Lectio Pluralis – Subhash Mukerjee e l’individual innovation design
Trattare se stessi e il proprio approccio al lavoro come un progetto: ecco Forms of Life, uno speciale workshop lanciato dall'architetto e docente universitario indo-torinese, illustrato durante il suo intervento ad Arte al Centro 2017.

Continuano gli articoli relativi agli interventi della Lectio Pluralis di Arte al Centro 2017, dedicati alla progettazione. Dopo aver messo in luce StudioSuperfluo in uno scritto precedente, daremo voce alla testimonianza di Subhash Mukerjee. Subhash è un architetto indo-torinese di formazione internazionale e docente universitario che, attraverso l’insegnamento, la ricerca e la professione, ha intrecciato esperienze umane e sociali molto diverse tra loro. I progetti ai quali lavora vedono lo spazio come dimensione del dialogo con gli altri, ma, anche, con se stessi.

Valeria Cantoni, moderatrice della Lectio, ha invitato l’ospite a riflettere in che modo sviluppa un progetto di interior design partendo da un concetto di interiorità.
“Per spiegare al meglio la questione – esordisce l’architetto – è doverosa una premessa. Dopo vent’anni di lavoro con numerose pratiche tra incarichi, insegnamenti, ricerche, viaggi all’estero, ho riflettuto sulla mia professione, pensando a come le esperienze abbiano condizionato radicalmente il mio modo di progettare. Ho compreso come sia complessa la questione del proprio metodo e della propria linea di lavoro. Dogma o contingenza, autorialità o tecnica? Credo che molto spesso manchi un’attenzione verso l’interno dei percorsi di ognuno. Finora, la mia carriera è stata spesso collegata con l’esterno. Per saper definire cosa si fa, è importante non farci influenzare solo dall’esterno ma guardare a noi stessi”.

Dopo la premessa, il docente esplica il suo progetto: “Le riflessioni mi hanno portato a lanciare Forms of Life: un tentativo, in forma di workshop per i miei alunni, di individuare una missione. Una sorta di individual innovation design, mirato a trattare se stessi e il proprio approccio al lavoro come un progetto. Per concretizzare questo, è basilare porsi alcune domande, come: ‘Che progettista desidero essere? Come posso diventarlo?’. Per il processo progettuale di Forms of Life – continua – incarico gli studenti di scrivere un diario della loro vita (dalla nascita fino a circa 23 anni), stilando un diagramma a stella, anno per anno, dei valori che ritengono li abbiano contraddistinti. Vengono così messi in evidenza gli interessi e i valori della loro esistenza.

Si ottengono 23 diagrammi – prosegue – che vengono poi distribuiti lungo una timeline che ha sulla x (ascissa) i 23 anni e sulla y (ordinata) la loro caratteristica principale, cioè un fattore che reputano fondamentale, come ad esempio la felicità. Le realizzazioni diventano così delle sezioni di uno spazio che, tramite modellazione tridimensionale, viene creato interpolando le sezioni lungo la timeline: quella diventa la forma della loro vita e il contesto del loro progetto di interior design. In questo modo, faccio lavorare gli studenti a un aspetto che spesso nelle università non viene affrontato. Dal processo viene mostrato il percorso passato, ma, una volta ‘visualizzato’ quest’ultimo, possono occuparsi del loro futuro”.