Tigri, leopardi, elefanti, rapaci: secondo l’UNUDC (Ufficio delle Nazioni Unite per Droghe e Crimini) sono circa settemila le specie in via di estinzione che ogni giorno risultano vittime di bracconaggio.
La maggior parte di queste vengono cacciate (spesso illegalmente) per essere rivendute ai collezionisti, per ricavarne pelli, tessuti, scaglie o materiali pregiati. Soltanto di recente, tuttavia, la criminalità di natura ha cominciato ad essere considerata secondo l’impatto che ha sull’intero ecosistema: non si parla solamente di salvaguardare specie in via di estinzione, quanto di preservare il benessere dell’intero pianeta.
Oltre che costituire un immenso patrimonio naturale, la presenza di questi animali è di fondamentale importanza per l’equilibrio naturale: secondo alcune ricerche, si stima che per ogni tigre uccisa si perdano circa 10mila ettari di foresta. Pare che col tempo, un animale vittima di bracconaggio modifichi alcuni comportamenti istintivi, come ad esempio cacciare prede più semplici, cambiare abitudini all’interno del branco e attitudine nei confronti dei propri simili.
La soppressione di numerose di queste specie, inoltre, sta portando ad un disequilibrio economico tra Paesi ricchi e Paesi poveri: questi ultimi basano da sempre gran parte del proprio ricavo sull’eco-turismo, su attività legate all’ambiente e alla propria fauna. A causa del bracconaggio e al danneggiamento degli ecosistemi, tuttavia, risulta sempre più difficile portare avanti questo sistema produttivo. Secondo economisti esperti nel settore dell’ecologia, la somma dei servizi relativi alla natura creerebbe un valore di circa 145mila miliardi di dollari ogni anno, pari a circa il doppio del PIL mondiale.
Un’ulteriore conseguenza è l’organizzazione di vere e proprie reti criminali, basate sul commercio illegale di pelli e materiali pregiati come l’avorio: i crimini di natura costituirebbero, addirittura, il 4° principale mercato criminale al mondo. Anche in Italia, i reati contro animali e fauna selvatica costituiscono circa il 22%; tra le regioni maggiormente coinvolte troviamo l’Appennino romagnolo (i principali obiettivi sono lupi e rapaci), il Lazio, l’Abruzzo e il Molise (con orsi, lupi e grifoni), la Puglia (per la pesca a strascico) e la Sardegna (per il pesce spada).
Le principali vittime sono gli elefanti, i trichechi e i rinoceronti per l’avorio: si stima che ogni giorno ne vengano soppressi 55 individui per un totale di 20mila all’anno; anche le tigri contano, oramai, meno di 4mila esemplari in tutta l’Asia, tanto che più organizzazioni hanno intrapreso specifiche campagne per la loro salvaguardia. Infine, animali meno conosciuti come il pangolino (quasi del tutto estinto in Cina, si reputa ne siano stati uccisi 10mila negli ultimi dieci anni) o la vaquita, rischiano di scomparire entro il 2018.
Tra il 6 e il 20 maggio, il WWF (World Wide Fund for Nature) ha intrapreso una campagna di raccolta fondi dal titolo “SOS Animali in trappola”: attraverso un semplice SMS il donatore aveva la possibilità di offrire un importo simbolico a sostegno delle principali specie in via di estinzione. A conclusione del progetto, il 20 maggio, “Giornata delle Oasi”, tutte le oasi e le aree protette sono state aperte al pubblico gratuitamente e organizzate attività e visite guidate in oltre cento aree italiane.
Come garantire, dunque, la sopravvivenza di questi animali? Oltre alle campagne collettive promosse dalle organizzazioni internazionali, è possibile contribuire singolarmente, ad esempio, acquistando “kit di adozione” di una determinata specie, permettendo il rifornimento necessario ai ranger per fermare bracconieri e criminali.
Uno dei punti principali del “decalogo” elaborato dal WWF consiste, infatti, nella mancanza di attrezzatura efficace per poter far fronte ai reati contro natura; ad esso, all’interno del decalogo si aggiunge la necessità di eseguire un maggiore controllo, la redistribuzione equilibrata delle ricchezze e l’esigenza di pene consone all’entità del crimine.
Per bracconaggio di rapaci, ad esempio, sono previsti dai due agli otto mesi di arresto e una multa fino ai 2mila euro; per gli orsi, invece, dai tre mesi a un anno di carcere e una sanzione fino a 6mila euro. Tali pene sono ritenute fin troppo clementi rispetto al danno provocato all’ambiente e soprattutto al patrimonio naturale comune. La salvaguardia della natura è il primo passo per il benessere delle generazioni future.