Michelangelo Pistoletto torna – artisticamente – nello stato insulare dei Caraibi. Dopo l’iconica performance con le barche dei pescatori nel mare cubano, con la mostra ospitata nel 2016 dal National Museum of Fine Arts, e altre iniziative sviluppate all’interno del contesto socio-culturale cubano, soprattutto attraverso l’ambasciata Tercer Paraíso, il maestro biellese riformula alcuni temi o questioni ricorrenti nel suo lavoro, ma questa volta stimolando un dialogo generazionale con Yoan Capote, uno degli artisti cubani – della provincia di Pinar del Río – più importanti della scena artistica attuale. Il riferimento è alla mostra Escala Humana, presentata da Arte Continua di Águila de Oro, a Barrio Chino, che riunisce i due creativi in questione le cui rispettive pratiche coinvolgono l’arte, la realtà e l’individuo “in un modo molto particolare. I lavori visionabili nell’esposizione – si legge nella nota stampa dedicata – mostrano un interesse molto chiaro nel ridefinire l’esperienza estetica dello spettatore attraverso un particolare potere espressivo dei materiali e degli oggetti presenti. Qualsiasi materiale trasformato dalle loro menti e dal calore umano diventa invariabilmente poesia, energia o significato attraverso la sottigliezza di un semplice gesto o di una meticolosa elaborazione”. La mostra, inaugurata il 24 novembre scorso in occasione della XXIV Settimana della Cultura Italiana, sarà aperta fino al 2 febbraio 2023.
Nel caso di Michelangelo Pistoletto vengono presentate opere iconiche di diversi momenti della sua carriera, tra cui Mar Mediterraneo, Love Difference, Around the World e una serie di Quadri specchianti; alcuni di questi risalgono al 1976 e sono una dichiarazione esplicita della natura concettuale del suo lavoro artistico. In mostra è inclusa anche la Venere di stracci, realizzata nel 1967 e “considerata emblematica dell’Arte Povera. L’accostamento degli stracci e della statua di Venere – così Galleria Continua – produce una correlazione dialettica simile a quella che caratterizza i suoi quadri specchianti. Una figura fissa di spalle (la statua che rappresenta un imperituro ideale di bellezza tramandato nei secoli) dialoga con una miriade di oggetti potenzialmente infiniti e mutevoli, ossia gli stracci, simbolo di spreco e degrado, ma anche consumismo, riciclo ed emarginazione sociale”.
Allo stesso modo, una sensibilità NeoPovera può essere apprezzata in gran parte del lavoro di Yoan Capote, condizionato all’inizio della sua carriera dal contesto e dalle sue difficoltà di accesso a soluzioni tecniche all’avanguardia, ma allo stesso tempo dal suo interesse nel trovare sempre il lato più espressivo dei materiali, siano essi umili o industriali. “Tuttavia – viene specificato nella presentazione della mostra – c’è una caratteristica distintiva nel modo in cui Capote cerca di trasformare l’esperienza fisica di questi materiali in un innesco simbolico o emotivo. C’è cioè nelle sue opere un modo viscerale di analizzare il peso, la corrosione, la fragilità, l’equilibrio, l’esperienza tattile, ma anche di sintetizzare il modo in cui lo spettatore interagisce con esse”.
Entrando in mostra, le prime opere che si trovano poste in dialogo sono This Space Does Not Exist (1967), uno dei quadri specchianti di Pistoletto dove, includendo lo spettatore e il tempo presente nell’opera, modifica e introduce una nuova nozione di prospettiva, e Family Portrait di Capote (2022). Quest’ultimo allude al testo di una delle canzoni più emblematiche della generazione dell’artista cubano, Foto de familia di Carlos Varela, ma è stato ideato appositamente per questa mostra e ispirato all’uso dello specchio nell’opera del maestro biellese. “Capote utilizza come riferimento i vecchi specchi di casa e le classiche foto di famiglia – viene aggiunto nella nota stampa – che vengono esposte nei nostri spazi intimi. Con delicatezza archeologica, aggiunge il mercurio sul retro, raschiandolo e strappandolo per rivelare la trasparenza del vetro mentre incide l’immagine del mare. Proprio all’orizzonte ha tagliato il vetro e l’area del cielo l’ha capovolta contro il muro. Il colore del mercurio ci ricorda il grigio del cielo e allo stesso tempo parla di chi non è più con noi”.
Altri dialoghi si articolano nel percorso espositivo: Mar Mediterraneo di Pistoletto occupa il centro della sala espositiva e funge da mediatore tra culture, lingue, politiche e religioni visioni, circondato dai mari della serie Islands di Yoan Capote, oltre alle sue sculture Self-Portrait e On our Shoulders. Questi ultimi evocano un’allusione diretta al peso emotivo e al carico spirituale del nostro corpo. Entrambe sono opere che diluiscono la rappresentazione dell’esperienza individuale in un’empatia collettiva, o allusione sociale: “Il primo – illustrano gli organizzatori – mostra uno studio meticoloso dell’equilibrio; la sua fragilità visiva trasmette una tensione statica di fronte alla gravità e un’evocazione della vulnerabilità della nostra vita e del nostro corpo. Analogamente, seguendo la tradizione del busto classico, la seconda opera ci mostra una similitudine visiva tra le spalle di una scultura e la forma capovolta della pesante incudine. È quasi la qualità ready-made di questo oggetto, il cui peso e tenacia d’acciaio raccontano la storia di innumerevoli colpi ricevuti e la sua forza interiore”. Come accennato è visionabile anche Love Difference, che, come si evince dal titolo e dai suoi significati, si pone come un richiamo urgente sui temi chiave della mostra insieme ad opere come Abstinence di Capote. “Per questi artisti – viene concluso nella nota stampa – l’arte non solo va oltre il campo dell’estetica ed entra nel campo dell’etica e delle idee, ma assume anche responsabilità reali e concrete in tutti gli ambiti della vita umana”. L’arte, così, diventa un motore chiave per generare interazione e dialogo.