Se pensate che la pace non sia naturale, né tanto meno automatica, allora sarete anche con voi dell’idea che la pace bisogna crearla, sempre che uno la desideri ovviamente.
In queste righe esploriamo questa idea.
Personalmente già solo il fatto che la pace si debba creare per averla (cioè che non la trovi già fatta nella vita) è per me un motivo sufficiente per coltivare la capacità di creare e quindi imparare l’arte! Il testo che segue tratta di questo argomento. Che potremmo anche esprimere così: a che cosa serve questo Terzo Paradiso? A che serve l’arte?
Parlando di arte, andiamo dunque nello specifico e vediamo come il simbolo del Terzo Paradiso sia addirittura un simbolo di ‘costruzione della pace’.
Prima di tutto, il simbolo del Terzo Paradiso descrive il fatto che tra la natura (generalmente rappresentata dal cerchio di sinistra, poiché chi legge da sinistra incomincia da sinistra) e l’umano, c’è la possibilità di un incontro propositivo, generativo. Infatti, il cerchio centrale è uno spazio dove la natura può incontrare l’artificio umano, individuato dal cerchio di destra, ci può può convivere con questo artificio: è un grande cerchio in mezzo, vuoto, anche bello esteticamente, tutto tenuto insieme con misura e proporzione, due cerchi uguali ai lati e nel centro un altro cerchio grande come loro due insieme. Però il cerchio centrale non viene a mangiarsi gli altri due da cui proviene, anzi: li tiene uniti!
Prima che si formi il simbolo del Terzo Paradiso, questo incontro tra opposti può portare tre tipi di esiti: può essere sterile; oppure deflagrante e distruttivo (almeno per noi umani e altre specie innocenti); oppure, infine, può essere generativo. Se si tratta di questa terza possibilità, allora prende forma il simbolo dei tre cerchi.
Ed è proprio in questa terza possibilità che sta, secondo me, l’attrazione che il simbolo esercita. In qualche modo possiede una bellezza che parla alla nostra mente e ci fa capire che c’è un segreto: noi capiamo che quel simbolo significa qualcosa di bello, di importante a cui in fondo tendiamo da sempre, senza neanche saperlo. E questo è l’armonia, l’equilibrio, la bellezza, la pace che si generano quando incontriamo gli altri e l’altro.
In secondo luogo, oltre alla nostra coesistenza in armonia con la natura, il simbolo del Terzo Paradiso rappresenta la creazione in sé. Infatti, descrive ciò che avviene quando due cerchi opposti si incontrano e insieme creano; per farlo, però, occorre ovviamente che si incontrino nel modo giusto, per così dire: cioè, in quel modo grazie al quale appunto creano qualcosa che prima non c’era. Questo fatto è proprio la spiegazione base del creare. Quindi, il simbolo del Terzo Paradiso è simbolo della creazione.
Ma perché dovrebbe essere collegato alla pace, al di là del fatto che indica come si possa trovare uno spazio di armonia nel rapporto tra natura e umano? La risposta è appunto che i due cerchi laterali rappresentano tutte le possibili antinomie. Tutte le coppie di elementi diversi o opposti si comportano come il simbolo descrive, quando il loro incontro non esplode nel conflitto distruttivo, ma si esprime nella creazione e nella generazione di ciò che prima non c’era.
Si potrebbe dire che la natura, per la verità, è anche lei piuttosto esperta di generatività. Ed è vero: non è che possiamo arrogarci il titolo di unici creatori su questo pianeta. Infatti, la natura si chiama così proprio per quello: natura significa che sta per nascere, che deve nascere, che nascerà. Una bella definizione di generatività.
Quindi la natura per natura non è statica; piuttosto è continuamente in corso di generazione. Infatti, proprio per questo motivo, la natura ci attrae. Spesso, il grande buco interiore dello spirituale che in noi alberga si apre e si riempie proprio grazie alla natura. Sia per i suoi aspetti terrifici e sublimi, sia per la capacità di curare i mali e riunirci all’altro. Allora: se la natura già fa da sola ciò che serve, non sarà ora di lasciarla in pace?
Che bisogno c’è ora di lavorare sulla generatività con un simbolo, un concetto, un discorso, un progetto come il Terzo Paradiso? Non basta tornarvi, alla natura? Sprofondare nel mare dell’incommensurabile e nei cicli planetari delle trasformazioni, perdersi nell’essere e nel divenire, lasciare gli idoli e le credenze della cultura e delle culture, abbandonare l’artificio, rinnegare la coscienza, la riflessione, la tecnica, la scienza e il progresso?
