Tanti granelli ocra che si fanno spazio tra le dita dei piedi, le impronte degli uccelli, la candida trina delle onde che si distendono sulla battigia. Un dito che compone le lettere iniziali dei nomi o frasi di due innamorati, con l’anno e il luogo di riferimento; anche se il vento o l’acqua del mare renderà queste scritte effimere, nella memoria non si cancelleranno, mai. La magia del mare è inimitabile, con suoni, colori e profumi unici. Per chi nell’eterna ‘lotta’ – si scherza, ovviamente – mare vs montagna, sceglie il primo, può cogliere il significato di quanto accennato. L’estate, per molti, non è solo stacco dalla quotidianità lavorativa, ma è anche immersione in un contesto diverso, libero. Stare in costume al mare non significa solo toglierci i vestiti, ma spogliarci degli abiti sociali e professionali che vestiamo durante l’anno. E quanto è piacevole la sensazione – apparentemente banale – di immergere i piedi nella sabbia? Come se si camminasse in un altro pianeta, almeno per chi deve limitarsi a passeggiare sulla battigia solo per una o due settimane all’anno. E ognuno di noi, in fondo al cuore, ha una spiaggia preferita, un luogo costellato di ricordi piacevoli, di divertimento, amore, famiglia, amicizia. In fondo, di dodici mesi ricordiamo con maggior piacere la settimana di ferie più di tutti molti altri giorni dell’anno. La spensieratezza che vince sullo stress.
La spiaggia, quindi, è per molti sinonimo di felicità, oltre a essere un patrimonio ambientale. Sapete che molte di queste bellezze naturali potrebbero essere a rischio? Una stima basata sulle immagini del Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione europea ha evidenziato come quasi la metà delle spiagge globali potrebbe ritirarsi entro la fine del secolo. Il motivo sarebbe da ricondurre alle inondazioni costiere causate dal cambiamento climatico. Morale, colpa dell’uomo. Non solo: un articolo pubblicato su Nature Climate Change riporta che l’Australia sarebbe la più colpita con quasi 12mila chilometri a rischio, ma anche le spiagge di Canada, Cile, Messico, Cina e Stati Uniti sarebbero fortemente ridotte. L’erosione non poterà solo a un danno turistico o economico, ma soprattutto costituirà un pericolo incalcolabili per l’ecosistema.
È stato il ricercatore dell’Ispra Michalis Vousdoukas, nel contesto del Centro comune di ricerca dell’Unione europea – assieme ad altri professionisti di differenti istituti di ricerca – a lanciare l’allarme: hanno analizzato un database di immagini satellitari che mostrano i cambiamenti del litorale dal 1984 al 2015 e, con uno studio ad hoc, hanno potuto tracciare uno scenario futuro. Le risposte ottenute sono due: da un lato il danno ambientale causato da fattori fisici (geologici o antropogenici) e dalla ritirata del litorale a causa dell’innalzamento del livello del mare, come accennato; dall’altro l’erosione provocata dalle tempeste e, di conseguenza, dall’impatto dei cambiamenti climatici.
La previsione è stata tutt’altro che ottimistica: circa il 50% delle spiagge sabbiose del mondo sono a rischio di grave erosione, non solo in America e in Oceania, ma anche in Africa, dove potrebbe andare perduta oltre il 60% della costa sabbiosa. A livello globale, il 13,6% delle coste, con oltre 36mila chilometri di litorale sabbioso, potrebbero essere sommerse o danneggiate da inondazioni, frane ed esondazioni di fiumi. L’innalzamento del mare è sì un fenomeno inevitabile (sta accelerando di circa 0,1 millimetri all’anno), ma con le catastrofi ambientali il processo sta sensibilmente accelerando.
Tra 30 anni, l’erosione avrà distrutto 36.097 km (22.430 miglia) o il 13,6% delle coste sabbiose identificate dalle immagini satellitari dagli scienziati per il Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione europea; prevedono inoltre che la situazione peggiorerà nella seconda metà del secolo, portando via altri 95.061 km o il 25,7% delle spiagge della Terra. Se facciamo un passo indietro, comprendiamo che il cammino intrapreso non è quello adeguato: in 30 anni hanno perso complessivamente 28mila chilometri quadrati. Se il passo lo facciamo avanti, ipotizzando che le emissioni di carbonio proseguano ai ritmi dei giorni nostri, scompariranno quasi la metà delle spiagge. Tra passato e futuro, occorre quindi pensare al presente. Fare qualcosa, subito. Altrimenti i piedi sulla sabbia saranno solo un malinconico ricordo.
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