I trattori marciano contro Green Deal e PAC: la voce di un’azienda agricola biologica sulla protesta agricola europea
In cosa consistono le rivolte sul comporto agricolo che stanno interessando la nostra penisola e l'Europa? La sostenibilità può essere un ostacolo sul piano economico e produttivo o si celano altri fattori? Facciamo chiarezza sui movimenti di protesta anche attraverso le considerazioni di un addetto ai lavori: Marco Ducco, titolare di un'azienda agricola vercellese partner di Let Eat Bi: "Sono contento - ha esordito - che gli agricoltori abbiano alzato la voce contro la grande distribuzione organizzata, ma questo è solo un primo passo. Il biologico può essere la vera soluzione”. Sulla stessa linea d'onda il direttore di Cittadellarte: "Le proteste degli agricoltori ci mettono di fronte all’oscenità in cui viviamo: coloro che ci nutrono sono ridotti alla fame. E quale soluzione siamo capaci di proporre? Che possano mantenere l’uso di pesticidi, cioè di avvelenarsi e avvelenarci tutti".

Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Olanda, Polonia, Romania, Spagna. I trattori, da inizio gennaio scorso, bloccano le strade e caselli autostradali e assediano i palazzi del potere europei. Al centro di questa mobilitazione figura la protesta degli agricoltori sul Green Deal, che tocca da vicino anche l’Italia, con manifestazioni andate in scena in diverse città della nostra penisola, tra Aosta, Bologna, Caserta, Cerignola, Grosseto, Milano, Palermo, Roma e Verona. La questione è al centro di un vortice mediatico e di un inevitabile dibattito politico che non risparmia polarizzazioni. Non sono mancati anche episodi e frangenti di dissenso creativo: nella provincia di Reggio Calabria, al cimitero di Polistena, è stato inscenato un funerale al settore agricolo che ha visto la partecipazione di un migliaio di persone: giovani studenti e sindaci si sono metaforicamente stretti attorno a una bara riempita con prodotti agricoli, con tanto di manifesti funebri.

Il Green Deal, la PAC e i motivi della protesta
Al centro della protesta, come anticipato, figura il Green Deal, un insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050; ciò che è stato chiesto a gran voce è infatti una revisione del Patto verde e di una serie di politiche dell’Unione Europea in materia di transizione ecologica. Non si salva dalle critiche nemmeno la PAC, la Politica agricola comune dell’Unione Europea, considerata per i movimenti di protesta un esempio di “estremismo ambientalista a scapito della produzione agricola e dei consumatori”. L’aspetto economico è un altro degli elementi di malcontento collettivo: la crisi energetica ha aumentato i costi di produzione, il prezzo del gasolio e del carburante agricolo e, di conseguenza, gli agricoltori chiedono di mantenere un regime fiscale adeguato per il loro settore, oltre a specifici sussidi. Non solo, i contadini puntano a ottenere maggiori tutele per far fronte a eventi climatici estremi e alle epidemie. Nel dietro le quinte si nasconde l’economia speculativa, che sta mettendo in ginocchio i contadini, salvaguardando l’interesse delle multinazionali: ne consegue un profondo squilibrio tra quanto vengono pagati i prodotti agli agricoltori e il loro prezzo di vendita finale.

I gruppi di rivolta in Italia
Come accennato, le proteste degli agricoltori – iniziate a fine gennaio – stanno continuando anche in tutta Italia, da nord a sud dello Stivale. La prima realtà a organizzarsi nella nostra penisola è stata il movimento Riscatto agricolo, nato da un’idea di Andrea Papa, un imprenditore agricolo originario del bresciano, e Salvatore Fais, proprietario di un allevamento di pecore a Piombino; questa nuova organizzazione, che conta, di giorno in giorno, sempre nuovi sostenitori, è composta in prevalenza da imprenditori agricoli e proprietari terrieri. Parallelamente al movimento, si è attivato anche il comitato Agricoltori traditi, coordinato dall’imprenditore agricolo di Pontinia Danilo Calvani, un gruppo di agricoltori calabresi, laziali e siciliani, impegnato a organizzare proteste contro le politiche agricole europee e italiane soprattutto nel meridione. Col passare delle settimane e sulla scia del clamore mediatico suscitato dalla vicenda, stanno continuando a formarsi numerosi gruppi spontanei di agricoltori in tutta Italia. Le motivazioni delle rivolte dei trattori seguono quelle degli altri Paesi europei, a cui va aggiunto il riconoscimento del valore delle eccellenze Made in Italy, ma anche uno stop all’importazione di prodotti provenienti da nazioni extraeuropee che non rispettano gli standard qualitativi.

