Il pianeta tossisce, è in affanno, debole. Una malattia chiamata ‘essere umano’ sta continuando a intaccarne la salute. I segnali negativi si susseguono e alcune anomalie sono davvero lampanti anche agli occhi di chi crede che il cambiamento climatico sia credibile quanto una fiaba per bambini o alla stregua di una strategia politica. Quello arrivato nelle ultime settimane è l’ennesimo campanello dall’allarme che la Terra sembra aver lanciato. Questa volta l’anomalia si è registrata sulla Riviera Siberiana, dove, sabato 20 giugno, nei termometri si è letto ‘38 gradi’. Un dato che sembra iperbolizzato se si considera che l’area in cui si è toccata quella temperatura è considerata tra le più fredde al mondo. E il giorno seguente si sono superati i 35 gradi. Questo è quanto avvenuto nella città di Verkhoyansk, in Yakutia, regione al di sopra del Circolo polare artico russo (di norma, a giugno la cittadina in questione registra una temperatura che si aggira intorno ai 13 gradi). Un caldo record per la Siberia a queste latitudini (da quando sono cominciati i rilevamenti nel 1885), che supera quello della cittadina di Fort Yukon, in Alaska, dove nel giugno 1915 ci fu una temperatura di 37,8 gradi centigradi. Quello che impressiona è proprio come nel cosiddetto ‘Polo del freddo’ stia continuando un’ondata di calore paragonabile a quelle delle località balneari del Mediterraneo in piena estate. Basta considerare i numeri per capire la gravità della situazione: a Verkhoyansk d’inverno la temperatura arriva di norma ai 40 gradi sotto zero (con picchi di meno 60°). E ora i 38 gradi… quasi 100 di differenza. Un numero che parla da sé.
L’anomalia sulla Rivera Siberiana, come intuibile, non è isolata ai giorni di giugno: l’ondata di caldo estesa a parte del Circolo polare artico, secondo il Copernicus Climate Change service, è iniziata a marzo ed è continuata ad aprile e maggio (mese più caldo, con una temperatura media 10 gradi circa più alta del normale). Poi a giugno, il record. E la World Meteorological Organization prevede che questa situazione potrebbe proseguire fino ad agosto. Greenpeace ha dato l’allarme in una nota, ancor prima che si verificasse il picco: “Negli ultimi 30 anni l’Artico si è riscaldato a una velocità due volte superiore alla media globale. E le conseguenze di questo processo iniziano a farsi vedere con tutti i loro devastanti effetti”. L’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver nel 1971 ha inoltre sottolineato come l’aumento delle temperature nella zona artica porti con sé due fenomeni che aumentano il surriscaldamento globale, ovvero lo scioglimento del permafrost e gli incendi nella tundra. Quest’ultimo, infatti, è un fenomeno che si intensifica con un clima eccezionalmente caldo e secco e, se si considera che nel 2019 i roghi avevano bruciato oltre tre milioni di ettari di terra, quest’anno la stagione si preannuncia ancora peggiore. La testata giornalistica Internazionale, in un articolo, ha citato anche una nota del climatologo Jeff Berardelli, che paventa come temperature come quelle registrate a Verchojansk potrebbero diventare la norma nell’Artico verso il 2100, se il cambiamento climatico proseguirà di questo passo. Quello che è certo, è che questo trend non può continuare. L’Accordo di Parigi – al netto dell’ormai noto dietrofront di Trump – deve essere ora più che mai priorità globale.