Una buona notizia è stata diffusa dalla NASA: il buco nell’ozono è ai minimi registrati dal 1988. In realtà, a sentire le cause di questo restringimento, il comunicato può lasciare l’amaro in bocca. I motivi che hanno concorso al fenomeno sono, infatti, due: il Protocollo di Montreal e il riscaldamento globale. Il primo entrato in vigore il primo Gennaio 1989, ha permesso di ridurre l’uso di CFC – clorofluorocarburi – i quali, una volta emessi nell’atmosfera attraverso l’uso, per esempio, dei vecchi frigoriferi e lacche, andavano ad impattare sullo strato atmosferico di ozono. Nella stratosfera si trova questa molecola molto importante, formata da tre parti di ossigeno, che riesce ad assorbire i raggi ultravioletti. Anche se lo strato che l’ozono rappresenta è molto sottile, svolge una funzione importantissima di protezione, come uno schermo che ripara gli esseri viventi dalle scariche di ultravioletti, dannose se fatte arrivare in alte percentuali sulla Terra.
Con l’emissione nell’atmosfera dei CFC, si ha un danno diretto a questa molecola: una volta raggiunta la stratosfera, il gas CFC si scompone sotto l’azione dei raggi ultravioletti ed una volta liberato il cloro, esso si attacca alla particella di ozono spezzandola. Il Protocollo del 1989 è riuscito a bloccare la crescita del foro e, grazie alla sua entrata in vigore, lo studio “Emergence of healing in the Antarctic ozone layer”, effettuato dal Massachusetts Institute of Technology, ha calcolato che si sarebbe ristretto di 4 milioni di chilometri quadrati dal 2000 ad oggi, da quando aveva toccato il suo punto massimo di estensione. Da buone pratiche, derivano buoni risultati.
Ma i buoni risultati pare che derivino anche da problemi che affliggono il nostro pianeta. Il secondo fenomeno che ha inciso sulla riduzione del buco dell’ozono è, infatti, il riscaldamento globale. Una ricerca della NASA ha messo in evidenza, infatti, che l’11 settembre scorso, il buco dell’ozono ha raggiunto il suo minimo ciclico annuale, l’estensione più bassa mai registrata fino ad oggi dal 1988. Come è stato possibile? “Grazie” al global warming. Ebbene si, ciò che scombussola ogni giorno sempre di più i delicati equilibri terrestri, sembra che stia facendo bene alla coperta atmosferica che ci protegge. I venti caldi che soffiano sull’Antartide hanno contribuito a respingere alcune sostanze che corrodono l’ozono e questa particolare condizione atmosferica ha evitato il crearsi di nubi polari che sono all’origine delle reazioni chimiche che lo distruggono.
La notizia, purtroppo, non dovrebbe rincuorare perché in realtà l’area di apertura dell’ozono è ancora grande ed i livelli delle sostanze che lo riducono – cloro e bromo – sono ancora alti e causati dal comportamento umano. La risoluzione di questo problema deve ancora una volta passare per la buona pratica quotidiana di ognuno di noi. Di questo passo, gli scienziati annunciano che si potrebbe ritornare ai livelli registrati nel 1980, ovvero quelli standard, intorno al 2070.