L’Unione Europea ha compiuto pochi progressi verso il suo obiettivo di innalzare la qualità dell’occupazione e, nell’ultimo decennio, alcuni paesi hanno addirittura fatto passi indietro: a renderlo noto è l’Etuc, la Confederazione sindacale europea, in riferimento all’ultimo lavoro da loro condotto. La panoramica di questa criticità è stata fornita dal Decent work & sustainable growth index – realizzato con ASviS – che segnala come, procedendo come fatto finora, i Paesi dell’Ue non riusciranno a raggiungeranno entro i prossimi 9 anni il Goal 8 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’sdg in questione consiste nell’incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, oltre a promuovere un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti. Un traguardo complesso da raggiungere, considerando che le politiche di austerità, per Etuc, hanno reso il lavoro più insicuro e hanno aggravato i livelli di disuguaglianza in Europa. Secondo il dossier reso noto dalla Confederazione, nell’ultimo decennio l’UE ha quindi compiuto pochi progressi miglioramenti per innalzare la qualità dell’occupazione e di favorire di una crescita economica inclusiva.
Nel documento, per elaborare valutazioni e contenuti, si fa riferimento al rapporto preparato per Etuc da un team di ricercatori dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile guidato da Enrico Giovannini quando era portavoce di ASviS prima di entrare a far parte del nuovo governo. L’index in questione misura i progressi verso l’obiettivo su tre misure: benessere economico, qualità dell’occupazione e vulnerabilità del lavoro. Sulla base di questi parametri, il report mette in luce come Grecia, Italia e Spagna siano tra i paesi con le peggiori prestazioni, seguite da Bulgaria e Romania. La situazione, dunque, non è positiva, “a testimonianza dei ritardi – così ASviS in una nota – con cui si va colmando il divario economico e produttivo tra l’Europa occidentale e quella orientale”. Sempre in riferimento all’index, la performance della Grecia è stata più bassa nel 2019 rispetto al 2010, mentre quelle del Lussemburgo e del Regno Unito sono state peggiori di quelle del 2015. I risultati migliori, invece, arrivano dal nord Europa da parte di Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia e Svezia.
L’indice, inoltre, ha fatto emergere un altro dato significativo, ossia il fatto che il Pil abbia poca incidenza sul lavoro dignitoso. Un esempio, in quest’ottica, è l’Irlanda, che ha registrato alti livelli di crescita del Pil negli ultimi anni, ma ottiene risultati negativi nell’indice di lavoro dignitoso perché il suo Pil si basa su un’imposta sulle società estremamente bassa e sulla spesa pubblica per la protezione sociale. Il nuovo indice elaborato dalla Etuc dimostra quindi che, mentre nei Paesi europei il benessere economico è peggiorato a partire dal 2015, la situazione è appena migliorata per quanto riguarda la qualità dell’occupazione o la vulnerabilità del lavoro. “Per questa ragione – così ASviS riportando le parole della segretaria confederale di Etuc Carr – l’Ue ha bisogno di ripensare radicalmente le sue politiche economiche, dando priorità al lavoro dignitoso come ha promesso, ponendo fine a controlli eccessivamente rigidi sugli investimenti pubblici che guidano una crescita economica equa. L’Ue deve avviare una nuova fase a partire dall’attenzione per le persone colpite dalla crisi economica dovuta alla pandemia. In sostanza, l’Unione Europea e gli Stati membri sono chiamati a sfruttare tutte le risorse necessarie per proteggere i lavoratori e le aziende da una recessione che renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi delle Nazioni Unite entro il 2030”.