Il primo risvolto
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato il ritiro della direttiva sui pesticidi, uno dei punti più contestati dai produttori. Ça va sans dire, la notizia è stata accolta come una vittoria dai movimenti di protesta. “I nostri agricoltori – ha dichiarato la politica tedesca ai media – meritano di essere ascoltati. So che sono preoccupati per il futuro dell’agricoltura e per il loro futuro. Ma sanno anche che l’agricoltura deve passare a un modello di produzione più sostenibile, in modo che le loro aziende rimangano redditizie negli anni a venire”. Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, ha asserito che il dietrofront sui pesticidi avrà ricadute virtuose sul Made in Italy: “Il ritiro della proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei fitofarmaci – ha affermato il presidente Ettore Prandini – salva il 30% delle produzioni alla base della dieta mediterranea, dal vino al pomodoro, messe a rischio dall’irrealistico obiettivo di dimezzare l’uso di agrofarmaci. I maggiori impatti sulla resa si sarebbero verificati in colture che hanno una rilevanza limitata, come l’uva, il luppolo e i pomodori“. Per Coldiretti, però, questa novità è solo un primo passo: “La battaglia per garantire dignità e giusto reddito agli agricoltori italiani – ha sottolineato – non si ferma. Non sarà accettato nessun taglio alle risorse economiche della PAC agli agricoltori poiché oggi occorre assicurare l’autonomia alimentare dei cittadini europei e favorire il ricambio generazionale”.

E la sostenibilità?
Facciamo un passo indietro all’impatto dell’agricoltura intensiva sull’ambiente. Le emissioni di gas serra degli allevamenti e l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti sono solo alcuni dei fattori che danneggiano la biodiversità a livello globale. Ed è facile evincere le conseguenze ecologiche: una ferita profonda per il pianeta, colpito dalla deforestazione, dalla desertificazione, dall’inquinamento delle falde acquifere e dalle piogge acide. Ci si potrebbe dunque domandare se protestare contro misure pensate per rendere maggiormente sostenibile il settore agroalimentare sia equiparabile al movimento di un cane che si morde la coda. Insomma, con lo scettro del potere in mano ai mercati finanziari, è il sistema che governa la produzione agricola a presentare criticità e controversie, non le leggi che cercano di tutelare l’ambiente. Diamo, ad esempio, uno sguardo al primo risultato ottenuto: non agevolazioni Irpef o riduzione dei costi del gasolio, ma l’abrogazione della norma che prevedeva la riduzione dei fitofarmaci. Tra tutte le domande, proprio questa risposta: la prima mossa dell’UE sembra più un assist per la grande distribuzione organizzata più che un goal alle piccole realtà imprenditoriali del settore agricolo.

 
I terreni della Cascina Angiolina.

Le considerazioni di un produttore biologico
Per entrare nel dettaglio di queste dinamiche abbiamo dato voce a chi le vive quotidianamente: Marco Ducco, titolare della Cascina Angiolina di Buronzo, a Vercelli, che produce principalmente mele e riso biologici. L’azienda agricola è tra i partner di Let Eat Bi, progetto avviato a Biella dall’Ufficio Nutrimento di Cittadellarte insieme ad una fitta rete di partner tra associazioni, cooperative, imprese sociali e comunità territoriali, che coniuga coltura, cultura e convivialità, con particolare attenzione all’inclusione sociale a partire dal cibo naturale, locale e stagionale. “Sono contento – ha esordito – che gli agricoltori si siano finalmente fatti coraggio avvalendosi dei trattori per alzare la voce nei confronti della GDO. È fondamentale, però, che quanto intrapreso sia solo l’inizio di un dialogo approfondito che non spazi solo dal gasolio agricolo alle tasse imposte sui terreni, ma che porti gli agricoltori a essere protagonisti del loro futuro; la politica, in quest’ottica, non dovrebbe avere un ruolo esclusivo e primario, ma essere la controparte con cui si dialoga per giungere a un traguardo comune”. La Cascina Angiolina fa della sostenibilità uno dei suoi fiori all’occhiello, come testimoniato dalla certificazione biologica dei prodotti proposti. Ma qual è lo spazio del bio in questo potpourri mediatico? Come contrasta le economie speculative? “L’agricoltura biologica – replica Ducco – la si può paragonare a una piccola bandiera che sventola dalla parte giusta, che rispetta l’ambiente, i lavoratori e la filiera. Il bio è dunque una forma di coltivazione che va a rompere gli schemi di tutte le multinazionali, in quanto non consuma chimica, se non in una quantità molto limitata. Il biologico – conclude il produttore – è difficile da sostenere per le lobby e se si espandesse le multinazionali si troverebbero a rinunciare a una bella fetta di profitto”. Il messaggio è chiaro: il cambiamento passa dagli acquisti individuali, da chi decidiamo di sostenere, a partire da un pacco di riso o di un paio di mele. Il futuro dell’agricoltura e del pianeta passa anche dalla nostra spesa. E ne siamo i primi responsabili: sta solo a noi scegliere da che parte stare.


