“La Bandiera del Mondo 1+1=3” a Reggio Emilia, intervista al sindaco Luca Vecchi
L'ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso Giacomo Bassmaji ha intervistato il primo cittadino, facendo emergere l'impatto avuto dall'opera e dalla relativa performance a Reggio Emilia in occasione del festival "Rigenera". Vi proponiamo il loro confronto, in un dialogo tra arte, architettura e multiculturalità.

Sono Giacomo Bassmaji – ha esordito l’autore, ndr – architetto e curatore dell’istallazione collaborativa ‘Bandiera del Mondo 1 + 1 = 3’ di Michelangelo Pistoletto e Angelo Savarese. La formula di quest’opera si traduce in una prassi democratica e di partecipazione attiva dei cittadini ai proces­si di cambiamento per lo sviluppo sostenibile. Io esisto perché posso fare qualcosa per te e tu puoi fare qualcosa per me. Tu ed io insieme facciamo noi.
L’evento che ha visto la presenza dell’opera a Reggio Emilia è stato inserito all’interno del programma di Rigenera – Festival dell’Architettura nei mesi di settembre e ottobre 2020. In quest’ottica, vi propongono un’intervista a Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, per parlare di arte, architettura e multiculturalità.


Foto di Tommaso Cabassi. Da sinistra Giacomo Bassmaji e il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi.

Esattamente 6 mesi fa a Reggio Emilia è stata realizzata la performance “Bandiera del Mondo 1 + 1 = 3”. Cosa ha significato per la città, che rapporto si è instaurato tra la Città del Tricolore e questo simbolo e quest’opera d’arte?
Credo sia stata un’iniziativa molto importante, con grande partecipazione, che porta con sé un significato culturale e valoriale davvero forte. È stato molto emozionante il modo in cui è stata collocata nel contesto di questo luogo, nei chiostri benedettini, di San Pietro a Reggio Emilia. È stata una performance molto coerente con l’identità contemporanea, la storia stessa di questa città, il sistema dei valori di questa comunità.
Una performance e un’istallazione che attraverso l’arte e la cultura manda all’Italia e al mondo un messaggio molto potente.


Foto di Emiliano Paolucci.

L’arte del maestro Pistoletto riesce a mandare messaggi etici. Qual è il ruolo dell’arte contemporanea in una città di medie dimensioni come Reggio Emilia?
La risposta è inequivocabile, la cultura è creatività, è espressione di sapere, è pensiero critico, è dialogo ed è anche capacità di stimolare una discussione pubblica all’interno di una comunità. Quindi è del tutto evidente che quando i luoghi di una città riescono a nutrirsi di arte e di cultura, a beneficiarne non è soltanto la bellezza che già in sé è un elemento fondamentale, nel contesto a volte di una società che rischia di declinare verso dinamiche anche un po’ di degrado, ma soprattutto perché generativo di un processo di crescita civile di una comunità. Credo quindi che da questo punto di vista questa iniziativa sia un ulteriore passo in avanti, per una città che ha sempre pensato che l’arte e la cultura debbano rappresentare una sorta di driver del proprio modello di sviluppo.

Parlando di opera d’arte, Bandiera del Mondo nell’infisso 1 + 1 = 3 vuole trasmettere l’importanza del sistema collaborativo tra persone. Il messaggio dei due artisti è espressione di dialogo interculturale, rompe realmente i confini geografici e culturali.
Dall’opera di Pistoletto e Savarese credo valga lo sforzo di raccogliere il messaggio che vuole trasmettere, cioè che l’incontro tra le diversità genera una ricchezza e non invece timori e divisioni. L’opera, a mio avviso, ha un significato potente perché trasmette non soltanto un messaggio interculturale e interreligioso, ma fa incontrare le tante diversità del mondo e soprattutto un messaggio di pace. Questo perché noi viviamo in un mondo in cui le diversità sono ogni giorno rappresentate molto più nella loro dinamica di competizione e di contrapposizione. Di rado il mondo riesce a trasmettere un’immagine unitaria della propria diversità, acquisisce ancor più valore questa performance come elemento di coesione, e quindi come messaggio di fratellanza e di pace.

