Quando sentiamo qualcuno parlare di ‘barriera corallina’ può originarsi in noi un viaggio mentale, quasi onirico, che ci porta lontano. Con il pensiero nuotiamo tra le acque cristalline e osserviamo i colori di quel patrimonio naturale del nostro pianeta. Ciò che scorgiamo non è solo un mosaico cromatico, ma un mondo marino ricco di biodiversità. Si tratta di uno degli ecosistemi più importanti della Terra, a cui si deve inoltre il nutrimento di un quarto di tutte le specie marine. Questa bellezza, però, è sempre più a rischio e a minacciarla direttamente e indirettamente, è soprattutto l’attività umana. In quest’ottica, il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), ha analizzato la criticità soffermandosi sull’impattante fenomeno – legato in particolare alle alte temperature oceaniche – dello sbiancamento delle barriere coralline. Nel rapporto, intitolato Projections of future coral bleaching conditions using IPCC CMIP6 models, sono stati immaginati due scenari futuri sulla base dell’attuale criticità ambientale.
Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha reso noto lo studio in una nota: “Il documento – così ASviS – è stato pubblicato alla fine del 2020 e aggiorna il rapporto Unep 2017 attraverso nuove proiezioni. Ci sono stati tre grandi eventi globali di sbiancamento dal 1998, l’ultimo è iniziato nel 2014 e si è concluso nel 2017. Questo ultimo evento, insolitamente lungo, rappresenta ciò che le proiezioni del modello climatico utilizzato nel Rapporto suggeriscono possa diventare la norma nei prossimi due decenni. Quando le acque diventano troppo calde, i coralli, minuscoli animali che secernono carbonato di calcio per proteggersi, espellono le microscopiche alghe simbiotiche chiamate zooxantelle, che risiedono nei loro tessuti e perdono il loro colore, sbiancando”.
Projections of future coral bleaching conditions using IPCC CMIP6 models, nello specifico, propone due scenari di cambiamenti globali (Ssp5-8,5 e Ssp2-4,5) che considerano le emissioni di gas serra e le diverse politiche climatiche messe in campo: la prima possibilità ipotizzata è quella più drastica, che usa come riferimento un’economia globale dipendente dai combustibili fossili che non prende in considerazione un’adeguata politica climatica; la seconda, più ottimistica, fa riferimento a un possibile avvicinamento di risultati secondo quanto previsto dagli Accordi di Parigi (in cui le emissioni continuano ad aumentare fino alla fine del secolo, raggiungendo tra 65 Gt CO2 e 85 Gt CO2, con un conseguente riscaldamento di 3,8 – 4,2 gradi).
In quest’ultima possibilità, il grave sbiancamento annuale potrebbe verificarsi nel 2045. Nella previsione più pessimistica, la prima, il fenomeno potrebbe avvenire addirittura entro il 2034. Come riportato da ASviS, il fenomeno varia notevolmente in base al contesto geografico e “sei dei 20 Paesi con le più grandi barriere coralline hanno più del 25% di rifugi temporanei, zone con asb proiettato dopo il 2044. Tra questi Paesi ci sono Indonesia (35%), Australia Occidentale (70%), Bahamas (26%), Madagascar (30 %), India (37%) e Malesia (47%). Al contrario, 13 dei 20 Paesi con le maggiori barriere coralline hanno più del 25% di aree che sperimenteranno condizioni gravi di sbiancamento annuale relativamente presto (tra questi, Filippine, Isole Salomone, Fuji, Cuba e Arabia Saudita)”.
Una situazione delicata, che, a detta degli autori del rapporto, potrebbe migliorare solo riducendo le emissioni di carbonio e avviando processi strategici volti a massimizzare i benefici di conservazione, come la pianificazione di aree marine protette, degli spazi marini, della gestione costiera integrata e la pianificazione per lo sviluppo di vivai di coralli. “È possibile – ha concluso ASviS in riferimento al report – intraprendere azioni specifiche di gestione concentrandosi su aree prioritarie, come ad esempio le barriere in cui i fenomeni di grave sbiancamento annuale si stima arriveranno più tardi, limitando o modellando le attività umane per ridurre lo stress diretto e promuovere la resilienza della barriera corallina”.