“Graffiti Art in Prison”: dalla Sicilia un modello di ricerca interdisciplinare tra l’università e il contesto penitenziario
Il carcere è uno spazio pubblico? Quanto è grande la distanza tra lo spazio interno di un penitenziario e lo spazio esterno della città? È di questo, in sintesi che che si occupa il progetto GAP del Simua-Sistema Museale dell’Università degli Studi di Palermo, mettendo in relazione uno dei più importanti siti culturali in Sicilia, le Carceri dell’Inquisizione dello Steri, con il suo palinsesto di scritte e disegni dipinti sui muri, con le espressioni artistiche nelle galere di oggi proponendo un nuovo percorso formativo ed educativo che combina ricerca scientifica, attività didattiche e artistiche e impegno sociale. Un ruolo chiave del programma è svolto dalle attività didattiche organizzate in sei settimane di studio intensivo che vedono il coinvolgimento di dottorandi e relatori: tra gli ospiti del programma è figurato il coordinatore accademico di Accademia Unidee Michele Cerruti But, che il 17 maggio ha tenuto la lezione "Censurare il pubblico. Una genealogia pragmatista degli spazi dell'incarcerazione".

Studiare i graffiti dello Steri e metterli in relazione con altri esempi di graffiti carcerari e pitture murali, sia storiche sia contemporanee, e formare un gruppo di dottorandi attraverso nuovi percorsi di apprendimento che utilizzano i linguaggi delle arti contemporanee e la relazione con le carceri attuali: sono questi gli obiettivi chiave di GAP “Graffiti Art in Prison” del Simua-Sistema Museale dell’Università degli Studi di Palermo, progetto realizzato in partenariato con il Kunsthistorische Institut in Florenz – Max-Planck- Institut, il Dems dell’Università degli Studi di Palermo, l’Università di Saragozza e l’Accademia di Arte e Design – Abadir di Catania, finanziato nell’ambito del programma europeo Erasmus+ (Strategic Partnerships for Higher Education), col patrocinio del Ministero della Giustizia, DAP-Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Cultura. Come riportato sul sito ufficiale, il progetto triennale (2020-2023) coordinato da Gabriella Cianciolo, Laura Barreca e Gemma La Sita, sperimenta un modello di ricerca interdisciplinare attraverso collaborazioni orizzontali e condivise tra l’università e il contesto penitenziario, con la presenza di artisti, docenti, studiosi ed esperti, e il coinvolgimento di 20 dottorandi in discipline umanistiche e scientifiche provenienti da tutto il mondo. Il progetto, nello specifico, si basa sul valore dell’inclusione e attraverso processi partecipativi sperimenta modalità di relazione e apprendimento empatico tra soggetti diversi, senza distinzioni di provenienza (per ulteriori informazioni cliccare qui).


Le settimane di studio intensivo
Un ruolo chiave è svolto dalle attività didattiche organizzate in sei settimane di studio intensivo che vedono il coinvolgimento di dottorandi e relatori che hanno affrontato e affronteranno tematiche differenti: Palermo, ottobre 2021 Graffiti, disegni e scritte murali dell’Inquisizione a Palermo; Palermo, maggio 2022, Cesura, censura, immaginazione: artisti, storici e antropologi in dialogo; Colonia, luglio 2022, Marcare lo spazio: il muro come luogo eterotopico; Palermo, ottobre 2022, Dal segno al simbolo: nuovi approcci educativi per i detenuti; Saragozza, gennaio 2023, Gestione del patrimonio culturale: riutilizzare le carceri come spazi per l’arte contemporanea; Firenze, primavera 2023, Modalità di espressione e resistenza negli ambienti carcerari: i graffiti nella loro dimensione devozionale e politica. Il format adottato per ogni settimana di studio intensivo prevede lezioni frontali, attività seminariali e visite guidate, con un approccio interdisciplinare che consentirà agli studenti di affrontare i temi da diverse prospettive e con diverse metodologie.



La lezione di Michele Cerruti But.
Nella prima foto con foto Cerruti But con Laura Barreca, Coordinatrice Artistica GAP, Università degli Studi di Palermo.

La partecipazione di Michele Cerruti But, coordinatore accademico di Accademia Unidee
La seconda settimana intensiva di studio, tenutasi dal 16 al 20 maggio, ha coinvolto artisti, performer, architetti, fotografi, pedagogisti, antropologi, scrittori, storici e storici dell’arte su temi quali l’arte contemporanea e i nuovi linguaggi, la politica e la partecipazione. Il programma ha messo in dialogo studenti e detenuti con vari attori di culture diverse intorno al controverso e complesso rapporto tra censura, immaginazione e libera espressione. A questa settimana del progetto ha preso parte anche l’Accademia Unidee tramite il suo coordinatore Michele Cerruti But, che martedì 17 maggio presso l’Orto Botanico SiMUA-Sistema Museale d’Ateneo ha tenuto la lezione The censored public. A pragmatist genealogy of the incarceration space (Censurare il pubblico. Una genealogia pragmatista degli spazi dell’incarcerazione). “La prigione – si legge nell’abstract dell’intervento del coordinatore accademico – è uno spazio pubblico. Assumendo uno qualunque tra gli approcci contemporanei che definiscono cosa possa essere uno spazio pubblico, che sia  basato sul regime di proprietà, sulle pratiche e l’uso, sui modi della relazione o della gestione, il carcere emerge tuttavia come un luogo censurato. Una censura che riguarda in primo luogo il carcere stesso e che è dettata dal regime di sorveglianza e di disciplina che dipende dai suoi dispositivi architettonici. E che in secondo luogo riguarda l’ambito urbano, poiché le carceri sono invisibilmente poste lontane dai centri, poiché definiscono un ‘buco’ non attraversabile all’interno del tessuto urbano, poiché sono degli spazi completamente estranei al quotidiano”. Però, come sottolineato da Cerruti But, la carcerazione non è sempre stata la stessa: “In ‘La nascita del carcere’, Foucault spiega molto bene come le carceri incarnino nel tempo principi e questioni della ‘società disciplinare’ o della ‘società di sorveglianza’ contemporanea. Come sono cambiati nel tempo gli spazi di reclusione? In che misura è possibile definire l’architettura delle carceri come ‘dispositivo di disciplina’? In che modo l’architettura delle carceri è stata censurata dal tessuto urbano? La lezione – ha aggiunto – esplora una genealogia degli spazi di reclusione nella cultura occidentale, soffermandosi sul rapporto tra tipologia architettonica e città, ma osservando anche come il progetto dello spazio inteso come ‘dispositivo di potere’ rappresenti anche il sistema della realtà e la cultura di una società, tanto nel presente quanto nel passato. Architettura e spazio possono aiutare a comprendere meglio la contemporaneità?”.


Crediti immagini: pagina Facebook GAP.