Il nostro tempo è saturo di oggetti inutili. Sempre più spesso ci troviamo ad affrontare lo spinoso interrogativo sull’effettiva utilità della mole di cose che ci circonda, ritenute indispensabili da chi le produce e, di conseguenza, da chi le acquista. Ogni anno circa due miliardi di rifiuti ricoprono il nostro pianeta causando non pochi problemi alla flora, alla fauna e all’uomo. Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman affermò, all’interno del proprio saggio Vite di scarto, il modo in cui l’essere umano sia diventato arbitro di se stesso, riservandosi l’onere di decidere cosa preservare e cosa no, arrivando poi a decidere di scartare parti di noi stessi. Parti microscopiche, quasi invisibili, come le microplastiche che, in numero sempre maggiore, vengono rinvenute non solo in natura, in luoghi contaminati dall’incuria umana, ma anche all’interno dello stesso essere umano, nel suo sangue, nei suoi tessuti.
A tal proposito, la ricercatrice e ambasciatrice/Rebirth Terzo Paradiso Raffaella Bullo impegna i propri studi e le energie verso lo studio e l’analisi delle microplastiche presenti sulla Terra, nello specifico sul litorale romano. Per fare ciò, oltre alle personali conoscenze maturate in capo scientifico, coinvolge grandi e piccini sul tema delle medesime, rendendoli così partecipi del progetto di ricerca da lei ideato e condotto intitolato Plastic Crime Scene Investigation – PCSI, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche e Stazione Zoologica Anton Dohrn.
In un’intervista inedita rilasciata ai nostri microfoni, l’ambasciatrice narra le vicissitudini della sua indagine.
Prima di raccontarci il suo progetto, vorrebbe specificare ai lettori cosa siano le microplastiche?
Le microplastiche sono dei minuscoli frammenti di materiale plastico, solitamente inferiori ai cinque millimetri presenti sul nostro pianeta. In base alla loro origine, possono essere suddivise in due categorie principali: microplastiche primarie, rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di micro particelle e microplastiche secondarie, prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca. Nello specifico, la mia ricerca prende in esame le microplastiche presenti nei mari e sulle spiagge del litorale romano.
In che modo dunque ha pensato di monitorare l’ambiente marino?
Attraverso la mia ricerca di dottorato intitolata Plastic Crime Scene Investigation: nello specifico si tratta di un progetto che mira a valutare la quantità e la qualità delle microplastiche nelle acque superficiali marine. Per questo scopo, la metodologia scelta è quella della scienza della cittadinanza per ottenere un gran numero di dati e massimizzare il coinvolgimento della società civile nella ricerca scientifica. Un progetto ampio e innovativo che si basa su una pratica scientifica sperimentata con successo in altri Paesi e in altri settori. È un lavoro durato tre anni che ha trovato dei miglioramenti con il corso del tempo, arrivando a trovare una formula efficace. L’inquinamento da microplastiche è ancora poco percepito dal pubblico, soprattutto in termini di percezione del rischio e ciò dipende dalla mancanza di informazioni fornite ai cittadini dal mondo scientifico e dai media.
Focalizzandoci sul coinvolgimento del pubblico, come ha catturato l’attenzione?
Per sensibilizzare le persone sull’argomento era necessario trovare un modo per fare accedere la cittadinanza alla fase di campionamento. La strumentazione attuale degli scienziati oggi è molto grande, difficile da usare e di conseguenza richiede delle competenze specifiche e questo è un grande ostacolo per proporre una progettazione partecipata con la società. Pertanto, ho inventato un prototipo facile da utilizzare, adatto per raccogliere un numero sostanziale di dati e utilizzabile con tutte le plastiche e non solo, trovate in spiaggia. Ho dunque Kythara® (termine riferito alla cetra greca antica). Da una prima idea di un surf per bambini con una rete attaccata nella parte inferiore e grazie al contributo tecnico finale del CA.NA.FI. di Fiumicino (sviluppatori, creatori e costruttori di droni marini) abbiamo dato via a questo strumento. Kythara® permette ai cittadini di tutte le età di campionare microplastica in diversi modi: a nuoto, in canoa, sul pedalò, sul surf, con il SUP, con barchini a vela, a piedi. Inoltre è facile e leggera da trasportare. Ho definito un nuovo protocollo di ricerca basandomi sulla Direttiva Quadro della Strategia Marina (MSFD), che definisce le linee guida per lo stato di salute dei mari europei. Se non avessi calibrato ciò, i dati non sarebbero stati confrontabili con i monitoraggi europei.
In conclusione, può illustrarci in cosa consisteva l’iniziativa Tevere Day svoltasi dal 7 al 13 ottobre?
Anche quest’anno numerose persone hanno partecipato a tale manifestazione e molti di questi erano ragazzi di età scolare: il loro coinvolgimento, la loro grinta e gioia, sono elementi indispensabili. Da diverso tempo ci divertiamo e analizziamo i materiali attraverso “Il Gioco delle Plastichine” sulle spiagge del litorale di Roma e Fiumicino. Tale iniziativa è nata in un giorno di tempo non favorevole per l’uscita in mare. Con i partecipanti decidemmo allora di direzionare la nostra ricerca sulla spiaggia. Ricordo che tutti si divertirono e al termine chiesero di replicarlo per gli incontri successivi. Il fine settimana per noi è stato particolarmente stimolante da un punto di vista di ricerca e di partecipazione collettiva: domenica ad esempio con l’aiuto dei Vigili del Fuoco, presso lo Scalo de Pinedo, abbiamo coinvolto i partecipanti nelle prove di campionamento con l’aiuto di Kythara®. Nell’edizione 2023 del Tevere Day abbiamo coinvolto il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, nelle attività di campionamento delle acque del Tevere.
Crediti foto: Raffaella Bullo.
Il racconto dell’ambasciatrice ci fa riflettere sull’importanza della ricerca e della salvaguardia del nostro pianeta. Forse sarebbe opportuno capire per davvero l’entità del verbo riparare anziché buttare. Solo attraverso il riciclo e il riuso potremmo noi tutti dare nuova vita agli oggetti, abbandonando l’appellativo di scarto, abbracciando quello di funzione.