Click. Click. Click. Diversi (auto)scatti che segnano il tempo, testimoniandone la fugacità. A toccare lo schermo di uno smartphone è Diana Pintaldi, artista, che ha messo in luce, attraverso una serie di immagini, alcuni frangenti chiave della sua vita. Un racconto personale che ha dato luce, nello specifico, al ‘pre’ e ‘post’ nascita di suo figlio, Brando. Per articolare questo storytelling introspettivo ha dialogato con un quadro specchiante di Michelangelo Pistoletto: Diana, insieme al marito compositore Alessandro Ligi, ha scattato, di anno in anno, una serie di fotografie davanti all’opera Il giovanotto (La smorfia) del maestro esposta permanentemente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Il risultato più emblematico e significativo è un collage di cinque scatti, che ritraggono prima la coppia da sola, poi con il bambino nel grembo della madre, poi con Brando tra le braccia del padre, poi con il figlio in piedi e poi il bambino cresciuto impegnato a fare una smorfia per imitare soggetto del quadro. Insomma, una sorta di dimostrazione pratica della formula trinamica. Ecco, 1+1=3.
E poi, venerdì 17 marzo, Diana Pintaldi ha avuto il suo primo incontro con Pistoletto all’ISIA Roma Design dopo la lectio magistralis Trinamica e Terzo Paradiso del maestro. Michelangelo Pistoletto è intervenuto a riguardo: “Sono rimasto colpito quando Marco Farano, responsabile del mio archivio, mi ha mostrato le immagini di una coppia – che aveva scoperto sui social network – che interagiva con il mio quadro specchiante del Museo d’arte Moderna di Roma intitolato ‘Il giovanotto (La smorfia)’. Si tratta di alcune fotografie dell’opera fatte con lo smartphone dai due, che si sono inclusi direttamente nella superficie specchiante del quadro. Ogni foto è realizzata in tempi diversi e si vede il procedere della vita di queste due persone nella procreazione e nello sviluppo della vita. La loro è una testimonianza chiara del significato dei quadri specchianti, dove la vita procede e si auto-memorizza nella mia opera. All’immagine mnemonica che sta in superficie se ne aggiunge una fatta dallo spettatore che si immortala dentro lo specchio, ma ognuno dei diversi momenti del processo di vita viene immortalato di anno in anno nello stesso quadro. Troviamo dunque il tempo della vita che scorre e si fissa man mano nella memoria del quadro attraverso l’idea fotografica di Diana Pintaldi. Penso che quest’opera potrebbe continuare, trasmettersi ed essere continuata di generazione in generazione”. Scopriamo ora cosa si cela dietro le fotografie dando voce all’autrice delle foto.
Come è nata l’idea di scattare le foto davanti al quadro specchiante per segnare capitoli emblematici della tua vita?
È nato tutto per caso. Poi, in maniera altrettanto naturale, ne è scaturito un progetto in cui si intrecciano visioni e dimensioni. Mi sarebbe piaciuto mantenere una costanza e scattare le foto in maniera meno fugace, ma forse questi difetti le rendono più vere. Non avrei mai potuto immaginare che arrivassero agli occhi del maestro e che apprezzasse… è davvero un onore. La prima foto risale a febbraio 2017 e, in quell’occasione, è stato un gesto spontaneo scattarla con mio marito. Da quel momento, ogni volta che visitavamo la galleria, documentavamo il momento davanti allo specchiante.
Perché hai scelto proprio l’opera di Michelangelo Pistoletto?
Personalmente, come artista, lavoro molto sulla successione degli eventi. A questo proposito, reputo la sovrapposizione delle immagini negli specchianti molto significativa. Inoltre, il soggetto della serigrafia mi ha colpito fin da subito: quel ghigno spinge molto all’interazione. Mi piace pensare che in realtà sia stata l’opera del maestro a chiedermi di fare queste foto. In questo senso, era dunque più riuscita la sua opera che la mia azione: io ho fatto esattamente quello che l’opera mi ha invitato a fare. Non solo: tra tutti i capolavori di Pistoletto i quadri specchianti sono quelli che apprezzo maggiormente; seguo e stimo la sua arte partecipativa, che consente al visitatore di essere attivo nei confronti dell’opera.
Che significato artistico e personale ha avuto realizzare questa serie di immagini ispirata alla formula trinamica? Per Pistoletto il Terzo Paradiso è il grembo generativo di una nuova umanità…
Per me è stato come interpretare il significato del segno-simbolo, rappresentando la formula dedicata con 1+1=3. Ho voluto, inoltre, dare luce alla mia crescita familiare, mostrando la nuova vita che stava arrivando. Ed è solo l’inizio: ho intenzione di continuare a scattare altre foto le prossime volte che mi troverò con la mia famiglia davanti all’opera, anche perché è stato lo stesso maestro ad invitarmi a continuare.
