Ricorre ancora un volta il tema dello spreco della plastica: negli ultimi anni numerose politiche ambientali sono state portate avanti con l’intento di disincentivarne l’utilizzo e ridurne il consumo per cercare di arginare l’inquinamento da esso derivato. Ad oggi, risulta ancora lontana l’idea di trovare una soluzione definitiva. Nell’attesa, i governi stanno agendo per piccoli passi, nel tentativo di migliorare gradualmente la critica situazione ambientale.
I vantaggi dell’introduzione di questa alternativa dei sacchetti riutilizzabili sono evidenti: innanzitutto incentivano il consumatore ad essere più consapevole nei confronti dello spreco eccessivo della plastica; i clienti, infatti, possono portare da casa qualsiasi tipologia di retina o sacchetto purché esso sia nuovo, monouso, compostabile e adatto al contatto con la frutta e la verdura.
Come garantire, tuttavia, la loro conformità? Sin da subito si presenta un primo ostacolo: come sottolinea il Consiglio di Stato, infatti, occorre che in ciascun supermercato si istituiscano controlli sistematici sui sacchettini impiegati. Un sistema macchinoso che oltre a prevedere ulteriori costi, rallenta la spesa.
Se da una parte i consumatori potrebbero essere incentivati a comprare la frutta sfusa, dall’altra, potrebbero per pigrizia essere indirizzati all’acquisto di prodotti già confezionati. In questo caso non solo rimarrebbe irrisolto il problema, ma il consumo di plastica degli imballaggi aumenterebbe nettamente. Secondo i dati raccolti dall’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), le vendite di prodotti preconfezionati si è innalzata dal 29% al 32%, dato che sembra essere destinato a crescere. Anche le ricerche svolte dal direttore dell’osservatorio di Italiafruit Roberto Della Casa, docente presso l’Università di Bologna, dimostrano che la percentuale di prodotti preconfezionati acquistati è aumentata, nello specifico per la frutta, di circa il 12%. Ci troviamo di fronte, dunque, ad un comportamento apparentemente paradossale, soprattutto dal momento che i costi dei prodotti ortofrutticoli confezionati sono, in media, superiori del 43% rispetto a quelli sfusi.
Portare confezioni o imballaggi personali, inoltre, risulta scomodo per la taratura delle bilance su cui pesare la frutta e la verdura: essa è infatti standardizzata per i sacchettini distribuiti all’interno dei market e andrebbe ricalibrata a seconda del peso di ciascuno specifico contenitore portato da casa.
Per evitare l’utilizzo della plastica, oltre alle comuni buste biodegradabili (riutilizzabili eventualmente come sacchetti per l’umido), sono entrate in uso bags di carta o di cellulosa. Spesso, oltretutto, le shopper compostabili vendute non sono del tutto riciclabili, in quanto la legge riconosce la biodegradabilità se lo sono almeno per il 40%. Secondo una simulazione effettuata da un gruppo di biologi dell’Università di Pisa guidati dalla docente Elena Balestri, addirittura risulterebbe più degradabile un sacchetto di polietilene rispetto ad uno convenzionalmente riconosciuto come compostabile.
Resta dunque insoluta la reale utilità di questa manovra: a livello politico e mediale potrà anche risultare un efficace strumento di sensibilizzazione, ma solamente nel lungo periodo si potrà valutare l’effettivo impatto che avrà nei livelli di consumo di plastica.