecologiche”. Per i kit per adulti e bambini, infatti, “sono utilizzati colori, fantasia e allegria per stemperare il buio della quarantena, per proteggerci ed invitarci a riflettere su un maggior rispetto per l’altro e per l’ambiente”. Il lavoro, comunque, è continuo ed in costante evoluzione: dopo una prima fase di attuazione realizzata alacremente, si sta procedendo su tre fronti.
Il primo prevede l’acquisizione della procedura di certificazione (in collaborazione con Politecnico di Bari e il Gruppo naz.le Emergenza Covid, Confindustria Moda/Federmoda) di prodotto medicale, sia per le mascherine sia per i camici, da donare inizialmente a chi ne ha più bisogno (strutture sanitarie in primis). Il secondo punto riguarda la produzione continua di mascherine con filtro da distribuire gratuitamente nelle carceri e ad altre fasce deboli della popolazione civile. Il terzo, invece, verte sulla strutturazione di canali di distribuzione digitali, per raggiungere nel minor tempo possibile una domanda che cresce a ritmi elevatissimi.
“Con Made in Carcere – ha aggiunto Luciana – abbiamo la possibilità di sostenere un progetto di valore e allo stesso tempo portare in piena sicurezza nelle case delle famiglie italiane un prodotto ormai essenziale”. Le mascherine in questione sono già disponibili sul sito di Mukako e presto sarà possibile reperirli anche su Gioosto, 2nd chance e sullo store online di Made in Carcere. Il lavoro, però, non finisce qui: “Ci stiamo strutturando – ha specificato – per raggiungere una maggiore capacità produttiva, coinvolgendo altre unità come le sartorie sociali di periferia, già nostri partner, ed altre piccole realtà in collaborazione con il Comune di Lequile”.
La onlus ha già le idee chiare sul futuro e delinea le prospettive post prima ondata di Covid-19: “La produzione non si limiterà alle mascherine ma ad una serie di prodotti innovativi che mirano a trasformare questo buio periodo storico in una esperienza forte da raccontare, incentrata sull’estetica, l’inclusione sociale e la tutela ambientale. Tutto con tessuti e materiali di recupero da far rivivere e soprattutto da far durare nel tempo, perché è sempre più necessario attivare dei modelli di economia rigenerativa. In questo caso – conclude Luciana – l’idea vincente è senza dubbio il progetto e non il prodotto in sé. Si può e si deve generare benessere non solo inseguendo un profitto, ma preservando il capitale umano, che è la nostra più grande ricchezza”. Non solo gli associati possono prodigarsi per questa causa, ma chiunque può dare il proprio contributo: per sostenere tutta la progettualità di Made in Carcere è possibile effettuare una donazione (IBAN: IT20J0335901600100000074077) o devolvere il 5×1000 (P.IVA 03992810758). “Per fare quello che facciamo – chiede così un aiuto Luciana – non basta solo l’amore…”