Penso con simpatia ai pezzi degli scacchi, ignari e inanimati simboli della contrapposizione arcaica di due etnie armate. Cercano di esorcizzare la violenza, ma come una sorta di antesignano videogame, enfatizzano e confermano l’esistenza e la necessità della contrapposizione e della guerra.
Portandola nel gioco, la giustificano, insieme a tutti i libri e algoritmi e tornei, e computer e maestri e stupende sfide mondiali, che danno per scontate l’educazione e l’abitudine alla contrapposizione.
Senza discutere i seppur limitati maggiori diritti assegnati ai bianchi, essi accettano allo stesso modo le gerarchie sociali, e i ruoli bellici, e la disponibilità al probabile ripetuto sacrificio estremo.
Però mi sono simpatici, e allora ho partecipato alla loro liberazione, li ho aiutati a superare i ruoli sociali, a conquistare la convivenza pacifica.
E sono diventati il simbolo di qualcosa di nuovo.