È da parecchio che non scrivo.
E non perché non abbia da scrivere o non sappia cosa dire: io e Tiziana sappiamo benissimo di essere privilegiati nell’appartenere a quei fortunati che non vivono nelle città in un tale difficile frangente. Penso a tutti coloro che sopravvivono all’interno di quattro pareti, facendo i conti con le misure restrittive giustamente imposte dal governo, con se stessi e le proprie fragilità, con una condizione quotidiana nella quale il tempo schiaccia lo spazio. Penso anche a tutti gli incoscienti strafottenti che continuano ad uscire dalle case, con in mente una visione personale di un generico complotto oligarchico da affrontare con egoismo, nichilismo o spirito pseudorivoluzionario da aperitivo delle 18.00.
Ho così tanto da dire e scrivere che il mio diario mi scruta dalla scrivania o sparisce per giorni, lasciando sagome nella polvere, la penna si rende introvabile e la mente fa fatica a fare una lista ordinata. Così prendo coraggio e lo faccio, buttando giù senza stile, senza modi, né ricerca, né alcuna paura di essere frainteso, giudicato, disatteso.
Ho avuto paura, in questi ultimi giorni, sentendomi un disadattato: nonostante gli editti del governo, c’è chi, ancora e consciamente, se ne fotte altamente dei sacrifici degli altri, vuoi per ignoranza, fatalismo, disincanto, come se i contagiati, e tutti quelli che stanno soffrendo o morendo, si stessero prendendo gioco degli altri. La settimana scorsa è morto il marito di una nostra cara amica, lasciando la moglie, anch’essa contagiata e ora video-sorvegliata dai medici a distanza, a lottare tra la vita e la morte, e una figlia di nove anni che non sa nulla del padre, ma accudisce la madre tra lacrime e speranza. Per correttezza, non racconterei mai queste cose, ma sono furibondo e, sì, ve lo confesso, me la faccio sotto: non per me, ma per i deboli e tutti quelli che, a stento, arrivavano a fine mese ed ora non arrivano a fine settimana, per tutti coloro che devono scegliere se mangiare o dare da mangiare, se non ammalarsi o non far ammalare.
Cambierà il nostro modo di vivere?
Dopo quanto stiamo cominciando ad attraversare, e sottolineo ‘cominciando’, prenderà il sopravvento la conseguente lucidità di un day after?
Metà della popolazione mondiale è costretta a casa. E l’altra metà? La Norvegia è in lockdown, la Svezia no. La Turchia si rifiuta di fornire dati sull’epidemia. La Turchia, che dal 2005 fa avanti e indietro sul trampolino di una vasca olimpionica in babbucce cucite a maglia e nelle ultime ore ha liberato le carceri dai ladri, assassini e stupratori, ma non dai giornalisti e gli oppositori di Erdogan!
In Corea del Nord è ancora possibile effettuare viaggi organizzati…!?
Conosco persone che escono tre volte al giorno senza mascherina e che si rifiutano di indossarla perché “in netto disaccordo con provvedimenti coatti”. Non so se devo denunciarli o sperare che lo stato li punisca.
Il TANA si trova, per fortuna, in una frazione di un comune di ottocento persone e la porta del mio vicino più prossimo a quattrocento metri di distanza. Direte “Beati voi!”.
Vediamo cosa accade da noi, cominciando dal clima. Non capiamo in che stagione ci troviamo: i fiori dei ciliegi e dei prugni ci dicono che è aprile, le foglie ancora secche delle querce che è febbraio, le rose che è maggio, la neve che è gennaio, ma una volta a settimana! Temperature che oscillano tra -7 e +21! +13, percepita -6!?
Da una settimana ho un forte dolore al petto e alle articolazioni, per uno strappo muscolare preso mentre cercavo di mettere al riparo dal gelo improvviso duecento piante per rimboschimento; per fortuna, non faccio due più due, perché il risultato è sempre dispari.
Quello che voglio dire è che, mandando in rovina la natura, ci stiamo ammalando anche noi!
E, mentre scrivo, sento, non troppo lontano, il rumore delle motoseghe che, nelle mie zone, sono simbolo di pratiche fallocratiche: i boscaioli continuano ad abbattere alberi secolari, dando fuoco ai boschi per coprire le proprie tracce…
La domanda sorge spontanea: urgenza, sopravvivenza o abuso? Calcolo economico?
Pollice e indice allargati. Dal TANA all’Europa e al mondo:
Quanta gente sta investendo e guadagnando sulla morte di altra?
Quanti investitori scommettono su di un futuro uguale al precedente?