Volgendo lo sguardo a tuo figlio, come ha interagito con l’opera?
Nella quarta foto del collage, scattata nel 2020, lui era molto piccolo, ma nonostante i suoi due anni e mezzo va sottolineata la sua concentrazione davanti allo specchiante. Era molto incuriosito e si è prestato molto volentieri agli scatti. Dopo il mio incontro con il maestro, siamo tornati davanti all’opera. Brando ora ha 5 anni ed è stato incredibile vedere la sua reazione: si è avvicinato scherzosamente al ‘Giovanotto’ e si è presentato a lui con l’intenzione di stringergli la mano e poi si sono scambiati un po’ di smorfie.
Hai poi dato risonanza sui social network a queste immagini.
Normalmente non mi piace apparire. Non metterei mai, ad esempio, foto di ritratti personali sui miei canali online. Il collage di immagini davanti allo specchiante, invece, è dal 2019 immagine del profilo delle mie pagine Instagram, Facebook e WhatsApp.
La tua pratica artistica, invece, su cosa verte?
Sono pittrice, ma dal 2019 ho abbandonato questa pratica perché, volendo rappresentare il movimento, la tela – che ha un inizio e una fine – non era più sufficiente. Sui nuovi supporti su cui sto lavorando traccio frasi in codice Morse, con l’intenzione di dare rilievo alle parole codificate. Un linguaggio, dunque, che non risulti chiaro da subito, ma che preveda un processo di comprensione, di successiva interiorizzazione, fino ad arrivare ad appropriarsene. Un’opera a cui sono particolarmente legata è – nella foto sotto, ndr – “Continuità n3” (acrilico su retro di tela di lino, 160×120 cm), che fa parte di una serie di altre opere declinate in vari formati e supporti. Questa è del 2017, lo stesso anno in cui sono iniziati gli scatti con lo specchiante di Pistoletto e in cui è cominciata la mia maternità.
Quindi il movimento è divenuto elemento chiave della tua ricerca. Come si è articolato questo processo creativo?
Nel 2014 dipingevo attraverso ampi gesti, creando delle onde semicircolari. L’energia del gesto ha rapidamente ‘dato vita’ sulla tela a delle figure umane essenziali, stilizzate in triangoli rovesciati, che cercavano di proiettarsi nel futuro attraverso successioni sovrapposte della loro azione nel tempo. Nel 2017 stavo cercando un legame tra le due forme della mia ricerca: l’onda e il triangolo. Unendole attraverso una linea quasi continua, ha preso forma una figura generatrice con cui ho iniziato una serie di lavori, ‘Continuità’, che racconta bene il periodo di quegli scatti fotografici davanti allo specchiante di Pistoletto e che incredibilmente si collega anche alla sua formula della creazione del Terzo Paradiso. Dal 2019, dopo la mia esperienza di Atelier al Macro Asilo, ho scelto di smettere di dipingere partendo dal nulla della tela bianca, perché, se siamo il risultato di trasformazioni che si susseguono in continuità di altro, è diventato per me essenziale lavorare su supporti che abbiano una storia da poter far continuare e evolvere. È così che ho preso un mio lavoro su tela e un antico tappeto di famiglia e ho cominciato a cucirli insieme ad altri scampoli. Creando connessioni tra le trame con l’ago e il filo, ho messo in comunicazione me e i supporti attraverso punti e linee, che ho presto tradotto in messaggi in codice Morse.
In conclusione, quali risultati hai ottenuto?
Astraendomi in un punto in movimento che attraversa lo spazio, ho ottenuto le tracce del mio passaggio che delineano delle mappe immaginarie, non solo sui tessuti, ma anche su altri supporti quali radiografie, carte da gioco, lastre di alluminio riciclate. Il messaggio in Morse è cucito o forato, talvolta attraversato dalla luce e poi proiettato. È come se tracciassi una linea del tempo apparentemente interrotta e disordinata, dove gli eventi sembrano susseguirsi in maniera discontinua.
Mi piace immaginare che la traccia, non definendo confini netti, abbia una sorta di tensione osmotica per possibili dialoghi trasformativi. Infatti, quando l’osservatore attivo scopre la chiave di lettura del codice Morse, i punti e le linee si collegano improvvisamente, assumendo un significato. La traccia si trasforma in segni ininterrotti di futuri potenziali da interpretare e collegare, rendendo possibile una reinterpretazione del passato e una visione del futuro. I messaggi codificati che scelgo di inserire sono spesso tradotti nel titolo dell’opera e sono dei palindromi che si ripetono interconnettendosi. Ora che ci penso… sono vere e proprie “frasi specchianti”.