Luca di Terlizzi, 23 anni, è originario della provincia di Roma. Già ai tempi della scuola, durante i quali frequenta il liceo artistico, manifesta il suo interesse per l’arte. Ad oggi è un artista e – nonostante fosse iscritto al corso triennale di Scenografia – si occupa principalmente di pittura, di cui porta avanti una propria ricerca. Oltre ad assistere il lavoro di un pittore, è co-fondatore di Condotto48: uno spazio indipendente aperto a Roma da sette mesi, gestito da cinque artisti e da un curatore, accodandosi alla tendenza – tipica degli ultimi anni – che ha visto sorgere numerose identità artistiche autonome nella capitale. Neolaureato all’Accademia di Belle Arti di Roma con il massimo dei voti, ha realizzato un elaborato dedicato a uno dei periodi artistici più importanti del Novecento, che definisce “di fuoco” per l’arte italiana. Infatti, tra le pagine della tesi – dal titolo Arte povera – persone oltre la storia – si legge: “L’anno di riferimento della nascita dell’Arte Povera è il 1967, ma il periodo in cui si è formata è dal 1964 al 1966. Un cambio di segno, un nuovo ambiente, la messa in discussione dell’agire nei confronti delle opere e dell’arte stessa. Contributi filosofici e ribellione, impulsi e desideri, accompagnati da una forte poesia e inclusività della natura, in quanto entità organica, vivente e presente”.
La tesi di laurea nasce dall’interesse personale del giovane artista verso il movimento dell’Arte povera, che, nel corso dell’elaborato, viene congiunta con il teatro, tema centrale nel suo percorso di studi. Il collegamento tra queste due diverse dimensioni artistiche deriva, infatti, dal nome stesso del movimento: il riferimento, a suo avviso “vago e pallido”, risiede nella formula Arte povera che per Germano Celant si rifà al Teatro Povero di Grotowski. Tutti questi elementi, di fondo già connessi tra loro, sono stati uniti dall’autore per dar vita al suo elaborato finale. Luca di Terlizzi, tuttavia, associa il teatro all’Arte povera per un altro motivo, in quanto vede il loro legame più vero, reale e sincero lontano dalla semplice parola. Quello che vuole far emergere è come nel corso degli anni ’60 si siano scardinati i canoni tradizionali per dare spazio allo sconfinamento delle arti, grazie a cui l’arte contemporanea si è potuta realizzare pienamente. Da questo momento in poi, infatti, non si guarda più alla distinzione tra i generi artistici ma si inizia a parlare di arte in tutte le sfaccettature possibili. Esplicativo è l’iconico intervento di Jannis Kounellis del 1969, in cui presentò 12 cavalli alla Galleria L’attico di Roma e che l’artista di origini greche definisce appartenente alla pittura. “Si tratta di una provocazione – afferma Luca di Terlizzi – in quanto specificare il genere artistico non è più il fulcro centrale. Ciò che conta, al contrario, è l’arte vera e sincera”.
Dalle numerose riunioni con il relatore Valerio Rivosecchi, Professore di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, è emersa la possibilità di arricchire quello che è il testo storico dell’Arte povera, anche attraverso l’intervento in prima persona di Michelangelo Pistoletto, Fabio Sargentini e infine Anna Paparatti, storici esponenti di questo movimento. Come racconta l’autore, il titolo della tesi nasce dagli accadimenti raccolti durante i suoi incontri con i vari artisti. Luca li ha fotografati all’interno del proprio contesto familiare e personale calandosi, anche se per un tempo limitato, tra le mura delle loro case. È il caso degli incontri con Sargentini e Paparatti, avvenuti a Roma, dove i due artisti risiedono. In particolare, la ex componente del Living Theater, ha raccontato a Luca aneddoti personali, come quello riguardante uno dei libri presenti nella bibliografia della tesi, dedicato alla sua biografia e sottotitolato “la pittoressa”, ossia il modo in cui il proprio nipote la chiamava da piccolo. Lo scopo della tesi è proprio quello di rivelare ciò che si cela dietro la figura dell’artista: una persona con un vissuto da raccontare. Inizialmente, è stato difficile riuscire ad intercettare le tre personalità e fissare con loro degli appuntamenti, anche per via delle limitazioni dovute alla situazione pandemica in corso durante la scrittura dell’elaborato. Infatti, l’intervista a Michelangelo Pistoletto è avvenuta per via telefonica durante il lockdown. Nonostante questo “l’impressone è stata bellissima – così racconta il giovane artista -. Era la prima intervista che ho fatto e quindi ero molto emozionato. Riascoltando la conversazione registrata per poterla trascrivere, sentivo dalla mia voce trasparire l’emozione. In alcuni casi non ho seguito quello che volevo dire ma alla fine è uscita una buonissimo lavoro. Pistoletto è stato molto preciso e puntale nelle sue risposte. Il dialogo con il maestro biellese è un apripista per prendere confidenza anche con le successive interviste”.
L’intervista a Pistoletto, concentrata sugli episodi avvenuti nel corso degli anni ’60, si pone quasi come una conversazione tra i due. Infatti, Luca rivela di aver preparato le domande precedentemente ma di non averle rispettate: “Avevo messo a punto l’intervista, ma data l’emozione ho improvvisato. Avevo in testa quello che volevo chiedere e la mia intenzione era di rendere queste interviste delle chiacchierate. Quando le ho realizzate esisteva già il titolo della mia tesi, quindi mi sono voluto concentrare sulle persone e non unicamente sulle loro opere. Non volevo un articolo storico ma ho voluto impostare l’elaborato rispettando il mio modo di fare”. Con questo approccio “a tu per tu” Luca ha tentato di scardinare l’eccessiva formalità in modo da guardare più in profondità, “oltre la storia”.