Il mio modo di vivere cambierà, come quello di Tiziana e di tutte le persone coscienti ed attuali.
Ma nulla cambierà, se non si investirà realmente nella civiltà e nella cultura del bene comune.
Nulla cambierà, se l’economia non sarà reinterpretata come parte integrante della cultura del mezzo e non più del punto di arrivo: il ‘must’, inteso come dovere e non ‘Devo averlo’, il plusvalore come l’aggiunta reale e non più ideale di valore! È fin troppo comodo e facile sfruttare il linguaggio della leva sociale! Ma è ancora più comodo e barbaro sfruttare la voglia di crescere dei più giovani, per plasmarli ad uso e consumo della macchina del mercato!
Perché, ancora ‘posto di lavoro’ e non ruolo nella società civile?
Perché non reintrodurre l’educazione civica, permeandola di un’obbligatoria educazione ambientale?
L’altalena delle borse indica guadagni e perdite, è chiaro, ma non tutti comprendono che più e meno non darà mai tre, bensì tantissimi uno e nessuno per tutti.
Addendi, dividendi, indici, titoli, azioni.
Reazioni?
Sperequazioni, potere di acquisto, sfruttamento della paura, attraverso logiche formali estetiche ad uso di eletti con capacità rilevanti e rivelatrici di comunicatori del forse: le probabilità legate alla statistica e a un sillogismo prearistotelico e sicuramente preistorico.
La verità è che l’uomo si è portato appresso la caverna, senza accorgersi che le pareti lo proteggevano da se stesso e dai propri errori, dalle proprie nefandezze, invitandolo a non dimenticare cosa voglia dire sentirsi protetto e rispettare il rifugio che la Terra offre.
L’uomo è l’unico animale che pretende di sentirsi padrone di se stesso, di esercitare il controllo sulle proprie scelte e quindi su quelle degli altri, in un perverso gioco, endemico ed anestetico, di quotidiano e fittizio trionfo di inadeguatezza all’evoluzione.
Fuori dall’uomo, discreta e paziente (ogni giorno di meno), c’è una ‘Natura-Madre’, la cui architettura elementare potrebbe fornire ad un attento osservatore (ed ascoltatore) le chiavi di cifratura di una nuova economia armonica. Basta guardare un bosco, senza avere la pretesa di analizzarlo dal punto di vista umano: tutto è collegato, in una collaborazione attiva e percettiva, la cui tensione, di opportuni poli opposti, trasforma la spinta verso l’alto in una radicale stabilità, la cui memoria crea l’esempio di quella rete della quale tutti parlano ma nessuno si azzarda ad essere il retaggio e la testimonianza attiva. Luce, aria, terra, fuoco ed acqua, sole e luna, tutti collaborano a rendere tutti più forti e tutti insieme uno.
È questo che abbiamo dimenticato: siamo tutti ‘parte di’.
Ancora si confonde l’arroganza con la presunzione, ma a confonderle è il passivo o lo sciacallo, l’invidioso o il masochista. Nelle scuole, chi dovrebbe insegnare l’umiltà nell’apprendere, punisce la sensibilità come un malessere improduttivo: si forma il futuro impiegato, il miglior ingegnere, il più grande architetto, l’avvocato più furbo, i dirigenti più audaci, ma non gli uomini che vestono la professione. Si usa sempre di più il termine collaboratore, per addolcire quello di schiavo, senza accorgersi che la dipendenza dagli ozi dissipativi e da tutte le pratiche non essenziali ci sta di fatto rendendo schiavi di un’avidità sempre più pericolosa.
Avere o essere? Lo diceva Fromm o lo dice Bolsonaro, il presidente tutt’ora in carica del Brasile?
Quest’ultimo afferma che chi non ha il coraggio di uscire dalle proprie case è un codardo!
Ovvero, chi non è folle quanto lui non ha diritto al futuro!
Avere o essere?
Proviamo a prendere in considerazione il tempo e lo spazio.
Si può dire che il tempo è quello che passa, il passato e ciò che avverrà.
Ma il tempo cos’ha, se non esclusivamente se stesso?
Ora prendiamo lo spazio: è ovunque. Ma cos’ha? Di nuovo se stesso.
Perché vivere l’avere, quindi, se spazio e tempo si assomigliano, e non scegliere di essere, sapendo di poter cambiare, avendo la possibilità di rimettersi nella giusta direzione?
Il cambiamento, nella visione di Michelangelo Pistoletto, è qui e ora.
Bisogna volerlo ed attuarlo!
Questo è davvero il tempo della Demopraxia!