Molti, ahimè, rispondono affermativamente a queste domande retoriche. Alcuni auspicano un eden dove l’umano – se proprio dobbiamo tenerlo – sia pienamente integrato alla natura senza pensiero, coscienza e intenzione. Le altre specie, dicono, staranno per lo più meglio senza di noi. In effetti, è vero che avranno un pericolo in meno da affrontare, ma gli resteranno comunque parecchi guai: come si sa, comete, glaciazioni, ecc… e poi quell’imprevedibile meccanismo della mutazione genetica casuale che è capace di cambiare tutto in poche generazioni o anche solo una!
Possiamo allora dire che la pace sarebbe naturale, se solo non ci fossero gli umani? Be’, non dimentichiamo che molti animali devono seguire l’eterotrofia, cioè, sbranarsi gli uni con gli altri. Forse agli occhi di un filosofo tutto il sangue versato quotidianamente per sfamare i milioni di predatori sulla Terra sembrerà tutto sommato un’oscillazione irrilevante nell’equilibrio generale e fisiologico del Pianeta. Personalmente quando immagino la pace non la associo alla naturalissima necessità di ragni, leoni, balene e lupi di troncare la vita di altri animali viventi. È vero che loro non conoscono il sadismo, invenzione squisitamente umana, tuttavia non mi sembrano per nulla vivere un’esistenza di pace universale e cosmica armonia.
Passando agli umani – visto che in natura non abbiamo trovato la realizzazione automatica e costante della pace – constatiamo con piacere che siamo tra quelle specie che possono benissimo fare a meno di predare gli altri animali (e tanto meno gli altri umani, almeno in teoria!) perché possiamo felicemente attenerci a un regime vegetariano o vegano. Peccato, però, che per gola, divertimento e sadismo, aspiriamo con quasi incrollabile determinazione a un’alimentazione eterotrofica, trasformando così il pianeta in un immenso mefitico campo di concentramento, con camere delle torture, forni, tombe di massa e industrie dell’orrore, per animali non umani (purtroppo frequentemente ne abbiamo anche per umani, in realtà).
Dunque, non possiamo affermare con tutta serenità che la pace sia di casa su questo pianeta. La pace non sembra essere né una condizione naturale automatica, né tantomeno il tipico esito dell’operare umano, del paradigma (o paradiso) artificiale. Ecco spiegato, allora, perché c’è bisogno di generatività se proprio vogliamo scovare la pace su questa Terra: bisogna inventarla. Non ce la troviamo pronta, bell’e fatta. La dobbiamo creare, la pace, qualunque cosa sia.
È un compito riservato agli umani? Non direi. A volte a ben guardare (e per ‘ben guardare’ basta leggere i racconti di divulgatori scientifici come Carl Safina, ad esempio) sembra che gli animali sappiano benissimo di che cosa parliamo quando diciamo pace: pensiamo alla società dei bonobo, o degli elefanti, o alle reti di funghi connessi dal micelio con alberi e piante e chissà che cosa che ancora non abbiamo capito.
Quindi, se sono convinto che la pace non sia automatica e naturale, non mi sento nemmeno di condividere l’idea che la pace sia un artefatto assolutamente e solamente umano. Diciamo che la pace non è questione facile né per la natura né per noi.
Ma si può fare. Esiste ed è esistita, sulla Terra. Con noi e senza di noi.
Che cosa serve allora per fare la pace? Evidentemente bisognerà saperla inventare. Serve dunque la capacità di creare. Se ci si domandava che cosa tutto questo discorso sulla pace avrebbe a che fare con l’arte, ora sarà piuttosto evidente: l’arte è creazione, e senza creazione la pace non si dà.
Quanto accennato è evidentemente molto connesso con il simbolo del Terzo Paradiso. Come si sa, questo nasce a Biella nel 2002, cioè nei mesi successivi all’attentato delle Torre Gemelle del settembre 2001. In quei mesi, l’Amministrazione Bush stava contribuendo alla costruzione del caso per scatenare la guerra in Medio Oriente e giustificare l’invasione dell’Iraq: veniva infatti ripresa la famigerata dottrina della guerra preventiva, già diffusa negli anni ‘40 negli Stati Uniti e in Europa. Non si diceva che si voleva fare la guerra, al contrario: si volava proprio la pace, dicevano tutti. Purtroppo però, non senza un certo sense of humour, bisognava passare dalla guerra. E quindi per l’orrore e il dolore di migliaia di persone, per anni e anni, per lo più gente innocente e persino del tutto ignara di che cosa stesse succedendo. Ovviamente e d’altra parte, le dottrine come la guerra preventiva, e tutte le guerre in generale, comportano anche profitti immensi, ciò che probabilmente ne costituisce la vera ragione.