Come Sindaco della Città del Tricolore hai posizionato l’ultima bandiera, quella italiana, insieme a me che ho messo la bandiera di un popolo in guerra, quella siriana. Ciò che dici ha ancora più valore, infatti la città di Reggio Emilia è sempre stata un modello di accoglienza. Il distanziamento fisico che stiamo vivendo può nuocere a questa peculiarità della nostra comunità?
Io credo che al di là del distacco tra le persone in questa epoca di Covid il distanziamento è un fenomeno molto attuale. Quando riflettiamo sulla relazione tra Reggio Emilia e la sua storia e le politiche di dialogo interculturali e tra religioni, io credo che dobbiamo allargare l’orizzonte per ripercorrere la storia, per certi versi anche recente, di una città che negli ultimi 25 anni ha attraversato un processo di cambiamento socio-demografico. Mi riferisco al fenomeno dell’immigrazione, che nell’ultimo quarto di secolo è arrivata a circa il 17% della popolazione residente nella nostra città e che al suo interno include quasi 100 nazionalità. In questo percorso penso che la città poteva esplodere nei presupposti fondamentali della sua coesione sociale e civile. La nostra comunità invece arriva nel 2021 alla fine di un percorso iniziato negli anni 90 del secolo scorso, potendosi presentare al mondo come una città che ha trovato le ragioni della propria unità anche a partire dai concetti di diversità. Recentemente il Consiglio Europeo ci ha inserito in un gruppo di 10 città europee del dialogo interculturale.
Questo vuol dire che la sua dimensione valoriale ha saputo essere virtuosa. Questa è stata l’epoca in cui, dal secondo dopoguerra, l’Europa si è trovata a misurarsi con il concetto di diversità vissuta in modo conflittuale, vissuta come generazione di muri. Questa è l’epoca della cultura sovranista e dell’approccio populista. In questo contesto Reggio Emilia è riuscita a fare argine contro questo tipo di penetrazione culturale e ha saputo diventare sempre più la città dei diritti della persona, i diritti civili e più in generale dei diritti umani, favorendo un dialogo interculturale e interreligioso.


Foto di Tomasso Cabassi.

La città di Reggio Emilia ha voluto rigenerare i Chiostri di San Pietro in cui convivono attività sociali e culturali. L’architettura come può investire per creare nuovi spazi fisici e digitali per favorire rapporti sociali e culturali?
Oltre quello che abbiamo detto poc’anzi, un altro dei percorsi importanti che la città ha fatto negli ultimi 15 anni è il modo di ripensare e di rigenerare tanti luoghi e tanti spazi, soprattutto pubblici. È stato fatto sì che la rigenerazione di questi spazi fosse anche una grande occasione di rigenerazione dei legami sociali, nel senso stesso di appartenenza a una comunità.
Per citare alcuni esempi di rigenerazione recente, pensiamo alle tante piazze riqualificate in questa città nell’ultimi 10 anni, pensiamo a luoghi importanti come i Chiostri di San Pietro, o piuttosto a luoghi come la Reggia di Rivalta, di imminente riqualificazione. Luogo importante per la costruzione del modello economico di questo territorio, sono state le ex Officine Reggiane, dove si sta facendo un grande parco dell’innovazione. Ma anche luoghi apparentemente meno noti, come il Binario 49 nella zona stazione. Ne potrei citare tanti altri e potremmo andare ulteriormente più indietro, pensando per esempio quando l’ex fonderia diventa il luogo e la sede della fondazione nazionale della danza o quando invece all’inizio degli anni 2000 i locali dell’ex Locatelli diventano quello che oggi è il centro internazionale Loris Malaguzzi. Se noi mettiamo in fila tutti questi interventi, vediamo una città che si è trasformata e che ha saputo cambiare grazie anche alla rigenerazione di questi luoghi, portando con sé sempre la ricostruzione dei legami sociali, rafforzando il senso di appartenenza alla città. I Chiostri di San Pietro credo che ne siano anche un po’ il paradigma. Pensiamo al fatto che fino al 2005 questo luogo era un portone chiuso. Un giorno quel portone è stato aperto ed è stato restituito alla città. Da lì è partito un percorso di recupero e di valorizzazione, insieme a tante iniziative culturali e sociali che lo rendono oggi probabilmente uno dei luoghi più belli della città. Se mettiamo insieme il percorso sul dialogo interculturale da un lato e dall’altro il grande percorso sulla rigenerazione urbana dello spazio pubblico che questa città ha compiuto negli ultimi anni, capiamo molto del modo in cui Reggio Emilia ha saputo concretizzare una propria originale e autonoma idea di innovazione dentro la contemporaneità.

