Rivoluzione, desiderio e mediazione nell’Open Studio di Noor Abed e Vanessa Sandoval
Le due artiste, nel contesto di una residenza di due mesi all'Università delle Idee di Cittadellarte, presenteranno la loro ricerca mercoledì 22 novembre alle 17.30. Abed mostrerà il video della performance "A West Bank" e Sandoval presenterà i materiali audiovisivi del progetto "Non lasciarmi".

Rivoluzione, desiderio e mediazione: sono questi i tre temi principali del programma UNIDEE 2017 e, indagando su  queste parole chiave, le artiste Noor Abed e Vanessa Sandoval condurranno un open studio a Cittadellarte il 22 novembre alle 17.30. Le stesse artiste sono state selezionate e hanno vissuto e lavorato a Cittadellarte da settembre a novembre 2017, frequentando i moduli settimanali dell’Università delle Idee. I due mesi di residenza, resi possibili grazie alla partnership con la Fondazione A.M. QATTAN (Palestina) e con RESÒ – Rete internazionale per residenze artistiche e programmi educativi (CRT Fondazione per l’arte, Piemonte) – sono stati concepiti e pianificati secondo la metodologia UNIDEE, che combina la pratica artistica con la teoria attraverso laboratori, seminari, incontri, visite studio ed escursioni su misura per gli interessi di ogni singolo artista. Le residenti sono state assistite nella ricerca e nella produzione delle opere proprio dal team UNIDEE (Cecilia Guida con Clara Tosetti e Annalisa Zegna) e dall’Ufficio Arte (nella figura di Juan Sandoval).

Noor Abed è un’artista visiva israeliana di Gerusalemme del 1988, che lavora al crocevia tra performance, video e film. Nello specifico, si focalizza sullo spazio intermedio tra performance-palcoscenico e schermo-immagine. Per quanto concerne il suo percorso di studi, ha conseguito un master in Belle Arti in Fotografia e Media presso il Cal Arts (California of Arts Institute) di Los Angeles e un laurea all’Accademia Internazionale delle Arti in Palestina.
Nel corso della sua residenza a Cittadellarte, per il suo lavoro artistico, si è concentrata sulla sua esperienza: ha messo in luce che lei, in quanto palestinese, ha più volte dovuto attraversare i confini – in condizioni critiche – per raggiungere il suo paese. Partendo da questo fatto, è andata in scena, giovedì 16 novembre nel torrente Cervo a Biella, la sua performance “A West Bank”.


(Photo credit: Juan Sandoval)

“Ci vogliono molte ore – ha spiegato Noor Abed – per i Palestinesi per attraversare il Giordano, è l’unico modo per entrare e uscire dal West Bank – la sponda occidentale, ndr -. Il fiume, infatti, è fortemente presidiato ed è diventato un posto di blocco con tanto di orari di passaggio e soldati. Il Giordano determina il movimento dei Palestinesi che entrano ed escono dal paese e il tempo che io impiego per percorrerlo è di circa 5 ore. Il torrente Cervo mi ricorda molto questo attraversamento, nella mia mente il corso d’acqua è legato a un’idea simbolica di tempo e attesa. Ho quindi proposto una performance che mi ha vista protagonista: ho attraversato il torrente passando da un semplice ponte – struttura semplice e rudimentale, costruita provvisoriamente per l’occasione, ndr – e ho fatto sì che la mia camminata in quel tratto durasse lo stesso tempo che impiegavo ad attraversare il Giordano: 5 ore”.

Lo scenario è stato d’impatto: nelle sponde di un modesto corso d’acqua l’artista è riuscita a ricreare una sua segnante esperienza passata. Una performance evocativa che ha immerso gli spettatori in uno spettacolo crudo, quasi trasformando il Cervo nel Giordano: un’attesa snervante, il freddo che sferzava la pelle di Abed, un ponte non solido, quasi a simboleggiare il disordine socio-politico palestinese. L’artista, però, è sembrata impassibile dinnanzi a quell’efferatezza climatica, percorrendo stoicamente, nei tempi previsti, il tratto di ponte. Sembrava assorta nei suoi pensieri, probabilmente gli stessi che l’hanno spinta a dar vita alla performance. Un’azione artistica che ha lasciato il segno negli astanti, che hanno potuto così, anche se per i pochi frangenti in cui vi hanno assistito, avere idea delle criticità che imperversano in Palestina.


(Photo crediti: L.D.)

L’altra protagonista dell’open studio, come detto, sarà Vanessa Sandoval, un’artista colombiana del 1990 che vive e lavora a Cali. Il suo lavoro artistico verte sull’individuazione della relazione tra le persone e il contesto fisico e sociale in cui vivono, cercando di trovare le tensioni generate da questo rapporto. Dall’inizio della sua residenza a Cittadellarte, infatti, ha concentrato la sua attenzione sui cartelli di case ‘in vendita’, che a Biella ha notato ovunque. Attraverso la presenza di case vuote ed edifici sul mercato, ha investigato sulla crisi economica e sulla tematica dell’emigrazione. Il suo progetto “Non lasciarmi” consiste nell’inscenare azioni in giro per la città per impedire la partenza di qualcuno.

“Il mio progetto – argomenta Vanessa Sandoval –  ha due fasi. La prima consiste nel diffondere un annuncio attraverso i giornali locali e con alcuni volantini distribuiti per la città. In questi réclame, chiedo consigli su come impedire la partenza di qualcuno. L’ho scritto volutamente in modo ambiguo, così che i lettori pensino che il riferimento possa essere a una relazione d’amore. Nella seconda parte, raccoglierò tutti i consigli che ho ricevuto e li ‘metterò in scena’ di fronte alle case vuote, come un vano sforzo per evitare la ‘partenza’ di chi le vuole vendere. Come presentazione finale di questa ricerca, nel corso dell’Open Studio, mostrerò gli annunci stampati, le fotografie e i video che documentano le azioni di fronte alle dimore abbandonate”.