Torniamo al Terzo Paradiso. L’elaborazione del simbolo – e del concetto che esso rappresenta: l’incontro generativo e armonizzatore tra opposti – si svolge dunque nella stessa situazione mondiale in cui riemerge l’idea della Guerra Preventiva. In quegli anni Michelangelo Pistoletto e Cittadellarte vengono a elaborare e promuovere invece l’idea della Pace Preventiva (citiamo ad esempio la mostra a Palazzo Reale di Milano del 2023, Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva). Non sfuggirà che rispetto alla dottrina della guerra preventiva, la pace preventiva suona meno assurda, più logica e convincente, se non proprio anche più desiderabile.
Ora, invece, dobbiamo ancora occuparci della guerra. Ma da dove viene questa guerra?
Abbiamo trattato nei primi paragrafi di questo testo come il simbolo del Terzo Paradiso rappresenti la pace in quanto simbolo dell’armonia generatrice tra opposti. Questi opposti non sempre provengono dall’altro da sé. Per noi umani, come predetto da una certa interpretazione dei calendari Maya, il vero pericolo che corriamo lo abbiamo creato noi stessi. Di fatto, siamo in guerra contro noi stessi. Altro che pace automatica, naturale o artificiale che sia. La guerra viene proprio da noi stessi. È una cosa che facciamo noi. La creiamo noi!
Nel 2018, intervenendo al Forum Politico di Alto Livello sulla Sostenibilità alle Nazioni Unite di New York, descrivevo come la Terza Guerra Mondiale fosse già in atto: non si trattava, dicevo, di una guerra di uno Stato contro un altro, ma di un assedio di noi stessi contro noi stessi. Il nostro modo di vivere è tanto tossico che rappresenta la più seria minaccia alla nostra sopravvivenza. Questo è evidente se si guarda al clima, alle filiere agroalimentari, alle condizioni di vita nelle città, allo stato degli oceani e probabilmente a ogni altro aspetto del nostro modello di cosiddetto sviluppo. Dal 2018 a oggi, 2025 le cose sono persino peggiorate, anche se c’è chi prova ancora a negare tutto questo e propone allegramente di migrare verso altri pianeti, mentre si deportano i migranti tra gli Stati di questo pianeta.
Rispetto a questo scenario in cui l’umano si pone come minaccia alla propria sopravvivenza sul Pianeta, che cosa rappresenta il progetto del Terzo Paradiso? Abbiamo visto in questi anni che viene compreso come un’efficace formulazione di dove dobbiamo andare, cioè un modo efficace per esprimere e intendere l’obbiettivo su cui impegnare le nostre risorse. Infatti, il Terzo Paradiso indica come meta globale la generazione di armonia ed equilibrio nel nostro rapporto con la natura.
E la pace? Questa armonia è espressa nel modo più chiaro e completo dall’idea di pace. Fare pace con il Pianeta è l’impegno che questo secolo ha davanti a sé. Il Terzo Paradiso lo dice forte e chiaro.
Una volta che ci siamo intesi su questo, allora possiamo approfondire i modi e i settori per metterlo in pratica, questo obbiettivo. Il progetto è tanto immenso, e tanto urgente, che ci si rende conto in fretta che in realtà non solo non si tratta di utopia, ma che invece c’è pure da guadagnarci: questa pace mondiale può generare una rivoluzione industriale, tecnologica, sociale e politica che includerà tutti gli aspetti della nostra vita, da come ci nutriamo a come ci vestiamo, alle nostre case, alle città, all’energia…
Ora che abbiamo visto alcuni aspetti del rapporto tra pace e creazione e dunque simbolo/concetto/formula del Terzo Paradiso a livello globale e storico, vorrei volgere lo sguardo a un’altra dimensione che mi sta a cuore, che rappresenta la direzione seguita da Cittadellarte in questi ultimi anni e che è determinante per realizzare il sogno della pace mondiale: la nostra vita quotidiana.
Il simbolo del Terzo Paradiso, abbiamo visto, si applica alla dimensione globale, in quanto indica la bussola per la nostra sopravvivenza e prosperità; ma è uno strumento altrettanto utile quando sia portato alle dimensioni più immediate e prossime delle attività quotidiane in cui impegniamo la nostra vita attiva, richiamando la nota espressione della Arendt. Infatti, è proprio alla dimensione del quotidiano che si costruiscono le comunità di pratica. Con questo termine intendo ogni tipo di organizzazione che raggruppa le persone in base all’attività che in essa viene svolta, generalmente di tratta di gruppi uniti dalla dimensione del lavoro. Le comunità di pratica sono l’elemento alla base della mia visione sociale, da cui nasce l’idea della Demopraxia. Il concetto e l’espressione Demopraxia sostituiscono al kratos il termine praxis, appunto, la pratica, il fare, il realizzare, in linea con il principio per cui creare è la base del prendersi la responsabilità del creato.
