Associazione Consumatori ACU, AIDA, AIAB, AIAPP, Animal Equality, Associazione Italiana Biodinamica, Associazione TERRA, CIWF Italia Onlus, FederBio, Greenpeace Italia, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu-BirdLife, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow Food Italia, WWF Italia: sono queste le 17 realtà che si sono unite in una voce comune per mettere in luce una criticità d’interesse internazionale, ossia la difesa della sicurezza alimentare in Europa e in Italia. Le associazioni in questioni, infatti, hanno inviato una lettera inviata al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e ai Ministri Patuanelli e Cingolani, che fa seguito ad un analogo appello in difesa della transizione ecologica dell’agricoltura inviato il 10 marzo scorso alla Commissione Europea da quasi 100 associazioni europee. Anche in questa circostanza, l’obiettivo dell’appello è chiaro: “Indebolire le Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’Unione Europea e rivedere le norme ambientali della nuova PAC post 2022 – specificano le associazioni – sarebbe un grave errore e non risolverebbe i problemi collegati all’aumento dei prezzi e disponibilità di materie prime, problemi ulteriormente aggravati dalla guerra in Ucraina che stanno mettendo in grave difficoltà le aziende agroalimentari europee e nazionali. Serve, invece, accelerare la transizione ecologica della nostra agricoltura rivedendo i modelli di produzione e consumo del cibo”. Con questa lettera le Associazioni nazionali rispondono infatti agli argomenti con cui le lobby dell’agricoltura industriale sostengono la necessità di rivedere gli obiettivi del Green Deal per affrontare la crisi dei prezzi e delle materie prime causata, solo in parte, dalla guerra in Ucraina. Secondo i firmatari dell’appello le Strategie europee che le lobby contestano puntano a tutelare la biodiversità e a ridurre l’impatto che le pratiche agricole intensive determinano su clima e ambiente, con obiettivi al 2030 che riguardano la riduzione dell’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche nei campi e nelle stalle e il mantenimento di uno spazio per la biodiversità nel paesaggio agrario.
Le 17 associazioni firmatarie dell’appello.
“Le 17 associazioni, nella loro lettera, stigmatizzano la strumentalità e l’inadeguatezza di un dibattito – si legge nella nota stampa dedicata – che utilizza la drammatica contingenza della guerra in Ucraina per attribuire alla transizione ecologica la responsabilità delle crisi in corso in Europa. Nel quadro di drammatica incertezza che affligge l’agricoltura occorre invece concentrarsi proprio su interventi che garantiscano un futuro sostenibile per il settore agricolo, anche dal punto di vista economico. È surreale che invece si sposti la discussione sulle strategie della transizione ecologica che si proiettano su scadenze di medio e lungo periodo”. La nuova PAC, infatti, entrerà in vigore dal 2023 e sarà pienamente operativa dal 2025, “mentre per molte aziende agricole – viene sottolineato nel comunicato – la sopravvivenza è questione di giorni o settimane”. Per le 17 associazione risulta quindi urgente intervenire a sostegno delle aziende agricole in grave difficoltà per l’aumento dei prezzi delle materie prime con interventi tempestivi e mirati, tenendo anche conto delle speculazioni finanziarie in atto. Allo stesso tempo, però, risulta per i firmatari dell’appello necessario accelerare le risposte alle grandi sfide della sostenibilità ambientale e climatica dell’agricoltura, a partire dall’attuazione delle Strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” e della nuova PAC post 2022, proprio per rendere i sistemi agroalimentari meno vulnerabili a questi shock. “Senza provvedimenti adeguati ed efficaci per la soluzione di questi problemi globali – questo l’immaginario paventato -, i rischi di nuove crisi saranno sempre maggiori in futuro”.
In questo situazione emergenziale, la crisi russo-ucraina ha inoltre un peso non indifferente: “La guerra in Ucraina – hanno sottolineato le 17 associazioni – sta evidenziando la vulnerabilità dell’Europa nella dipendenza da importazioni di materie prime e di energia. Ma il conflitto è l’ultimo di una serie di eventi, iniziati con la pandemia di COVID e proseguiti con la siccità in Nord America che ha dimezzato i raccolti, innescando dinamiche speculative e una pericolosa ascesa dei prezzi. In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari, per promuovere modelli produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili. I timidi passi verso una transizione agroecologica attesi con la riforma della PAC non possono essere vanificati dalla conservazione degli stessi sistemi produttivi e modelli di consumo che ci hanno condotto in questa situazione. Non è aumentando la produzione attraverso un ulteriore degrado dell’ambiente naturale o aumentando la dipendenza da energie fossili che si risolveranno i problemi. Occorrono politiche che favoriscano la sicurezza alimentare, sostengano pratiche estensive e rispettose del benessere degli animali, valorizzino il ruolo degli agricoltori e promuovano diete più sane, con una riduzione e una qualificazione del consumo di prodotti di origine animale”.
Le associazione rivelano inoltre che evidenze scientifiche supportano queste posizioni, come il recente rapporto IPCC secondo cui “mentre lo sviluppo agricolo contribuisce alla sicurezza alimentare, l’espansione agricola insostenibile, guidata in parte da diete squilibrate, aumenta la vulnerabilità dell’ecosistema e la vulnerabilità umana e porta alla competizione per la terra e/o le risorse idriche“. L’ISMEA, nell’analizzare i problemi attuali di disponibilità del mais in Italia, evidenzia come sia divenuta “ormai strutturale la dipendenza degli allevamenti dal prodotto di provenienza estera”: si tratta di un grosso segmento della nostra produzione agroalimentare che si dichiara ‘Made in Italy’, ma si basa su importazioni di mangimi, spesso prodotti in Paesi che hanno norme, ad esempio in materia di OGM e pesticidi, molto meno rigorose di quelle europee. “Gran parte dell’insicurezza dei sistemi agroalimentari – viene aggiunto nella nota – dipende dalla espansione della zootecnia intensiva, se si considera che il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, e a questi si sommano le terre coltivate al di fuori della UE da cui importiamo mangimi per alimentare un settore produttivo divenuto ipertrofico e inquinante, oltre che non rispettoso del benessere animale”.
In conclusione, per le 17 associazioni “la risposta in grado di garantire una maggiore sicurezza ai sistemi agroalimentari in Europa passa pertanto dalla riduzione del numero degli animali allevati, che richiede una contemporanea riduzione dei consumi di carne e prodotti di origine animale e consentirebbe di liberare terreni per colture alimentari, capaci di soddisfare meglio diete diversificate e a basse emissioni, garantire il diritto di accesso al cibo locale a prezzi sostenibili”.