Marco Ducco e la moglie Maria Rosa.

Le riflessioni del direttore di Cittadellarte
Sto dalla parte – ha esordito Paolo Naldinidegli agricoltori, sono come i medici e gli infermieri, come gli artisti e gli insegnanti: a loro dovremmo riconoscere massima dignità e prestigio. Ci nutrono, ci curano, ci formano. Dovremmo come singoli, come gruppi e come comunità dare maggiore importanza a ciò che costoro ci offrono. E quindi dedicare maggiore parte del nostro reddito personale e delle spese del bilancio delle nostre comunità al cibo, agli ospedali, alla scuola, all’arte. Sembra tanto ovvio da essere banale: che società è quella che riconosce maggiore valore a chi opera nel campo della finanza e della guerra, piuttosto che dell’agricoltura e della scuola? Le proteste degli agricoltori ci mettono di fronte all’oscenità in cui viviamo: coloro che ci nutrono sono ridotti alla fame. E quale soluzione siamo capaci di proporre? Che possano mantenere l’uso di pesticidi, cioè di avvelenarsi e avvelenarci tutti. Che debbano comprare i semi dalle multinazionali che li hanno brevettati! Abbiamo ridotto il nobile mestiere del contadino alla schiavitù ignominiosa e contronatura. Sono diventati schiavi delle grandi imprese. Sono diventati consumatori di sementi. E di finanziamenti dalle banche, necessari per comprarsi o affittarsi i mezzi di produzione. Gli stessi trattori che marciano per le strade sono mirabili macchine con cui abbiamo reso più efficiente e avanzata l’agricoltura, ma anche investimenti che spesso gli agricoltori devono fare per aumentare la produttività a scapito di profitti sempre più erosi dalle quote di restituzione del debito che hanno dovuto contrarre per acquistarli. C’è modo di uscire dalla spirale involutiva di questa agricoltura industrializzata che schiaccia e avvelena gli agricoltori e i consumatori? I contadini biologici che saltano la grande distribuzione non sono schiavi di questo sistema, anche se nemmeno per loro la vita è facile, anzi. Ma almeno non dipendono dai sussidi, che devono poi girare alle grandi imprese per comprarsi le sementi, i fertilizzanti, i trattori…


Paolo Naldini.

Il ruolo del consumatore
Va inoltre sottolineato come le considerazioni del direttore di Cittadellarte non siano sentenze distanti dal suo quotidiano, ma riflettano scelte etiche e responsabili che coinvolgono la sua sfera familiare, oltre che professionale. Insomma, anche il ruolo del consumatore assume una rilevanza primaria nella filiera produttiva: come sostiene Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, occorre diventare co-produttori, cioè avere coscienza di ciò che compriamo: “Sto dalla parte degli agricoltori. Impiego tempo e una quota importante del mio reddito – ha aggiunto Paolo Naldini per procurarmi cibo sano da agricoltori sani evitando la grande distribuzione, le colture fuori stagione, i cosiddetti fitofarmaci che in realtà sono fertilizzanti velenosi e cancerogeni come il glifosato. Sembra banale, ma è un sistema che intrappola in modo mortale, se non riesci a tirartene fuori. Sono grato ai contadini del mercatino Let Eat Bi da cui compro direttamente verdure e riso, farina e vino. Sono fortunato? Sì, ma possono essere anche i milanesi e i romani; anche lì esistono i farmers market, i mercati dei contadini diretti, e si può acquistare biologico, o addirittura da permacultura. Costa caro? Dipende dalla scala delle priorità che si hanno. Sinceramente – ha concluso – io preferisco pagare il doppio per un cibo sano, che la metà per uno avvelenato che arricchisce i ricchi e schiavizza i contadini”.