Queste formazioni sociali fondate sulle pratiche agiscono nel tessuto sociale come micro-governi de facto. Questo vale per ogni cultura e contesto storico. Sempre e comunque, infatti, resta alle varie formazioni sociali un margine di autonomia, cioè di governo. Moltiplicato per il numero di organizzazioni, questo magari esiguo margine diventa enorme, capace persino di misurarsi con il potere (kratos) del governo istituzionale. La demopraxia mira a promuovere l’integrazione tra le organizzazioni (comunità di pratica) unite e le istituzioni nazionali e internazionali, dai governi statali alle Nazioni Unite: si tratta cioè di integrare all’organizzazione delle Nazioni Unite, le nazioni delle organizzazioni – cioè delle comunità di pratica – unite. Queste organizzazioni distribuite ovunque nel tessuto sociale, produttivo, culturale delle nostre società sono esattamente il luogo dove si forma il potenziale di responsabilità e cura di cui abbiamo sempre più urgentemente bisogno, poiché, come detto innanzi, in esse si svolgono le attività tramite cui diamo forma alla società, creiamo e modifichiamo il nostro stesso mondo, arrivando ormai, nell’epoca dell’antropocene, a modificare in modo determinante lo stesso Pianeta Terra.
Sottolineo un aspetto fondamentale: responsabilità e cura sono caratteristiche di chi crea, perché dalla facoltà del creare derivano direttamente libertà e autonomia senza le quali non si hanno fondamenta né per la responsabilità, né per la cura. Si tratta di un principio fondamentale alla base della visione di Cittadellarte: la responsabilità deriva dalla libertà, la libertà comporta necessariamente responsabilità.
Tornando alla pace e al rapporto con il Terzo Paradiso e l’arte in genere, notiamo che se la pace va creata, bisognerà pure che se ne occupino coloro che possono creare. Gli altri potranno decidere di applicarla o meno, come possono invece decidere di optare per la guerra mondiale, condotta attraverso lo sfruttamento sconsiderato delle persone e delle risorse naturali. Occorre, dunque, che investiamo su quelle persone e organizzazioni che si occupano di creare, di avere cura, che sentono la responsabilità, e provano un’urgenza ad impegnarsi per cambiare quanto possibile le cose… Passiamo dunque così dalla dimensione globale e storica, a quella quotidiana dove abitiamo e agiamo noi. E scopriamo che in effetti il creare e il prendersi cura con responsabilità delle persone e delle cose intorno a noi sono tutte questioni alla nostra portata. Ci sono molte persone la cui vita gira proprio intorno a queste situazioni.
Ezio Manzini tra gli altri ha elaborato ampie riflessioni e ricerche lungo questa traiettoria, in particolare nel volume dedicato alle politiche del quotidiano, “quelle che ciascuno di noi mette in atto perseguendo i propri progetti di vita. Possono condurre verso nuove forme di solitudine connessa, oppure contribuire a creare comunità flessibili, aperte, inclusive e, per questo, socialmente sostenibili”.
La dimensione del quotidiano è proprio quella dove abitano e agiscono le comunità di pratica. Di fatto, e in modo forse banale, constatiamo che tutto ciò che avviene durante la nostra giornata è conseguenza di cause, cioè viene determinato. Gli eventi sono causati da forze in azione, che si tratti del ritardo del tram o dell’aumento di stipendio o del sorriso di una persona per cui inciampa il nostro cuore. Tutto questo ecosistema è forse automatico? C’entriamo qualcosa noi? È tutto affidato al caso, alla concatenazione perfetta di cause e effetti? Possiamo contribuire a causare il caso, per così dire, cioè a co-determinare i fatti che ci accadono? E se rispondiamo in modo affermativo, allora: come? Che cosa serve? Serve forse anche in questo caso la creazione di ciò che ancora non c’era? Serve forse una formula che ci aiuti a pensare il creare e ad applicarlo in ogni ambito della vita attraverso il principio di mettere insieme due cose diverse e trovare un equilibrio? Serve forse il principio della pace tra opposti, pace preventiva, dinamica e generatrice?
A Cittadellarte pensiamo che a tutte queste domande si possa rispondere che sì, è proprio così: il Terzo Paradiso rappresenta esattamente i motivi e i modi di esprimere e perseguire questo ‘sì’.