Chiudete gli occhi. Pensate a un artista che lavora il marmo o dipinge su tela in una stanza che profuma di creatività e colori a olio. Ora immaginate un osteopata, in uno studio, che tratta concentrato un paziente per alleviargli un dolore. Queste due figure hanno qualcosa in comune? Esiste un’attinenza fra loro? Può esserci un rapporto non solo visivo tra un corpo umano e una scultura? All’apparenza, l’ambito sanitario e quello culturale sembrerebbero stazionare su due isole diverse. Una rigida dicotomia, con confini marcati ed evidenti. Eppure, questi spazi non solo risulterebbero bagnati dallo stesso mare, ma potrebbero fare parte dello stesso arcipelago. Per comprendere se queste suggestioni abbiano ricadute nella realtà è intervenuta ai nostri microfoni Serena Pidello, giovane osteopata biellese. Attraverso un dialogo informale avvenuto nelle sale auliche della Fondazione Pistoletto, Serena ha rivelato qual è la percezione sociale che si cela dietro al suo lavoro, illustrando nel dettaglio in cosa consiste il suo mestiere; non solo, nell’intervista è emersa una serie di parallelismi e connessioni tra il suo ambito professionale e quello artistico. Scopriamo, in un mosaico di riflessioni, come si intersecano questi due mondi.
Serena, innanzitutto soffermiamoci su un aspetto controverso della tua professione. Aleggia una dose non trascurabile di disinformazione attorno a esso, come se mancasse un’adeguata chiarezza sul mestiere. A cosa è dovuto questo deficit informativo?
A livello sociale si presentano due fazioni: le persone che ci riconoscono come attività sanitaria e coloro che non ci identificano in questo settore. Chi è scettico sostiene che il nostro sia un lavoro da ‘spacca ossa’ senza evidenze scientifiche, quasi riguardante la magia. In parte, non si può biasimare questa visione superficiale: anni fa erano in molti a presentarsi come guru dell’osteopatia (senza che avessero seguito un corso di studi ad hoc), dando così un’immagine distorta di tutta la professione. Ora non è più possibile dichiararsi osteopata senza esserlo.
Serena Pidello con una paziente.
A questo proposito, cos’è cambiato per gli osteopati a livello formativo e legislativo?
Nel 2018 era stato emanato un decreto legge – seguito da uno attuativo – che riconosceva la nostra come figura sanitaria. Il riconoscimento sanitario è arrivato solo nel novembre 2021, mentre quello legato alla nostra facoltà è stato completato nel 2023. L’anno scorso, infatti, è stata riconosciuta la nostra professione come facoltà universitaria sanitaria: questo passaggio, ad esempio, ha certificato che lavoriamo nel settore prevenzione e che siamo specialisti dell’apparato muscolo scheletrico. Il prossimo capitolo riguarderà la creazione di un albo, che consentirà il riconoscimento anche a coloro che si sono laureati prima della novità. Questo riguarderà anche me: dopo la laurea, frutto di 5 anni di università, potrò essere ufficialmente riconosciuta. Attualmente, invece, il corso di studio è di 3 anni, con 2 opzionali di specializzazione.
Tralasciando lo sguardo comune rivolto al benessere del paziente, quali sono le differenze tra l’osteopatia e la medicina tradizionale?
Sono numerosi gli studi sull’efficacia dell’osteopatia, ma non si può paragonare alla medicina tradizionale: la seconda, con un determinato ciclo di terapie – anche chirurgiche -, porta a un risultato; la prima non si pone come risoluzione a un problema, ma si basa sul concetto di autoguarigione del corpo, offrendo un input esterno che possa portare a un miglioramento generale. Io, ad esempio, posso agire con una determinata tecnica per trattare una persona, ma non significa che su un’altra abbia lo stesso effetto; l’importante è trovarne una che risulti efficace portando il paziente a stare meglio. Per la medicina, invece, i trial clinici devono partire da una base omogenea. La medicina, inoltre, tende a essere settoriale e a specializzarsi sempre di più su un argomento specifico, rischiando al contempo di perdere la visione d’insieme dell’organismo. Con questo non voglio criticare la medicina tradizionale, anzi: l’osteopatia dovrebbe essere una sua parallela. Ad esempio, al Centro Maria Letizia Verga di Monza, a cui ho dedicato la mia tesi di laurea, viene portato avanti un progetto di sport therapy, che prende in carico bimbi e adolescenti affetti da patologie ematiche maligne. Questi giovani malati sono seguiti da un’intera equipe medica che include tra gli specialisti anche l’osteopata.
Serena Pidello con una paziente.
Svesto ora i panni del giornalista e indosso quelli del paziente: considero significativo e non banale l’approccio olistico dell’osteopatia, un aspetto spesso trascurato in altri contesti sanitari. Nel tuo lavoro dai rilievo non solo al dolore, ma a come questo si è originato e sviluppato, contemplando il piano emotivo oltre a quello fisico. Ritieni che questo sia un fattore chiave del tuo lavoro?
Certo. L’osteopatia si articola infatti su 5 modelli, ossia bio-meccanico, neurologico, energetico, circolatorio/respiratorio e bio-psicosociale. In tutta quest’ultima sfera è importante sottolineare il bio: la nostra quotidianità e il nostro vissuto hanno delle profonde connessioni sul nostro presente e su come ci sentiamo. Faccio un esempio: se mi convinco che in una porta di fronte a me ci sia un leone, il mio corpo si attiverà per combatterlo o per fuggire, rilasciando sostanze chimiche che accompagnano questa reazione. Tutto questo anche se l’animale pericoloso non c’è. Ciò significa che se io quotidianamente sono esposto a stress di qualsiasi tipo – come esami universitari o criticità economiche e lavorative – il mio corpo si attiverà per far fronte alla problematiche esterne. Alla lunga, se continuo a essere esposto a una situazione di malessere emotivo, il mio corpo attiverà principi biologici interni che danneggeranno anche la parte fisica, facendomi, ad esempio, dormire meno o di più, o anche prendere peso più facilmente. Questa semplificazione non serve a solo ad aiutare a comprendere quanto la parte psicosociale impatti su quella biologica, ma a chiarire l’importanza di valutare ogni aspetto di un dolore.