La guida Michelin in lingua francese indica Reggio Emilia come la città dell’architettura contemporanea all’interno di un sistema emiliano romagnolo. Gli investimenti citati nella rigenerazione urbana, hanno forse aiutato a portare in città una festa dell’architettura come è stata Rigenera. Questa manifestazione si è voluta anche per ridefinire la funzione e la figura dell’architetto, all’interno di un sistema sociale e cittadino, cosa ha portato alla città questa festa?
Rigenera è stato un festival importante, ricco di iniziative di grande valore e qualità, peraltro organizzato in un’epoca difficilissima. Penso davvero che si debbano fare i complimenti agli organizzatori per essere riusciti a mettere insieme questo festival. Rigenera è stata poi occasione di incontro, ha avuto momenti di interesse collettivo, con molta partecipazione. Credo quindi che meriti un grande riconoscimento, non soltanto locale.

Essendo uno degli organizzatori, confermo la difficoltà, ma al contempo le soddisfazioni sono state doppie. Credo che Andrea Rinaldi, il Presidente dell’Ordine degli architetti, colui che ha portato sulle spalle tutta la responsabilità dell’organizzazione, sarà molto contento di sentire queste parole. Potrebbe diventare Rigenera un appuntamento annuale o biennale a Reggio Emilia?
È una valutazione che devono fare gli organizzatori primariamente. Posso dire che l’amministrazione e la comunità accoglierebbe positivamente la continuità annuale o biennale di questa esperienza. Il mio auspicio è che questo momento, fatto di iniziative e di incontri che hanno messo al centro il tema della città contemporanea con la rigenerazione urbana e gli aspetti valoriali rilevanti come il dialogo interculturale e la performance artistica Bandiera del Mondo possa continuare a esserlo anche in futuro.
Il mio augurio è rivolto anche a un’altra cosa, che l’ambizione del progetto sia anche quella di riuscire a partire, come sempre in tutti i festival, dal mondo dei professionisti, degli stakeholder di riferimento, da una comunità riflessiva e consapevole su questi temi. Questo per riuscire a essere sempre più capace di coinvolgere la città nel suo insieme per discutere sui temi di attualità. Questa sì è veramente una sfida del futuro, perché quando si innova in una città, non è affatto scontato che tutti i cittadini comprendano che riqualificare uno spazio pubblico urbano, sia un presupposto fondamentale per la rigenerazione di un sistema di relazioni. Il fatto che l’architettura parta dei propri temi per cercare di arricchire la società e di farla crescere, è un elemento che può trovare in Reggio Emilia un grande fondamento. Il mio auspicio e il mio incoraggiamento è che gli organizzatori pensino seriamente a proseguire questa esperienza e che possa essere integrato con le caratteristiche della quotidianità della nostra città.

Ringrazio il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi per la sua disponibilità, ringraziamo la città intera perché sa essere una città accogliente. Quest’opera installata in città è particolarmente simbolica perché evidenzia il concetto che è neces­sario “amare le differenze” per consentire ai popoli di comple­tare l’opera di umanizzazione già in atto, attraverso un’azione responsabile, concertata e conseguita insieme agli altri esseri umani. Come organizzatore, sono molto contento di aver avuto il privilegio di portare un simbolo così importante che mette insieme tutti i popoli del mondo con le loro bandiere, proprio a Reggio Emilia, Città del Primo Tricolore. Ringrazio Cittadellarte e in particolare gli artisti Michelangelo Pistoletto e Angelo Savarese perché con la loro arte riescono a far riflettere. Questa è l’arte che cambia il mondo!

Intervista di Giacomo Bassmaji in collaborazione con Tommaso Cabassi.

Crediti immagine di copertina: Chiara Nizzoli.