Arte dell’equilibrio #24 | Francesca Santolini, dove abiterai?
La giornalista è la 24esima ospite de “Arte dell’equilibrio / Pandemopraxia". Francesca Santolini, esperta di tematiche ambientali, risponde alla domanda dell'iniziativa lanciata da Cittadellarte facendo un salto in avanti nel tempo di 10 anni. La sua narrazione presenta un futuro di sostenibilità e innovazione in Italia dal punto di vista ambientale, sociale, urbano e professionale; prospettive positive colorate di responsabilità e speranza che immagina siano state originate dal post Coronavirus. Quello che è stato ed è un virus potrebbe accendere la scintilla della rinascita: "Il passaggio è avvenuto nel 2020, quando una pandemia globale ci ha catapultati in un futuro che non avevamo saputo costruire prima. È stata la nostra risposta al Covid-19 che ha cambiato la storia".

Dove abiterai?
Marzo 2030, dieci anni dall’epidemia. Abito in Italia, ma l’Italia è cambiata. Perché è cambiato il mondo: gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite sono stati pienamente raggiunti, e la parola ‘Ambiente’ è diventata un paradigma capace di tenere insieme le società del mondo, che sono ormai capaci di preservare le proprie originarie caratteristiche, ma nello stesso tempo di condividere sentimenti e valori comuni all’intera umanità.
Ironia della sorte, il passaggio è avvenuto nel 2020, quando una pandemia globale ci ha catapultati in un futuro che non avevamo saputo costruire prima. È stata la nostra risposta al Covid-19 che ha cambiato la storia. I cambiamenti degli stili di vita che si sono verificati dopo la fine della crisi hanno modificato radicalmente il modo in cui lavoravamo, studiavamo, ricevevamo assistenza medica, abitavamo, facevamo acquisti e consumavamo cultura. La pandemia ha spinto i governi ad investire in modo massiccio sulle infrastrutture informatiche, e la rete internet ha raggiunto in pochi anni quelle aree del pianeta dove prima era ancora debole o assente. Questo ha consentito agli individui di assumere un controllo maggiore delle proprie scelte: possiamo scegliere dove abitare e dove lavorare; consumiamo meno risorse, acquistiamo meno, ma con più consapevolezza. La tendenza a concentrarci nelle grandi città ha subito una decisa inversione. Nella vita dopo il Coronavirus sono emersi nuovi modelli di suburbanizzazione, e forse proprio l’idea di ‘distanziamento sociale’ ha ispirato quella di ‘distanziamento urbano’. La vita nelle piccole città è diventata più attraente quando i beni e le offerte culturali una volta disponibili solo nelle grandi città sono stati resi prontamente disponibili online o con la consegna in giornata. Così anche gli spettacoli dal vivo e le occasioni culturali si sono diffuse su tutto il territorio, moltiplicandosi e diversificandosi.

La chiusura di tutte le attività e il lavoro da casa, cui siamo stati costretti tutti per un certo tempo durante la pandemia, ci ha fatto scoprire una dimensione diversa dell’abitare. Così le nostre case sono state riprogettate e adeguate a una vita diversa: non più concepita come dormitorio dove ritirarsi sfiniti dalla giornata lavorativa, la casa dispone ora di spazi attrezzati per il lavoro a distanza, ma è anche possibile fare due passi per lavorare in uno spazio condiviso di quartiere, dove ognuno si collega con il proprio luogo di lavoro. La pandemia ha insegnato l’importanza di balconi, terrazzi, cortili e giardini, condominiali e di vicinato. L’approccio verde all’edilizia dissemina gli spazi di piante disposte per rinfrescare l’aria e per purificarla.
Da quando la paura del contagio ci ha reso diffidenti nei confronti dei trasporti collettivi urbani, abbiamo ripensato gli spazi favorendo spostamenti autonomi, se possibile a piedi, riducendo gli spostamenti tra zone molto distanti della città e i pendolarismi per lavoro.

A Parigi si era cominciato a riflettere già prima della pandemia su un modello alternativo a quello della metropoli novecentesca. L’avevano chiamata Ville du quart d’heure (città del quarto d’ora). Per limitare l’inquinamento, e poi anche per consentire il distanziamento fra le persone ed evitare i vagoni affollati del Metro, Parigi si è impegnata perché i suoi cittadini potessero raggiungere tutto ciò di cui hanno bisogno in un quarto d’ora a piedi o in bicicletta: luoghi di lavoro, scuole, negozi, supermercati, parchi pubblici, palestre e impianti sportivi. La città del quarto d’ora riduce al minimo gli spostamenti consentendo così trasferimenti che favoriscono l’attività fisica.
Prima del 2020, le città occupavano appena il 2 per cento della superficie terrestre, ma consumavano tre quarti delle risorse usate ogni anno e producevano nuvole di gas serra, miliardi di tonnellate di rifiuti solidi e fiumi di esalazioni tossiche. I loro abitanti stavano sfruttando in modo sconsiderato i terreni e le risorse idriche per produrre cibo, e le foreste per ricavare legno e carta.

Oggi non è più così. Niente più odori di tubi di scappamento e di rifiuti abbandonati lungo le strade. Le auto usano motori a idrogeno e producono un centesimo dell’inquinamento di un tempo. Anche il problema della raccolta dei rifiuti, che era l’incubo dei sindaci prima della pandemia, è stato ormai risolto: i sistemi di automatizzazione della raccolta pneumatica di rifiuti partono dai ‘cestini’ pubblici o condominiali, e sospingono con l’aria i rifiuti attraverso dei condotti in un locale di accumulo, dove quasi tutto viene riciclato e rientra nel processo di consumo.
Anche l’aspetto estetico delle città è molto cambiato. La bellezza delle città italiane deserte e silenziose durante i mesi della clausura ha toccato il cuore degli amministratori, che hanno attuato un grandioso piano per liberare le strade e le piazze dalle auto parcheggiate e dal traffico perenne. La localizzazione del lavoro e dei servizi riduce già di per sé la circolazione e il bisogno di parcheggi, e il resto lo fanno i grandi silos sotterranei che nascondono le auto alla vista. Più verde, meno rumore, quasi nessun incidente, aria migliore. E tante persone che si sono trasferite ridando vita ai centri minori italiani, luoghi di vita eccellente, non più abbandonati dai servizi dello Stato.

 


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