Prendendo spunto da un testo di Francesco Monico (è possibile leggerlo cliccando qui) risultato dell’esposizione Welcome to Educene presentata a Milano Invisibile sabato 12 ottobre 2024, presso Parco Center Milano per Aleotti Lab, mi torna in mente Antonio Lubrano e la sua “una domanda mi sorge spontanea”. Ma l’educene è effettivamente una novità? Cosa significa educare, costruire e trasmettere la conoscenza rappresenta da sempre tema e sfida di ogni attualità, che a priori cerca nuove e sensazionali soluzioni e che a posteriori misura incertezze se non fallimenti che però, in una nostalgica rivendicazione dei tempi che furono, finiscono per il barricarsi in un “si stava meglio quando si stava peggio” statisticamente falso e fuorviante. A meno che non si è disposti ad accettare l’immobilismo. Incertezze e fallimenti, quei ‘no’ ricevuti o trovati che ci permettono di crescere e che sono alla base della scienza, perché la scienza è alimentata dal dubbio e se il dubbio non c’è non possiamo nemmeno avere la ricerca.
Ma la ricerca di chi? È sicuramente un tema l’intelligenza artificiale, di cui tutti sappiamo qualcosa e che volontariamente o involontariamente abbiamo già usato e forse abusato. Magari in meno, molti meno, sappiamo che già dall’IA dobbiamo distinguere o sotto distinguere la CAI, ossia l’Intelligenza Artificiale Computazionale. Quell’insieme di sistemi e di capacità di elaborazione massiccia che si unisce agli algoritmi per calcolare potenzialmente tutto, o quasi. Già, il ‘o quasi’, che ora come ora in una proiezione futura dispotica è l’unica cosa che sembra continuerà ad appartenerci e che potrebbe fare la differenza. Non sapere, ma capire. Non è forse quanto ci è stato sempre chiesto a scuola? Certo le basi sono le basi e non possono essere ignorate o evitate, ma poi? Se proviamo a chiedere a ChatGPT che cosa è il pensiero critico nella scuola la risposta iniziale è che si tratta di “un approccio educativo che incoraggia gli studenti a analizzare, valutare e interpretare informazioni in modo autonomo e riflessivo”. Successivamente va a effettuare una serie di specifiche per capacità che automaticamente sistemizza in bullet point. Ecco, se c’è una cosa che ho sempre associato alla scuola e/o al mondo dell’educazione è l’elenco puntato. Dove il poter spuntare come fatta ognuna delle singole voci diventa discriminante non di comprensione, processo e capacità applicativa, ma di deresponsabilizzazione sistemica o sistematica. Parafrasando Victor Hugo: l’elettricità è l’unica cosa che conta?
Perché se le energie che fanno andare avanti il motore non sono l’amore, l’emozione, il sentimento e quindi la costruzione di un sistema valoriale attraverso il quale saper scegliere e distinguere, saper cadere e rimettersi in piedi, crescere e capire che si sta imparando, cosa succederebbe al mondo se si spegnesse la luce? Dopo qualche primo attimo d’incertezza subentrerebbe la violenza. Senza ombra di dubbio si azzererebbe qualsiasi progresso della cultura umana a favore della nostra natura, che seppur capace di sentimenti e slanci emotivi di grandissimo amore e rispetto nei confronti dell’altro, è mediamente prevaricatrice e possessiva tanto da chiudersi in momenti di difficoltà sul sé stessa e pronta alla lotta per il ‘mio’ e al massimo il ‘nostro’. Dove investire allora per il futuro? Intanto sulla memoria, non solo digitale, ma anche e forse soprattutto analogica, perché quella è la nostra storia nel bene e nel male e va analizzata oltre che conservata. Memoria che in questo momento vive un doppio pericolo. Da una parte l’assenza del supporto fisico cancellerà il come eravamo, abbiamo migliaia di immagini sul cellulare che spesso non significano nulla e nessuna fotografia appesa al muro o in un contenitore da sfogliare la volta che va. Dall’altra continueremo ad affidarci ad algoritmi che sceglieranno per noi attraverso enormi calcoli computazionali che però, magari, non diranno la cosa più semplice e forse giusta, perché mai scritta su di un elaboratore.
Alcuni anni fa ho preso parte all’inaugurazione di una mostra di Giulia e Karolina Lusikova, madre e figlia, Utopie Elettriche che introduceva un nuovo modo di elaborare la stampa di trattati e dimostrazioni scientifiche storiche che a inizio novecento vennero provate o abbandonate, attraverso il ritaglio, la sovrastampa e l’acquerello. I lavori del duo Lusikova divenivano un mix tra vero, verosimile e fantasia che però ai tempi veniva accettato come buono, mentre magari si derideva la scoperta di una delle leggi che governa l’universo. E se stessimo istruendo il vero complottista? La trinamica, concordo con Francesco Monico, può essere il vero aiuto. Non solo perché con la formula della creazione dove uno e uno è uguale tre si pone l’accento sulla diversità e la non omologazione, ma soprattutto perché il 3 non è dato, ma è risultante di un processo che accetta l’ipotesi della variabilità: l’unica cosa veramente immutabile è il cambiamento. Pensiero critico libero dai bullet point? Forse, serviranno anche quelli, ma decisamente il riappropriarsi di quel libero arbitrio che nel binomio libertà – responsabilità diviene responsabile arbitrio e, tendenzialmente, vero ultimo baluardo all’appiattimento culturale, se di culturale avrebbe ancora qualcosa.
Il caso Carello e la doppia riprova. Alcuni giorni fa mi trovavo a Cittadellarte e nella scorsa mattutina di Facebook mi compare riferimento alla canzone del 1979 Barbara di Enzo Carella. Non ho la minima idea del perché, forse cliccata da qualche social-contatto. Comunque ci feci caso perché per assonanza mi aveva fatto venire in mente un vecchio collega dei tempi assicurativi. Inizia la giornata e ti passa di mente. Il treno per tornare verso Roma con i suoi numerosi cambi era in orario e quindi c’è il tempo di passare alla lounge. E di sentirsi chiamare. Mi giro: Enzo Carello… dopo circa vent’anni. Coincidenza o calcolo delle probabilità? Doppia riprova: appena scritto il caso Carello poche righe fa, dal daily mix di Spotify parte Barbara di Enzo Carella. Forse sarò ‘analogico’ ma spero ancora fortemente che possa essere il caso a governare la nostra vita e che ci faccia ancora innamorare di una materia, di uno sport o di una canzone perché abbiamo avuto un bravo insegnante o esempio illuminatore. Intanto mi aggiorno e cerco di rimanere al passo, perché altrimenti la comunicazione intergenerazionale diventa ai limiti dell’impossibile.