Allarme acqua dolce: il cambiamento documentato dai satelliti
Una recente ricerca svolta dalla Nasa e dall’Agenzia spaziale tedesca sottolinea l’aumento di scarsità di acqua dolce in diverse aree del pianeta. Cambiamento climatico? Impatto umano? Qualsiasi siano le cause, è importante non abusare di questa preziosa risorsa. In Cina, lo scienziato Yuan Longping scopre metodi alternativi di coltivazione.

La missione nasce nel 2002 dalla coalizione tra Nasa ed Agenzia spaziale tedesca (Deutsches Zentrum für Luft und Raumfahrt – DLR): la raccolta di dati satellitari e terrestri, sino al 2016, ha portato a risultati preoccupanti per il futuro di diverse zone del pianeta. I satelliti Landsat e, in particolare, i satelliti GRACE (Gravity Recovery and Climate Experiment) hanno messo in luce il rischio per l’acqua dolce di diventare una risorsa esigua, reagendo negativamente all’impatto umano e climatico e portando, così, ad una minaccia per la sicurezza alimentare.
Le falde acquifere, la terra, l’acqua di superficie, la neve e il ghiaccio sono elementi che, in assenza di mutamenti idroclimatici, subiscono alterazioni quasi impercettibili. Per questo motivo, il cambiamento registrato, che mette a rischio due-terzi degli habitat acquatici e vede 5 miliardi di persone vivere in aree dove la minaccia è notevole, risulta allarmante, soprattutto considerando che l’acqua dolce incontra i bisogni domestici di metà della popolazione mondiale e provvede al 38% dell’irrigazione alimentare. Zone come l’India, il Medio Oriente, l’Australia e la California incrementano una situazione già critica consumando una quantità eccessiva di risorse idriche.
Nella fattispecie, l’India utilizza le acque sotterranee per colture di riso e grano, senza però che ci sia un riequilibrio delle falde tramite le piogge. In Iraq e in Siria, sui fiumi Tigri ed Eufrate, la scarsità di fonti idriche è da attribuirsi alla costruzione di ventidue dighe negli ultimi trent’anni: queste, infatti, riducono l’acqua disponibile in superficie per i due Paesi a valle. Attività analoghe all’agricoltura diventano anche causa della situazione critica del Mar Caspio, per anni attribuita, invece, ad una naturale evaporazione.

Cina, anni 70: una forma di riso selvatico viene scoperta crescere dal ricercatore Cheng Risheng nelle vicinanze di una foresta mangrovia a sud di Guandong. Essendo questo particolare tipo di foresta ad elevato contenuto salino ed alcalino, nasce negli scienziati lo stimolo di trovare un modo per sfruttare i suoli cinesi, un milione di chilometri quadrati abbandonati proprio a causa dell’inospitalità del terreno. Vengono avviati, quindi, molteplici tentativi di coltivazione di forme di riso ibrido: nessun raccolto, però, soddisfa le aspettative di sostentamento. Fino a che, lo scorso anno, il team di scienziati guidati ora da Yuan Longping, raggiunge un risultato più che soddisfacente. Il raccolto, fatto crescere nell’acqua salmastra del Mar Giallo nel porto di Qingdao, raggiunge il peso di 9,3 tonnellate e sarebbe in grado di sfamare 200 milioni di persone. Secondo Longping, se anche solo un decimo delle aree inutilizzate venisse sfruttato per questo tipo di coltivazione, la produzione della Cina aumenterebbe del 20%. L’idea è quella di piantare 100 ettari sperimentali entro la fine dell’anno, per poi far diventare questa forma di riso di uso regolare ed espandersi dopo il 2020, andando a toccare zone nel Medio Oriente dove l’acqua dolce è troppo preziosa per poter essere sprecata in agricoltura intensiva. 

Da un lato, quindi, segnali preoccupanti di un pianeta Terra che cambia sotto i nostri occhi. Dall’altro, tentativi per adattarsi a questo cambiamento e contrastarlo. Quello che deve coesistere a questi esperimenti, però, è una forma legislativa adeguata da parte dei governi, che devono ora prendersi cura seriamente dell’impatto ambientale, per garantire  un futuro alle generazioni di molteplici aree del pianeta. 

 

Photo Credit: Nature.com