Serena Pidello a Cittadellarte.
Sullo sfondo Porta – Segno Arte, 1976-1997, e Termosifone Uomo – Segno Arte, 1976-1997 di Michelangelo Pistoletto.
Passiamo ai parallelismi culturali. Nel 1994 Michelangelo Pistoletto, in riferimento al Progetto Arte, riportò che era tempo che l’artista prendesse su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall’economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall’educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale. In un’inversione di ruoli, come collegheresti l’osteopatia all’arte?
Ti racconto un aneddoto: al mio primo anno di università, durante una delle prime lezioni di istologia, la nostra docente chiese alla classe in quanti provenissero dal liceo artistico. Erano solo in 2 su 60. Questa domanda, ça va sans dire, destò stupore. La professoressa, rivolgendosi ai due studenti, motivò la questione, spiegando che loro due avrebbero avuto un vantaggio rispetto agli altri, ossia una migliore percezione del corpo. “Voi lo vedrete – asserì – e lo sentirete maggiormente”. Col tempo, ho capito cosa intendeva: basta osservare una scultura di Gian Lorenzo Bernini per capire l’accuratezza e la precisione con cui ha rappresentato il soggetto in ogni dettaglio, tra vene e muscoli.
Per risponderti, cito poi alcune opere: soffermandomi su Pistoletto, ‘Porta – Segno Arte’ e ‘Termosifone Uomo – Segno Arte’, ma soprattutto l’Uomo vitruviano, simbolo dell’arte rinascimentale di Leonardo da Vinci. Tutte queste mettono in luce la centralità dell’uomo in ogni aspetto. Allo stesso modo, l’osteopatia pone sotto i riflettori l’essere umano non solo dal punto di vista anatomico e del dolore che riporta durante la prima seduta, ma anche come questo abbia effetti sulla sfera biomeccanica di funzionamento, nella quotidianità (che sia durante il lavoro, durante lo svolgimento di un hobby o di uno sport) e nella sfera sociale e psicologica. È uno sguardo totalizzante: io sono la mia carne, le mie ossa, il mio mal di schiena, ma ho anche le passioni che mi caratterizzano. Ecco, l’osteopatia vede il paziente come l’unità di corpo-mente-spirito. Questo è quello che vedo anche nell’Uomo vitruviano, dove la figura umana è versatile, rappresentata in posizioni diverse. Cito poi un’altra connessione con l’arte che mi ha sempre colpito: le tavole anatomiche di medicina. Gli artisti che le elaborano hanno un talento e una tecnica incredibili, perché devono rappresentare la realtà del mondo complesso che sta dentro di noi.
Serena Pidello nell’ex stenditoio del sottotetto di Cittadellarte mentre attraversa l’opera Porte – Uffizi di Pistoletto.
Michelangelo Pistoletto veicola attraverso il suo Terzo Paradiso armonia ed equilibrio. Come osteopata, vedi punti d’incontro e affinità con questo segno-simbolo? Così come nella formula trinamica del maestro, 1 e 1 può dare come risultato 3 anche nel tuo lavoro?
Sì, ci sono numerosi parallelismi. In primis, nel Terzo Paradiso non c’è solo destra o sinistra, perché è presente sempre un ‘pezzo’ in più. Inoltre, da questo simbolo si evince come due elementi differenti possano coesistere per il bene del tutto: allo stesso modo, nell’osteopatia è imprescindibile l’equilibrio tra la parte meccanica e psico-sociale. Per quanto riguarda la formula trinamica, 1+1 può certamente dare come risultato 3, ma anche 4 o 1. Mi spiego: questa addizione, applicata alla vita umana così come all’osteopatia, porterà a risultati diversi in base agli interpreti. È la variabilità della vita: due persone, insieme, possono generare una o due vite (dando quindi come risultato 3 o 4), ma allo stesso tempo – spesso se questo processo non si verifica – si possono separare le loro strade, tornando ad essere singole unità.
Due sedute di Serena Pidello: nella prima a una paziente incinta, nella seconda, pochi mesi dopo, alla figlia della stessa.
Tocchiamo infine uno dei sensi che accomuna maggiormente l’ambito artistico con l’osteopatia: il tatto. Quale ruolo riviste la sensibilità manuale nelle tue sedute?
Ci sono molti studi che valutano la rilevanza del tocco terapeutico, ma anche affettivo, ad esempio della madre verso il figlio: il primo tocco tra mamma e neonato è fondamentale, andrebbe fatto anche col padre. Il contatto fisico è importante anche nella vita quotidiana, ci lega alle persone, eppure non è nostra abitudine toccare gli altri. Ecco, l’osteopatia vuole sdoganare anche questo tabù. Nel nostro lavoro, con il tocco abbiamo un indicatore, che ci fa capire come sta il tessuto, la persona e il dolore che può percepire. Questo, in modo diverso, accade anche con le opere d’arte: con una scultura o con l’uso di determinati colori si possono comunicare emozioni. In fondo, l’artista è una spugna: con l’empatia capta e percepisce il mondo intorno a sé, compreso se stesso, per poi comunicarlo col suo linguaggio. L’arte, così come l’osteopatia, è una visione completa, a 360 gradi, della vita.